Fonte: http://www.antimafiaduemila.com/
di Antonio Nicola Pezzuto - 27 gennaio
2015
Ci sono storie che non sono come le altre. Storie
difficili da raccontare e, prima ancora, da metabolizzare. Storie sulle quali
non deve calare l’oblìo, anche quando il tempo sembra avere ingiallito le foto
e i ricordi. Scrivere, in alcuni casi, diventa assai difficile, come la lettura
delle carte che ti spiegano di quanta crudeltà ed efferatezza siano capaci gli
esseri umani. Nulla costituisce più un argine o un limite, neanche la vita di
una bambina di soli due anni. E allora la scrittura diventa l’unica reazione
che puoi avere affinchè alcuni fatti non vengano dimenticati e per evidenziare
come la giustizia, anche dopo 24 anni, si possa concretizzare. Come nel caso
della piccola Angelica, barbaramente uccisa il 20 marzo 1991 da uomini della
Sacra Corona Unita.
Ad essere assassinate Paola Rizzello, di 28 anni, e la sua figlioletta Angelica Pirtoli, che ne aveva appena due. Perché è maturato questo
duplice omicidio? Chi ha potuto ordinare ed eseguire il delitto di una giovane
donna e della sua tenerissima piccola? Cerchiamo di ricostruire i fatti così come
accertati dalla sentenza n. 3/2001 emessa in data 26 marzo 2001 dalla Corte di
Assise di Lecce, confermata dalla sentenza della Corte di Assise di Appello di
Lecce il 29 maggio 2002.
Paola Rizzello era una ragazza che faceva uso di
sostanze stupefacenti e aveva diverse amicizie negli ambienti malavitosi di
Matino e Parabita.
Ma, soprattutto, aveva avuto una relazione con il
capoclan Luigi Giannelli, “durata certamente fino al 1989”, come puntualizzano
le carte processuali. Questa relazione le aveva consentito di venire a
conoscenza delle dinamiche interne all’organizzazione mafiosa. Inoltre, grazie
al rapporto con l’indiscusso boss, aveva probabilmente scoperto particolari
relativi all’omicidio di Calzolaro Luigi, spacciatore di Matino, ucciso il 4
dicembre 1985. L’uomo era stato amante della Rizzello che, facendo leva sul
legame sentimentale intrapreso con Giannelli, si relazionava con una certa
spavalderia con le altre persone del gruppo, ritenendosi al sicuro proprio
grazie a quel legame.
Un’altra protagonista di questa orribile vicenda è Anna Addolorata De Matteis
Cataldo, meglio conosciuta come “Anna Morte”. La donna era la legittima moglie
di Luigi Giannelli e provava un odio smisurato nei confronti di Paola Rizzello
a causa della relazione che questa aveva avuto con suo marito. Le due donne,
pochi giorni prima dell’omicidio, si erano anche scontrate in pubblico nei
pressi del mercato coperto di Matino.
La Rizzello, nel suo ultimo anno di vita, dopo l’allontanamento da casa del
convivente Pirtoli Antonio, si era legata sentimentalmente a Donato Mercuri,
persona di fiducia sul territorio del capoclan Luigi Giannelli. Il Mercuri
portava spesso la Rizzello in luoghi che il clan utilizzava per nascondere
stupefacenti, armi ed esplosivo. Una grave imprudenza questa, aggravata dalla
condizione di tossicodipendenza della donna che era sospettata di essersi
appropriata di sostanze stupefacenti dell’organizzazione criminale per farne
uso personale.
Il movente di questo omicidio maturava in questo contesto e per questa
pluralità di cause concorrenti. Il corpo di Paola Rizzello fu trovato il 19
febbraio 1997 in una cisterna situata in località contrada “Tuli”, meglio nota
come “Santa Teresa”, lungo la strada vecchia che conduce ad Alezio, agro del
comune di Parabita. Meglio dire che fu ritrovato quanto restava del corpo della
giovane donna, ossia lo “scheletro con il solo teschio parzialmente integro ed
alcuni monili d’oro (anelli, collier, catenine e braccialetti), alcuni dei
quali riconosciuti dalla sorella e dalla cognata della Rizzello come
appartenenti proprio a quest’ultima, venivano rinvenuti anche i seguenti
indumenti femminili: la parte elastica di un reggiseno, due spalline, filamenti
di calze collant ed un paio di scarpe del tipo polacchino in camoscio con para
di gomma”. Questo è quanto riporta l’ordinanza riguardo al ritrovamento della
Rizzello.
Gli accertamenti medico-legali avevano consentito di affermare che i resti
esaminati fossero proprio quelli di Paola Rizzello il cui decesso veniva
fissato in un arco di tempo compatibile con la sua scomparsa.
Il 21 marzo 1991, giorno successivo al duplice omicidio, fu trovata la Fiat
Panda della Rizzello in una zona residenziale compresa tra Matino e Parabita,
“regolarmente parcheggiata chiusa a chiave e con all’interno la borsa, il
cappotto ed alcuni giocattoli della piccola Angelica”, recita l’Ordinanza.
Una svolta, nel corso del processo che si stava
avviando verso la discussione finale, arriva con la collaborazione di Luigi De
Matteis, fratello di Anna De Matteis e quindi cognato del boss Luigi Giannelli.
L’uomo si autoaccusava dell’omicidio di Paola Rizzello e di sua figlia Angelica
Pirtoli, indicando come suo complice il cognato Biagio Toma e come mandanti il
cognato Luigi Giannelli, la sorella Anna De Matteis e Donato Mercuri. Il De
Matteis consentiva ai Carabinieri di Matino di ritrovare lo scheletro della
piccola Angelica il 4 maggio 1999, in località Sant’Euleterio, agro di
Parabita.
Luigi De Matteis, arrestato nell’aprile del 1999 per
associazione mafiosa ed altri reati, decide di iniziare a collaborare con la
giustizia benché su di lui non gravasse alcun sospetto in merito al duplice
omicidio Rizzello-Pirtoli, per il quale divenne indagato in seguito alle sue
stesse dichiarazioni. Il De Matteis si sentiva schiacciato dal peso del segreto
e, soprattutto, voleva che fosse data degna sepoltura alla piccola Angelica.
“Nnu ‘sta la facia chiui iou cu tegnu ‘nnu segreto del genere dentro, pure i
giornali parlavano, i telegiornali parlavano, io stavo detenuto… stavano
girando, non stavano trovando la bambina, sono stati dei momenti brutti, mi
hanno fatto ricordare… volevo collaborare, poi ogni volta che andavo non me la
sentivo, non volevo ricordarmi di come era andato il fatto e non ce l’ho fatta…
poi sono stato arrestato di nuovo… un mese fa… già quando stavo fuori stavo
pensando su questo fatto, ciè nnu la facia chiui cu tegnu questo segreto qua,
anche perché ci ho due figlie ed ogni volta che io le guardavo…”. Queste le
dichiarazioni rese dal De Matteis il 2 giugno 1999.
E così il De Matteis consente di far luce su questa triste storia raccontando
com’era maturata all’interno del clan la decisione di uccidere Paola, spiegando
il movente e le cause già menzionate nell’articolo.
L’ordine di uccidere la ragazza fu dato da Luigi Giannelli, all’epoca dei fatti
rinchiuso nel carcere di Lecce per estorsione, nel corso di un colloquio con la
moglie Anna De Matteis e alla presenza di Luigi De Matteis. Il capoclan aveva
individuato in Donato Mercuri l’esecutore materiale del delitto. Questo
incontro nell’istituto penitenziario avvenne circa 15-20 giorni prima
dell’omicidio.
Donato Mercuri fu informato della decisione del
Giannelli direttamente da Anna De Matteis alla presenza di Luigi De Matteis.
Il Mercuri, che in quel periodo intratteneva una
relazione con la Rizzello, sapeva benissimo che tutti i sospetti sarebbero
ricaduti su di lui e scelse di assumere il ruolo di pianificatore ed
organizzatore del delitto, delegandone la materiale esecuzione a Luigi De
Matteis e al cognato di quest’ultimo, Biagio Toma. Il piano prevedeva
l’omicidio della Rizzello. La piccola Angelica non c’entrava nulla in questa
storia.
Donato Mercuri per crearsi un alibi scelse come data dell’agguato il 20 marzo
1991 perché quella sera si giocava un’importante partita di calcio e tutti
sapevano che lui era un grande tifoso.
Non fu difficile per Luigi De Matteis e Biagio Toma trarre in inganno la
Rizzello che si fidava di loro perché li conosceva bene. La donna, inoltre, era
convinta di essere protetta dal boss Luigi Giannelli che invece aveva ordinato
l’omicidio.
Sotto la regia del Mercuri i due riuscirono ad incontrarsi con la ragazza sulla
strada Casarano – Matino, luogo in cui la Rizzello si incontrava spesso con il
Mercuri, come quella sera prima di vedersi con i suoi sicari.
La giovane donna arrivò alla guida della sua Panda Rossa, parcheggiò e salì sul
sedile posteriore dell’Alfa 75 guidata dal De Matteis al cui fianco era seduto
Biagio Toma. Paola Rizzello aveva purtroppo portato con sé la piccola Angelica.
I due killer l’avevano attirata con la scusa di fare una chiacchierata e,
soprattutto, con la promessa di farle “assaggiare un po’ di eroina buona”.
Paola Rizzello e la figlia Angelica Pirtoli
Durante il tragitto, percorso per arrivare al casolare
di campagna dove doveva essere compiuto l’omicidio, la Rizzello esibiva alcuni
gioielli che indossava, vantandosi di averli avuti in dono da Luigi Giannelli:
“Vedi quest’anello? Me lo ha regalato tuo cognato, questa collana…”, diceva la
ragazza a Luigi De Matteis.
Giunti sul luogo dove doveva essere compiuto il delitto, De Matteis entrò nel
casolare che era al buio perché privo di energia elettrica ma, invece della
sostanza stupefacente, impugnò un fucile da caccia automatico che aveva
precedentemente nascosto e lo puntò a 70/80 centimetri di distanza dalla pancia
della Rizzello che si trovava “sullo spigolo della porta con la bambina in
braccio, in particolare il braccio sinistro”. La donna, pensando ad uno
scherzo, non ebbe paura e disse: “Non mi fai paura”, facendo un gesto con la
mano per scostare il fucile che le era stato puntato contro. In quel momento
partì il primo colpo che la colpì “nella pancia”, ferendo la bambina al piede
destro. Per essere certo di averla uccisa, il De Matteis sparò un secondo colpo
ad una distanza di circa un metro “nella regione del petto più vicina al collo”
della Rizzello.
L’ordine, che era partito dal carcere dal capoclan
Luigi Giannelli, era stato eseguito. Ma c’era un imprevisto, un maledetto
imprevisto. La presenza della piccola Angelica, infatti, quella sera non era
stata preventivata. De Matteis e Toma non sapevano cosa fare. In un primo
momento pensano di portare la piccola in paese per abbandonarla, ma era ferita
e quindi pensarono di andare dal Mercuri con il quale avevano appuntamento alle
22.30, dopo la partita, per chiedere il da farsi. Tornarono in paese per
cambiarsi e per bruciare gli abiti sporchi. Dopo incontrarono Donato Mercuri.
Ai due killer, che si lamentavano dell’inaspettata presenza della bambina e che
chiedevano delucidazioni su come risolvere la situazione, Donato Mercuri
rispose gelido e perentorio: “Se trovano la bambina in quelle condizioni,
automaticamente si capisce che alla madre le è successa qualcosa, qualcosa di
brutto… No la bambina non si può lasciare. Voi sapete che cosa dovete fare…”.
La condanna a morte per la piccola Angelica era stata
appena emessa.
Luigi De Matteis e Biagio Toma tornarono sul luogo del
delitto e trovarono la bambina che stava piangendo. De Matteis non ebbe il
coraggio e rimase in macchina. Scese Toma, prese la piccola e la sbattè contro
il muro. Quattro, cinque volte la sbattè. Quello che è uno dei crimini più
efferati di cui si sia a conoscenza era stato compiuto.
I due ritornarono in paese, poi Biagio Toma prese il motorino e andò a bruciare
i corpi delle vittime. Il giorno dopo Donato Mercuri ordinò a De Matteis e Toma
di andare a seppellire i corpi, arrabbiandosi con i sicari che li avevano
lasciati sulla porta del casolare. Impose loro di occultare i resti in posti
diversi, per evitare che fossero ritrovate insieme.
In serata i due sicari si recarono sul posto dell’orrore, presero la Rizzello
che era bruciata. Toma la teneva per le braccia e De Matteis per i piedi, ma lo
scheletro si spezzò in due, all’altezza del bacino.“Per terra era rimasta della
pelle incollata”. La gettarono nella cisterna che si trovava sotto al casolare.
Presero poi un sacchetto di plastica, di quelli utilizzati dai contadini per il
concime e misero dentro la povera Angelica. La caricarono nel bagagliaio di una
127 di colore bianco incidentata di dietro che avevano preso in prestito per
l’occasione e la portarono sulla collina di Sant’Euleterio, la zona più alta
del Salento da cui si gode un panorama mozzafiato, e la seppellirono. A qualche
chilometro di distanza dal casolare in cui si era consumata la macabra storia.
Delle modalità del duplice omicidio fu informata Anna De Matteis che non
commentò l’uccisione della bambina. Mercuri, invece, a Luigi De Matteis che gli
rimproverava il coinvolgimento della piccola Angelica rispondeva: “Va bè, tanto
cresceva come la madre”. Di quanto era successo fu ovviamente avvisato il
mandante Luigi Giannelli, all’epoca detenuto nel carcere giudiziario di Lecce.
A comunicarglielo fu la moglie Anna De Matteis durante uno dei periodici
colloqui a cui partecipò anche Luigi De Matteis. Il capoclan si mise a ridere
congratulandosi con il De Matteis per quanto fatto proponendogli l’affiliazione
al gruppo assieme al cognato Biagio Toma. Proposta che i due rifiutarono.
Furono, però, costretti ad accettarla in un secondo momento, quando vennero
arrestati nell’agosto del 1991 per altri reati.
Il processo si concluse con la già citata sentenza n.
3 del 26 marzo 2001 della Corte d’Assise di Lecce. Furono condannati
all’ergastolo Luigi Giannelli, sua moglie De Matteis Anna, e il loro
luogotenente Donato Mercuri, attribuendo loro rispettivamente i ruoli di
mandante, istigatrice ed organizzatore dell’omicidio di Rizzello Paola.
“Mercuri, inoltre, veniva ritenuto colpevole dell’omicidio di Pirtoli Angelica,
figlioletta di Paola Rizzello, e dell’occultamento del suo cadavere, al solo
fine di assicurarsi l’impunità per il già eseguito omicidio della madre”.
La sentenza della Corte di Assise di Appello di Lecce del 29 maggio 2002
confermava le pene decise in primo grado e riteneva attendibili ed esaustive le
dichiarazioni del De Matteis.
“Tuttavia – si legge nell’Ordinanza – il ritrovamento dei resti della piccola
Angelica, costituiva riscontro individualizzante unicamente nei confronti dello
stesso De Matteis e non certo nei confronti del Toma che, non a caso, non è mai
stato nemmeno indagato”.
Quindi, per essere chiari ed espliciti, colui che
aveva massacrato la piccola Angelica l’aveva fatta franca. O almeno così
sperava. Ma non poteva chiudersi così una storia simile, non poteva non avere
giustizia la piccola Angelica.
Passano gli anni e pure tanti. Ben dieci tra la sentenza della Corte di Assise
di Appello di Lecce e l’aprile del 2012 quando, un certo Donadei Massimo,
affiliato al clan Giannelli, inizia a collaborare riconoscendo di far parte del
clan Giannelli della Sacra Corona Unita. Le sue dichiarazioni consentono di far
luce sulla struttura dell’organizzazione mafiosa e, colpo di scena, era anche
molto ben informato sul duplice delitto Rizzello – Pirtoli.
L’uomo aveva appreso tramite il fratello Donato, anche lui affiliato al clan
Giannelli, particolari sul duplice efferato crimine che gli erano stati
raccontati da Donato Mercuri. In particolare è emerso che Biagio Toma cercò,
tramite la moglie Sonia Schirinzi, in quanto detenuto, di contattare due
ragazzi del posto, Mauro Russo e Vincenzo Greco per spostare il cadavere della
piccola Angelica. Ma i due si rifiutarono.
Quando Biagio Toma fu scarcerato percosse Mauro Russo
per il rifiuto, mentre Greco si era trasferito in un altro paese del Basso
Salento.
Massimo Donadei dichiarò inoltre che “il comportamento
tenuto dal Toma nella vicenda dell’omicidio della bambina, indusse i miei
fratelli ad allontanarlo, così come gli altri del medesimo clan perché non fu
condivisa la sua scelta di operare di iniziativa di uccidere la bambina, per
cui fu malvisto da tutti. Lui percepì questa avversione e si distacco dal clan
Giannelli e, per quanto mi consta, si avvicinò col tempo al clan Coluccia…”.
La Procura Distrettuale Antimafia di Lecce, tramite il Pubblico Ministero
Giuseppe Capoccia, nei primi mesi del 2014, ha incaricato i Carabinieri del
R.O.S., guidati dal Colonnello Paolo Vincenzoni, di trovare riscontro alle
dichiarazioni di Massimo Donadei.
I risultati delle indagini sono stati positivi. Per
quanto concerne la dinamica del duplice omicidio le dichiarazioni del Donadei
Massimo coincidono perfettamente con quelle di Luigi De Matteis.
I Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale hanno ascoltato Mauro
Russo, che è anche cognato di Biagio Toma, e Vincenzo Greco, cioè i due ai
quali Toma avrebbe chiesto di spostare il corpicino della piccola Angelica.
Russo ha negato questa circostanza così come ha negato pure di essere stato
percosso da Toma. Vincenzo Greco, invece, ha fornito dichiarazioni concordanti
con quelle di Massimo Donadei.
Vincenzo Greco dichiarava agli uomini del Colonnello Vincenzoni di esesere
stato, fino al 1997 circa, amico fraterno di Mauro Russo e che insieme
frequentavano regolarmente Biagio Toma. Greco racconta un fatto determinante
per le indagini, una confidenza di Mauro Russo che una volta, mentre si
trovavano in macchina gli disse: “Sai che cosa mi ha chiesto Toma Biagio? Di
spostare un sacco”. Senza fornire spiegazioni ai chiarimenti chiesti dal Greco.
In una successiva dichiarazione Vincenzo Greco ha precisato che Mauro Russo gli
aveva confidato: “Sai che mi ha chiesto Toma Biagio? Mi prendi e mi sposti una cosa?”.
Non un sacco, come dichiarato precedentemente. Greco ha chiarito che aveva in
un primo momento parlato di “un sacco” in seguito a una sua deduzione,
scaturita dal ritrovamento del cadavere della piccola Angelica. Vincenzo Greco
è ritenuto dagli inquirenti persona intellettualmente onesta e attendibile.
Questo quadro probatorio ha consentito al Giudice per
le indagini preliminari, Simona Panzera, di emettere un’ordinanza di custodia
cautelare, su richiesta del Pubblico Ministero, Giuseppe Capoccia, a carico di
Biagio Toma. L’uomo, attualmente detenuto nel carcere di Trani, a giugno
avrebbe finito di scontare la pena a tre anni e otto mesi di reclusione per
estorsione. Il suo avvocato aveva presentato pochi giorni fa istanza al
Tribunale di Sorveglianza per rientrare anticipatamente a Parabita in regime di
detenzione domiciliare. Adesso, per lui, le cose si complicano notevolmente.
Scrive nell’Ordinanza il Giudice per le indagini
preliminari: “Il lungo lasso di tempo trascorso dai fatti non può velare l’abominio
compiuto.
Nella storia criminale nazionale non si ricordano
condotte comparabili con quelle tanto sprezzanti del dolore innocente di una
bambina di due anni, rimasta ferita in maniera non grave al piedino, lasciata
disperata, nottetempo al buio in campagna, accanto al cadavere della madre
ammazzata (un teste aveva ricordato di aver udito nel buio un cagnolino che
ululava!) e quindi uccisa, senza nemmeno la pietà che si usa verso gli ovini. I
mandanti dell’omicidio della Rizzello Paola scontano già da anni la giusta pena
dell’ergastolo. Sino ad ora era mancata alla parola di De Matteis Luigi (reo
confesso) il riscontro idoneo a concretizzare l’accusa contro Toma Biagio: la
collaborazione offerta da Donadei e le inaspettate preziose conferme degli ultimi
mesi quali si traggono dalle dichiarazioni di Greco Vincenzo consentono
finalmente di avanzare una richiesta cautelare che attenui l’orrore dell’intera
comunità salentina.
De Matteis, complice nell’abominio, almeno ha provato
a riscattarsi con una spontanea confessione ed una collaborazione che consentì,
all’epoca, una sicura conclusione del primo processo nei confronti dei
mandanti”.
Questa storia così orribile dimostra che la mafia non ha nessun codice d’onore,
ma è solo sopraffazione, violenza e morte. E non sono ammessi “se” e “ma”, non
sono ammesse zone grigie nella società che producono un devastante consenso
sociale alle organizzazioni criminali. In attesa che la giustizia faccia il suo
corso per chiudere definitivamente questa storia, io mi sento da cittadino
prima e da giornalista poi, di ringraziare quanti hanno sempre creduto nella
giustizia per la piccola Angelica. Su tutti ringrazio la Procura Distrettuale
Antimafia di Lecce diretta dal Procuratore Capo Cataldo Motta, il Pubblico
Ministero Giuseppe Capoccia per la tenacia dimostrata in questi anni in cui ha
condotto le indagini, il Giudice per le indagini preliminari che ha emesso
l’Ordinanza e il Colonnello Paolo Vincenzoni, Comandante del Raggruppamento
Operativo Speciale dei Carabinieri di Lecce, da lui magistralmente coordinato e
diretto. Un reparto eccellente che anche in questa occasione ha dimostrato
tutto il suo valore, operando in silenzio e lontano dai riflettori. Se potessi,
li citerei tutti questi uomini.
Sono passati quasi 24 anni da quella maledetta sera del 21 marzo 1991.
Finalmente giustizia sembra essere fatta. Adesso, riposa in pace piccolo
Angelo.
Nessun commento:
Posta un commento