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domenica 29 luglio 2018

Manfredi, Sirianni, De santis e un'eclisse


Estate strana questa, a giorni alterni, uno si ed uno no. E sarà così sempre. Ogni tanto un guizzo. 
Una sera a Taviano ad ascoltare Max Manfredi e Federico Sirianni. Il primo una conferma, Sirianni una piacevole scoperta. La scuola dei cantautori rivive, quella dei genovesi (che poi non sono neppure troppo tirchi come si vocifera) prosegue con le sue spigolosità, la riottosità, i sorrisi, i pensieri profondi, una sottile vena ironica e una poetica sempre nuova, fresca, antica.
Così le parole de Il Santo “camminava per la strada sotto un cielo anice che faceva la felicità di alcoolisti e daltonici” di Sirianni si (con)fonde con i ritmi greci di Manfredi, con la stupenda Retzina che di greco però ha solo il nome del vino resinoso di quelle terre e con il villaggio indiano (altra stupenda canzone) Qukuwak che altro non è che un display impazzito alla stazione di Voghera. Forse passò da lì Manfredi, sicuramente vide quella scritta stramba, sicuramente invece di sorridere pensò ai nativi americani, a tomahawk e combattimenti con le frecce.
Tutto questo passava nella piccola corte a Taviano, gentile paese salentino, con le sedie tutte occupate, con alcuni anziani del posto che ascoltavano stupiti e forse delusi dalla mancanza di pizzica e taranta. Seduti lì, sedotti dalle parole e musica, i pensieri volano fra le parole cantate e i ricordi, anzi, le emozioni sotto le stelle, al caldo avvolgente dell’estate salentina, scordando i giorni alterni almeno per un momento. Grazie ai cantautori a volte ruvidi, con chitarre che suonano con una leggerezza tale che sembrano  suonare da sole, che i musicisti le sorreggano solamente. I “lupi tristi” e “Byron il poeta” e la “benedetta complicità che unisce le persone” passano nella sera tiepida e volano con i pensieri, impalpabili, nuvole.
Mancava forse un bicchiere di vino per sognare meglio.
E passano i giorni pari e quelli dispari, così ci si ritrova ad ascoltare il poeta salentino Mino de Santis che fra ironie anarcoidi, sberleffi sessantottini e nostalgie che prendono il cuore, con una musicalità ormai matura, permette di passare una serata scordando i pensieri tristi. Osservando le signore in prima fila che conoscono ogni parola della canzoni di Mino perché lui ormai è  la voce di questa parte di Salento (lento lento lento), e qualche sguardo di quelle signore pareva innamorato del cantore delle cose di ogni giorno, con la capacità di trasformare l’agonia del nonno in un momento collettivo e quasi divertente, quel cavallo “malacarne” ribelle che non si lascia piegare dagli ordini del suo padrone. Perché Mino è così, guarda il mondo con gli occhi dell’ironia che non ci stanno all’inverosmile vero che ci avvolge.
E passano altri giorni pari e dispari, fino alla sera dell’eclissi di luna, la luna rossa coperta dalla terra, pare la forza della ragione e della pietas oscurate da un bizzarro gioco di coperture e dall’infilarsi della terra fra sole e luna. In quel momento di buio feroce pare che tutto possa succedere, addirittura che una "razza" che si crede superiore  lasci affogare poveri cristi in nome del "padroni a casa nostra", quasi i confini non fossero bizzarre divisioni, quasi l'umanità si dividesse in puri e impuri.   E pare che, purtroppo, in troppi vogliano inneggiare all’assassinio in mare di altri. Per fortuna l’eclisse dura solo un paio d’ore, poi torna la normalità. Per fortuna.
Al di là di questi pensieri cupi rimane il fatto che abbiamo assistito ad un fenomeno unico nella nostra breve vita, la luna rossa nell’eclisse più lunga del secolo, affiancata dal pianeta rosso vicino come succede solo ogni 15 anni, e là in fondo c'è  il mare. Un mare d’acqua e di pensieri.


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