Poi il Gran Sasso, e Tossiccia, e
Campo Imperatore. Sempre più a sud. E L’Aquila non ancora squarciata dal
terremoto. E Castel Del Monte. Ah se Guido avesse conosciuto gli occhi della
ragazza della locanda, forse, chissà, le cose sarebbero andate in altro modo. Il
fato, il destino, le scelte che dobbiamo rispettare. E poi la fermata vicino a
un campo con “rotoballe, come le
chiamano ora con parola orrenda” e il ricordo di un quadro, uno dei tanti,
dipinto da Guido, che ora sta sulla copertina del libro. Che in me ha evocato
Van Gogh. Quasi come se il genio si
tramandasse.
Era pittore Guido, anche
bravo. “Hai sempre continuato a dipingere, ma a un certo momento – dove,
quando perché? – hai smesso di essere felice. Mi dirai un giorno il tuo
segreto?”
Poi di nuovo l’auto, Francesca
trova anche il tempo per un centro benessere. Un po’ di cura di sé. In fondo era solo il 6 settembre,
l’appuntamento a Otranto era per il 12. Ed arriva anche, con la forza di un
pianto liberatorio, “l’unico pensiero
che forse puoi leggere nella mia testa vuota di pensieri è che adesso ti do
l’autorizzazione che non ti ho mai dato, che adesso ti lascio andare”.
Guido è lì, accanto a Francesca,
ora può andare, è libero e leggero. Lo sa, ora lo sanno entrambi.
Francesca che mi diceva, prima
della presentazione, “pensa che non ho mai scritto una riga di diario in vita
mia, neppure da quindicenne ho scritto “mi piace Luigi”. Lei in quel viaggio si
è trovata a prendere ogni sera appunti sulla giornata trascorsa, per
condividerli con Guido.
Il nome di suo figlio è ora
importante cognome per bimbi di Managua. L’ha scoperto, Francesca, in uno dei
suoi viaggi in Nicaragua, dove cura un giornale e un dove esiste una scuola di
pittura messa in piedi grazie alla vendita delle incisioni di Guido. Proprio
per quei bimbi che ora hanno adottato quel cognome.
Le parole del libro avvolgono
anche per la sottile ironia che spezza le tensioni della lettura. “Non fosse
per te, Guido, avrei continuato a
pensare che Campobasso fosse proprio in basso” Già, chi ci passa da Campobasso?
E nessuno passa per caso neppure da Otranto, solo chi ci vuole arrivare. Perché
non è luogo di passaggio, è meta. E’ la fine della terraferma.
Poi la Puglia, lunga, la penisola
nella penisola. Mare attorno. E la tappa a Ostuni “dai nonni”. E il risveglio con il profumo del caffè. Lei che vive
sola e che approfitta delle poche occasioni
per bere il primo caffè senza doverlo fare. Piccoli privilegi, in fondo.
E parla ancora con Guido della perfezione imperfetta dei genitori. E ascolta la
sua presenza “sento il tuo perdono….
Comincio a perdonarmi quello che so e quello che non so”.
Poi Lecce e la serata a guardare
ballare la pizzica. “Ballavano leggeri
come piume”. Sensazioni simili per noi forestieri. Parlando di pizzica,
probabilmente negli stessi giorni, scrissi che la ballerina “ballava leggera
come una foglia”. Il Salento visto con gli occhi di chi salentino non è, io lo
conosco, e l’ho riconosciuto nelle parole di Francesca. Empatia, simili esperienze di vita, un
passato che, in fondo, ha legato una generazione, la nostra, con le stesse
speranze, gli stessi ideali, le stesse rabbie. Forse un simile modo di amare.
E il 12 settembre a Otranto,
l’appuntamento con Guido. Là sopra, sulle mura dalle quali lui si lasciò cadere
per finire in un prato che non ne ha devastato il corpo. Poi la discesa
per deporre un mazzo dei fiori preferiti
da lui, girasoli. La “ragazza dai lunghi capelli” intanto studiava il violino e
le note si diffondevano nell’aria. Lì è riuscita quasi a toccare Guido prima di
salutarlo.
Poi un lento ritorno, Gallipoli,
Matera… Senza mai parlare di Guido con le persone che incontrava, per non
tradire un segreto “che era solo tuo e
mio”.
Poi Lucca e un po’ di tempo dopo
l’ultimo capitolo di un libro che non avrebbe dovuto essere che un diario
privato, ma che è diventato prezioso per molte persone: “sapessi quanti
messaggi ho ricevuto”, ci diceva mentre mangiavamo una pizza. Persone che hanno
segreti da trattenere, ma che cercano, in fondo, solidarietà, cercano qualcuno
capace di dire il loro dolore, la loro rassegnazione, il loro amore. Un libro
come “Viaggio in requiem” ha questo valore aggiunto incredibilmente vivo. “C’è
solo una cosa peggiore della morte di un figlio. Che voglia morire” (dal film
Mare Dentro di Alejandro Amenabar).
E quel ballo liberatorio proprio
il giorno di Natale: “sotto la tua tomba, di fianco al grande olivo. Ho messo
Bob Marley ad alto volume, ho aperto la porta, sono scesa e mi sono messa a
ballare. Mi hai vista? Credo di si perché non mi sentivo sola. Tu eri lì con
me, mi ballavi a fianco, come abbiamo fatto altre volte insieme…. Quando la
musica è finita sono tornata a valle. Mi sentivo bene, avevo appena ricevuto il
più bel regalo di Natale.”
Nell’istante
In cui la necessità
Incontra la bellezza
Trovo lo spazio
Che tutti i sensi
In sé raccoglie
(Guido Veronesi 1978 – 2004)
Francesca Caminoli –
Viaggio in Requiem – Jaca book editore.
Gennaio 2010 € 12,00.
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