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venerdì 16 marzo 2012

Ivan Della Mea al Manifesto


 
Caro Bertinotti,
mi tornerebbe meglio «caro Fausto» non foss’altro che per gli anni di affetto e di stima reciproci.
Tiremm innanz.
Ti ho ascoltato martedì 24 corrente mese e anno a «Otto e mezzo». Te la sfangavi col Mieli direttore del Corrierone. Le tue argomentazioni sui diversi temi … partito democratico, ruolo della sinistra e delle sinistre in un quadro sia nazionale sia europeo … lì per lì mi sono apparse piuttosto convincenti e ho apprezzato la cura e il garbo con i quali hai espresso il tuo pensiero sempre come dirigente politico e mai, com’era giusto che fosse, come Presidente della Camera.

In particolare mi ha colpito la tua determinazione nel chiarire come fosse assolutamente prioritario ritrovare e rimettere in gioco quella voglia di politica che fu sostanza e linfa vitale di tutta la storia del movimento operaio italiano e dunque cosa sia delle masse operaie (e contadine aggiungo di mio) sia delle organizzazioni partitiche e sindacali e sociali e cooperativistiche e culturali (mi è caro il tuo riferimento preciso all’Arci) che da quella voglia trassero la loro ragion d’essere: con giusta ragione hai insistito sull’urgenza siccome impegno ideale politico e culturale e dunque anche etico di adoperarti perché tutto ciò informasse una sinistra da costruire sulle macerie, dico io, di tante troppe tutte forse le sinistre già alienate se non addirittura obliterate e obliate.
Tutto bene madama la marchesa? A botta calda sì, caro Fausto e fors’anche perché riconosco a me stesso una sublime ignoranza politica con la quale faccio aggio assai più sul dubbio che non sulla certezza.
Giust’appunto il dubbio.
Io ho vissuto sia come lavoratore e come artigiano di canzoni, sia come scrittore e sia come dirigente dell’Arcicorvettocheincormistà e sia oggi come presidente dell’Istituto Ernesto de Martino «per la conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario» … io quella voglia di cui sopra l’ho vissuta per cinquant’anni e a quell’etica mi sono formato pensando e credendo che tutti insieme si crescesse come cittadini portatori e propugnatori di senso civico, di solidarietà, di fratellanza, capaci di coniugare i saperi delle scienze con la pratica quotidiana della conoscenza e di dare quindi alla parola compagno sia il senso primo dei rivoluzionari francesi sia quello dei partigiani vietnamiti per i quali significa «ti conosco». Non è stato così Fausto. Mai è stato così. La ragione di partito, preciso, delle sue strutture dirigenti, ha costantemente mortificato l’etica dei 
valori, quelli che tu hai richiamato martedì sera, con la pratica di una concezione nient’affatto democratica e per tristissimo contrapposto affatto centralistico-verticistica: quelle masse che tu hai richiamato sono state espropriate della propria anima o se preferisci del proprio sacro e il processo di progressiva depauperazione è stato volutamente perpetrato fino all’infamia dell’azzeramento delle strutture di base che sono stati luoghi dell’incontro fisico e intellettuale e morale: le sezioni, le tante sezioni del nostro dire e fare, del nostro incontrarsi e scontrarsi e del nostro rapportarsi col e nel sociale ma, alla buon’ora e sempre, del nostro quotidiano imparare a conoscerci. Noi, noi classe noi massa noi icché ti pare, noi siamo stati l’etica della sinistra, quella che è stata distrutta nel nome della ragione di partito sempre più coincidente con la ragione di potere, spesso, sempre quasi, molto personale. E questo, caro Fausto, fu a mio avviso l’errore più grave che non abbiamo saputo o voluto vedere «l’errore del mio, del tuo potere / e di ogni potere un po’ personale / per oggi è tutto / avanti Michele». Avanti, Fausto.
Ivan Della Mea
[da Il Manifesto del 26 luglio 2007]

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