Comunicare è un’arte, lo sanno bene i giornalisti, i
pubblicitari e le persone che di comunicazione si occupano quotidianamente.
Dovrebbero saperlo anche i politici in realtà, anche se molto speso per loro
pare un problema secondario. Assistiamo sovente a vere e proprie provocazioni
che stanno fra il naif e l’inquietante.
A Lecce sono comparsi manifesti elettorali (così pare, visto
che manca ogni riferimento e firma) a sfondo viola con su scritto: Ieri “cumandamu nui allu Comune te Lecce” (inchiesta sul filobus,
intercettazione telefonica). Da una settimana perseguitano i leccesi
tutti. Ora, chi legge i giornali e si informa sa benissimo di cosa si sta
parlando, il problema sono gli altri (maggioranza?), quelli che i giornali li
sfogliano appena ed evitano accuratamente le pagine di politica. Gli elettori
insomma. Ad occhio e croce sembra un messaggio per addetti ai lavori, quelli,
per capirci, che hanno le idee chiarissime sul voto da esprimere. Ovviamente
arriverà il secondo tempo di questa sciagura probabilmente costosa, e magari
riusciremo anche a capire chi ha commissionato, se avranno la bontà di
firmarsi, cosa assolutamente dovuta agli elettori. Un manifesto anonimo
inquieta veramente.
Altro messaggio che non definirei semplicemente inquietante,
piuttosto “idiota”, arriva dai No Tav in salsa salentina. I muri della città
sono letteralmente presi di mira da scritte inneggianti alla (giustissima)
lotta dei valsusini, c’è un problema di non poco conto però, che senso ha
scrivere sui muri in pietra leccese del centro storico con vernice nera? Se il
messaggio è rivolto alle persone normali e ai passanti che passano e che magari
sono in bilico fra il sostenere o meno la lotta contro lo scempio della TAV, la
reazione, di fronte al muro di un palazzo antico torturato dalla stupidità di
qualcuno non può che essere “se questi sono i NO TAV che fingono di essere
ambientalisti e massacrano secoli di storia, allora io sono un SI TAV, quanto
meno bucano solo una montagna, questi fanno strage di cultura”.
Si diceva prima dei giornalisti e dell’informazione in
generale. Quando un cecchino afghano spara ed ammazza un militare è
“terrorista” tout court. Quando un (solo uno?) militare americano entra nelle
case degli afghani e spara a bambini, donne e uomini è “un ubriaco forse
depresso”. E non parliamo di quelli che
dicono “è come in Vietnam”. No, questa è un’altra cosa, profondamente diversa,
allora furono gli USA, soli, ad attaccare un paese terzo, qui un pool di eserciti
di paesi sedicenti civili ha invaso territori, ammazzato, dilaniato persone in
nome e per conto dell’“esportazione della Democrazia” ed ora non sa come
diavolo uscirne. Evidentemente se una lezione era da imparare sono in molti,
politici e militari, a non aver capito proprio nulla.
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