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mercoledì 28 gennaio 2015

Il piccolo Angelo riposa in pace

 Fonte:  http://www.antimafiaduemila.com/


di Antonio Nicola Pezzuto - 27 gennaio 2015

Ci sono storie che non sono come le altre. Storie difficili da raccontare e, prima ancora, da metabolizzare. Storie sulle quali non deve calare l’oblìo, anche quando il tempo sembra avere ingiallito le foto e i ricordi. Scrivere, in alcuni casi, diventa assai difficile, come la lettura delle carte che ti spiegano di quanta crudeltà ed efferatezza siano capaci gli esseri umani. Nulla costituisce più un argine o un limite, neanche la vita di una bambina di soli due anni. E allora la scrittura diventa l’unica reazione che puoi avere affinchè alcuni fatti non vengano dimenticati e per evidenziare come la giustizia, anche dopo 24 anni, si possa concretizzare. Come nel caso della piccola Angelica, barbaramente uccisa il 20 marzo 1991 da uomini della Sacra Corona Unita.  
Una storia che comprende diversi protagonisti appartenenti al clan Giannelli di Parabita.
Ad essere assassinate Paola Rizzello, di 28 anni, e la sua figlioletta Angelica Pirtoli, che ne aveva appena due. Perché è maturato questo duplice omicidio? Chi ha potuto ordinare ed eseguire il delitto di una giovane donna e della sua tenerissima piccola? Cerchiamo di ricostruire i fatti così come accertati dalla sentenza n. 3/2001 emessa in data 26 marzo 2001 dalla Corte di Assise di Lecce, confermata dalla sentenza della Corte di Assise di Appello di Lecce il 29 maggio 2002.
Paola Rizzello era una ragazza che faceva uso di sostanze stupefacenti e aveva diverse amicizie negli ambienti malavitosi di Matino e Parabita.
Ma, soprattutto, aveva avuto una relazione con il capoclan Luigi Giannelli, “durata certamente fino al 1989”, come puntualizzano le carte processuali. Questa relazione le aveva consentito di venire a conoscenza delle dinamiche interne all’organizzazione mafiosa. Inoltre, grazie al rapporto con l’indiscusso boss, aveva probabilmente scoperto particolari relativi all’omicidio di Calzolaro Luigi, spacciatore di Matino, ucciso il 4 dicembre 1985. L’uomo era stato amante della Rizzello che, facendo leva sul legame sentimentale intrapreso con Giannelli, si relazionava con una certa spavalderia con le altre persone del gruppo, ritenendosi al sicuro proprio grazie a quel legame.

Un’altra protagonista di questa orribile vicenda è Anna Addolorata De Matteis Cataldo, meglio conosciuta come “Anna Morte”. La donna era la legittima moglie di Luigi Giannelli e provava un odio smisurato nei confronti di Paola Rizzello a causa della relazione che questa aveva avuto con suo marito. Le due donne, pochi giorni prima dell’omicidio, si erano anche scontrate in pubblico nei pressi del mercato coperto di Matino.
La Rizzello, nel suo ultimo anno di vita, dopo l’allontanamento da casa del convivente Pirtoli Antonio, si era legata sentimentalmente a Donato Mercuri, persona di fiducia sul territorio del capoclan Luigi Giannelli. Il Mercuri portava spesso la Rizzello in luoghi che il clan utilizzava per nascondere stupefacenti, armi ed esplosivo. Una grave imprudenza questa, aggravata dalla condizione di tossicodipendenza della donna che era sospettata di essersi appropriata di sostanze stupefacenti dell’organizzazione criminale per farne uso personale.
Il movente di questo omicidio maturava in questo contesto e per questa pluralità di cause concorrenti. Il corpo di Paola Rizzello fu trovato il 19 febbraio 1997 in una cisterna situata in località contrada “Tuli”, meglio nota come “Santa Teresa”, lungo la strada vecchia che conduce ad Alezio, agro del comune di Parabita. Meglio dire che fu ritrovato quanto restava del corpo della giovane donna, ossia lo “scheletro con il solo teschio parzialmente integro ed alcuni monili d’oro (anelli, collier, catenine e braccialetti), alcuni dei quali riconosciuti dalla sorella e dalla cognata della Rizzello come appartenenti proprio a quest’ultima, venivano rinvenuti anche i seguenti indumenti femminili: la parte elastica di un reggiseno, due spalline, filamenti di calze collant ed un paio di scarpe del tipo polacchino in camoscio con para di gomma”. Questo è quanto riporta l’ordinanza riguardo al ritrovamento della Rizzello.
Gli accertamenti medico-legali avevano consentito di affermare che i resti esaminati fossero proprio quelli di Paola Rizzello il cui decesso veniva fissato in un arco di tempo compatibile con la sua scomparsa. 
Il 21 marzo 1991, giorno successivo al duplice omicidio, fu trovata la Fiat Panda della Rizzello in una zona residenziale compresa tra Matino e Parabita, “regolarmente parcheggiata chiusa a chiave e con all’interno la borsa, il cappotto ed alcuni giocattoli della piccola Angelica”, recita l’Ordinanza.

Una svolta, nel corso del processo che si stava avviando verso la discussione finale, arriva con la collaborazione di Luigi De Matteis, fratello di Anna De Matteis e quindi cognato del boss Luigi Giannelli. L’uomo si autoaccusava dell’omicidio di Paola Rizzello e di sua figlia Angelica Pirtoli, indicando come suo complice il cognato Biagio Toma e come mandanti il cognato Luigi Giannelli, la sorella Anna De Matteis e Donato Mercuri. Il De Matteis consentiva ai Carabinieri di Matino di ritrovare lo scheletro della piccola Angelica il 4 maggio 1999, in località Sant’Euleterio, agro di Parabita.
Luigi De Matteis, arrestato nell’aprile del 1999 per associazione mafiosa ed altri reati, decide di iniziare a collaborare con la giustizia benché su di lui non gravasse alcun sospetto in merito al duplice omicidio Rizzello-Pirtoli, per il quale divenne indagato in seguito alle sue stesse dichiarazioni. Il De Matteis si sentiva schiacciato dal peso del segreto e, soprattutto, voleva che fosse data degna sepoltura alla piccola Angelica.

“Nnu ‘sta la facia chiui iou cu tegnu ‘nnu segreto del genere dentro, pure i giornali parlavano, i telegiornali parlavano, io stavo detenuto… stavano girando, non stavano trovando la bambina, sono stati dei momenti brutti, mi hanno fatto ricordare… volevo collaborare, poi ogni volta che andavo non me la sentivo, non volevo ricordarmi di come era andato il fatto e non ce l’ho fatta… poi sono stato arrestato di nuovo… un mese fa… già quando stavo fuori stavo pensando su questo fatto, ciè nnu la facia chiui cu tegnu questo segreto qua, anche perché ci ho due figlie ed ogni volta che io le guardavo…”. Queste le dichiarazioni rese dal De Matteis il 2 giugno 1999. 
E così il De Matteis consente di far luce su questa triste storia raccontando com’era maturata all’interno del clan la decisione di uccidere Paola, spiegando il movente e le cause già menzionate nell’articolo.
L’ordine di uccidere la ragazza fu dato da Luigi Giannelli, all’epoca dei fatti rinchiuso nel carcere di Lecce per estorsione, nel corso di un colloquio con la moglie Anna De Matteis e alla presenza di Luigi De Matteis. Il capoclan aveva individuato in Donato Mercuri l’esecutore materiale del delitto. Questo incontro nell’istituto penitenziario avvenne circa 15-20 giorni prima dell’omicidio.

Donato Mercuri fu informato della decisione del Giannelli direttamente da Anna De Matteis alla presenza di Luigi De Matteis.
Il Mercuri, che in quel periodo intratteneva una relazione con la Rizzello, sapeva benissimo che tutti i sospetti sarebbero ricaduti su di lui e scelse di assumere il ruolo di pianificatore ed organizzatore del delitto, delegandone la materiale esecuzione a Luigi De Matteis e al cognato di quest’ultimo, Biagio Toma. Il piano prevedeva l’omicidio della Rizzello. La piccola Angelica non c’entrava nulla in questa storia.

Donato Mercuri per crearsi un alibi scelse come data dell’agguato il 20 marzo 1991 perché quella sera si giocava un’importante partita di calcio e tutti sapevano che lui era un grande tifoso.
Non fu difficile per Luigi De Matteis e Biagio Toma trarre in inganno la Rizzello che si fidava di loro perché li conosceva bene. La donna, inoltre, era convinta di essere protetta dal boss Luigi Giannelli che invece aveva ordinato l’omicidio.
Sotto la regia del Mercuri i due riuscirono ad incontrarsi con la ragazza sulla strada Casarano – Matino, luogo in cui la Rizzello si incontrava spesso con il Mercuri, come quella sera prima di vedersi con i suoi sicari.
La giovane donna arrivò alla guida della sua Panda Rossa, parcheggiò e salì sul sedile posteriore dell’Alfa 75 guidata dal De Matteis al cui fianco era seduto Biagio Toma. Paola Rizzello aveva purtroppo portato con sé la piccola Angelica. I due killer l’avevano attirata con la scusa di fare una chiacchierata e, soprattutto, con la promessa di farle “assaggiare un po’ di eroina buona”.

                        
                                  Paola Rizzello e la figlia Angelica Pirtoli
Durante il tragitto, percorso per arrivare al casolare di campagna dove doveva essere compiuto l’omicidio, la Rizzello esibiva alcuni gioielli che indossava, vantandosi di averli avuti in dono da Luigi Giannelli: “Vedi quest’anello? Me lo ha regalato tuo cognato, questa collana…”, diceva la ragazza a Luigi De Matteis.

Giunti sul luogo dove doveva essere compiuto il delitto, De Matteis entrò nel casolare che era al buio perché privo di energia elettrica ma, invece della sostanza stupefacente, impugnò un fucile da caccia automatico che aveva precedentemente nascosto e lo puntò a 70/80 centimetri di distanza dalla pancia della Rizzello che si trovava “sullo spigolo della porta con la bambina in braccio, in particolare il braccio sinistro”. La donna, pensando ad uno scherzo, non ebbe paura e disse: “Non mi fai paura”, facendo un gesto con la mano per scostare il fucile che le era stato puntato contro. In quel momento partì il primo colpo che la colpì “nella pancia”, ferendo la bambina al piede destro. Per essere certo di averla uccisa, il De Matteis sparò un secondo colpo ad una distanza di circa un metro “nella regione del petto più vicina al collo” della Rizzello.

L’ordine, che era partito dal carcere dal capoclan Luigi Giannelli, era stato eseguito. Ma c’era un imprevisto, un maledetto imprevisto. La presenza della piccola Angelica, infatti, quella sera non era stata preventivata. De Matteis e Toma non sapevano cosa fare. In un primo momento pensano di portare la piccola in paese per abbandonarla, ma era ferita e quindi pensarono di andare dal Mercuri con il quale avevano appuntamento alle 22.30, dopo la partita, per chiedere il da farsi. Tornarono in paese per cambiarsi e per bruciare gli abiti sporchi. Dopo incontrarono Donato Mercuri. Ai due killer, che si lamentavano dell’inaspettata presenza della bambina e che chiedevano delucidazioni su come risolvere la situazione, Donato Mercuri rispose gelido e perentorio: “Se trovano la bambina in quelle condizioni, automaticamente si capisce che alla madre le è successa qualcosa, qualcosa di brutto… No la bambina non si può lasciare. Voi sapete che cosa dovete fare…”. 
La condanna a morte per la piccola Angelica era stata appena emessa. 
Luigi De Matteis e Biagio Toma tornarono sul luogo del delitto e trovarono la bambina che stava piangendo. De Matteis non ebbe il coraggio e rimase in macchina. Scese Toma, prese la piccola e la sbattè contro il muro. Quattro, cinque volte la sbattè. Quello che è uno dei crimini più efferati di cui si sia a conoscenza era stato compiuto. 

I due ritornarono in paese, poi Biagio Toma prese il motorino e andò a bruciare i corpi delle vittime. Il giorno dopo Donato Mercuri ordinò a De Matteis e Toma di andare a seppellire i corpi, arrabbiandosi con i sicari che li avevano lasciati sulla porta del casolare. Impose loro di occultare i resti in posti diversi, per evitare che fossero ritrovate insieme. 
In serata i due sicari si recarono sul posto dell’orrore, presero la Rizzello che era bruciata. Toma la teneva per le braccia e De Matteis per i piedi, ma lo scheletro si spezzò in due, all’altezza del bacino.“Per terra era rimasta della pelle incollata”. La gettarono nella cisterna che si trovava sotto al casolare.
Presero poi un sacchetto di plastica, di quelli utilizzati dai contadini per il concime e misero dentro la povera Angelica. La caricarono nel bagagliaio di una 127 di colore bianco incidentata di dietro che avevano preso in prestito per l’occasione e la portarono sulla collina di Sant’Euleterio, la zona più alta del Salento da cui si gode un panorama mozzafiato, e la seppellirono. A qualche chilometro di distanza dal casolare in cui si era consumata la macabra storia.
Delle modalità del duplice omicidio fu informata Anna De Matteis che non commentò l’uccisione della bambina. Mercuri, invece, a Luigi De Matteis che gli rimproverava il coinvolgimento della piccola Angelica rispondeva: “Va bè, tanto cresceva come la madre”. Di quanto era successo fu ovviamente avvisato il mandante Luigi Giannelli, all’epoca detenuto nel carcere giudiziario di Lecce. A comunicarglielo fu la moglie Anna De Matteis durante uno dei periodici colloqui a cui partecipò anche Luigi De Matteis. Il capoclan si mise a ridere congratulandosi con il De Matteis per quanto fatto proponendogli l’affiliazione al gruppo assieme al cognato Biagio Toma. Proposta che i due rifiutarono. Furono, però, costretti ad accettarla in un secondo momento, quando vennero arrestati nell’agosto del 1991 per altri reati.

Il processo si concluse con la già citata sentenza n. 3 del 26 marzo 2001 della Corte d’Assise di Lecce. Furono condannati all’ergastolo Luigi Giannelli, sua moglie De Matteis Anna, e il loro luogotenente Donato Mercuri, attribuendo loro rispettivamente i ruoli di mandante, istigatrice ed organizzatore dell’omicidio di Rizzello Paola. “Mercuri, inoltre, veniva ritenuto colpevole dell’omicidio di Pirtoli Angelica, figlioletta di Paola Rizzello, e dell’occultamento del suo cadavere, al solo fine di assicurarsi l’impunità per il già eseguito omicidio della madre”.

La sentenza della Corte di Assise di Appello di Lecce del 29 maggio 2002 confermava le pene decise in primo grado e riteneva attendibili ed esaustive le dichiarazioni del De Matteis. 
“Tuttavia – si legge nell’Ordinanza – il ritrovamento dei resti della piccola Angelica, costituiva riscontro individualizzante unicamente nei confronti dello stesso De Matteis e non certo nei confronti del Toma che, non a caso, non è mai stato nemmeno indagato”.

Quindi, per essere chiari ed espliciti, colui che aveva massacrato la piccola Angelica l’aveva fatta franca. O almeno così sperava. Ma non poteva chiudersi così una storia simile, non poteva non avere giustizia la piccola Angelica.

Passano gli anni e pure tanti. Ben dieci tra la sentenza della Corte di Assise di Appello di Lecce e l’aprile del 2012 quando, un certo Donadei Massimo, affiliato al clan Giannelli, inizia a collaborare riconoscendo di far parte del clan Giannelli della Sacra Corona Unita. Le sue dichiarazioni consentono di far luce sulla struttura dell’organizzazione mafiosa e, colpo di scena, era anche molto ben informato sul duplice delitto Rizzello – Pirtoli.
L’uomo aveva appreso tramite il fratello Donato, anche lui affiliato al clan Giannelli, particolari sul duplice efferato crimine che gli erano stati raccontati da Donato Mercuri. In particolare è emerso che Biagio Toma cercò, tramite la moglie Sonia Schirinzi, in quanto detenuto, di contattare due ragazzi del posto, Mauro Russo e Vincenzo Greco per spostare il cadavere della piccola Angelica. Ma i due si rifiutarono.

Quando Biagio Toma fu scarcerato percosse Mauro Russo per il rifiuto, mentre Greco si era trasferito in un altro paese del Basso Salento.
Massimo Donadei dichiarò inoltre che “il comportamento tenuto dal Toma nella vicenda dell’omicidio della bambina, indusse i miei fratelli ad allontanarlo, così come gli altri del medesimo clan perché non fu condivisa la sua scelta di operare di iniziativa di uccidere la bambina, per cui fu malvisto da tutti. Lui percepì questa avversione e si distacco dal clan Giannelli e, per quanto mi consta, si avvicinò col tempo al clan Coluccia…”.

La Procura Distrettuale Antimafia di Lecce, tramite il Pubblico Ministero Giuseppe Capoccia, nei primi mesi del 2014, ha incaricato i Carabinieri del R.O.S., guidati dal Colonnello Paolo Vincenzoni, di trovare riscontro alle dichiarazioni di Massimo Donadei.

I risultati delle indagini sono stati positivi. Per quanto concerne la dinamica del duplice omicidio le dichiarazioni del Donadei Massimo coincidono perfettamente con quelle di Luigi De Matteis.

I Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale hanno ascoltato Mauro Russo, che è anche cognato di Biagio Toma, e Vincenzo Greco, cioè i due ai quali Toma avrebbe chiesto di spostare il corpicino della piccola Angelica. Russo ha negato questa circostanza così come ha negato pure di essere stato percosso da Toma. Vincenzo Greco, invece, ha fornito dichiarazioni concordanti con quelle di Massimo Donadei. 
Vincenzo Greco dichiarava agli uomini del Colonnello Vincenzoni di esesere stato, fino al 1997 circa, amico fraterno di Mauro Russo e che insieme frequentavano regolarmente Biagio Toma. Greco racconta un fatto determinante per le indagini, una confidenza di Mauro Russo che una volta, mentre si trovavano in macchina gli disse: “Sai che cosa mi ha chiesto Toma Biagio? Di spostare un sacco”. Senza fornire spiegazioni ai chiarimenti chiesti dal Greco. In una successiva dichiarazione Vincenzo Greco ha precisato che Mauro Russo gli aveva confidato: “Sai che mi ha chiesto Toma Biagio? Mi prendi e mi sposti una cosa?”. Non un sacco, come dichiarato precedentemente. Greco ha chiarito che aveva in un primo momento parlato di “un sacco” in seguito a una sua deduzione, scaturita dal ritrovamento del cadavere della piccola Angelica. Vincenzo Greco è ritenuto dagli inquirenti persona intellettualmente onesta e attendibile.

Questo quadro probatorio ha consentito al Giudice per le indagini preliminari, Simona Panzera, di emettere un’ordinanza di custodia cautelare, su richiesta del Pubblico Ministero, Giuseppe Capoccia, a carico di Biagio Toma. L’uomo, attualmente detenuto nel carcere di Trani, a giugno avrebbe finito di scontare la pena a tre anni e otto mesi di reclusione per estorsione. Il suo avvocato aveva presentato pochi giorni fa istanza al Tribunale di Sorveglianza per rientrare anticipatamente a Parabita in regime di detenzione domiciliare. Adesso, per lui, le cose si complicano notevolmente.
Scrive nell’Ordinanza il Giudice per le indagini preliminari: “Il lungo lasso di tempo trascorso dai fatti non può velare l’abominio compiuto.
Nella storia criminale nazionale non si ricordano condotte comparabili con quelle tanto sprezzanti del dolore innocente di una bambina di due anni, rimasta ferita in maniera non grave al piedino, lasciata disperata, nottetempo al buio in campagna, accanto al cadavere della madre ammazzata (un teste aveva ricordato di aver udito nel buio un cagnolino che ululava!) e quindi uccisa, senza nemmeno la pietà che si usa verso gli ovini. I mandanti dell’omicidio della Rizzello Paola scontano già da anni la giusta pena dell’ergastolo. Sino ad ora era mancata alla parola di De Matteis Luigi (reo confesso) il riscontro idoneo a concretizzare l’accusa contro Toma Biagio: la collaborazione offerta da Donadei e le inaspettate preziose conferme degli ultimi mesi quali si traggono dalle dichiarazioni di Greco Vincenzo consentono finalmente di avanzare una richiesta cautelare che attenui l’orrore dell’intera comunità salentina.
De Matteis, complice nell’abominio, almeno ha provato a riscattarsi con una spontanea confessione ed una collaborazione che consentì, all’epoca, una sicura conclusione del primo processo nei confronti dei mandanti”.

Questa storia così orribile dimostra che la mafia non ha nessun codice d’onore, ma è solo sopraffazione, violenza e morte. E non sono ammessi “se” e “ma”, non sono ammesse zone grigie nella società che producono un devastante consenso sociale alle organizzazioni criminali. In attesa che la giustizia faccia il suo corso per chiudere definitivamente questa storia, io mi sento da cittadino prima e da giornalista poi, di ringraziare quanti hanno sempre creduto nella giustizia per la piccola Angelica. Su tutti ringrazio la Procura Distrettuale Antimafia di Lecce diretta dal Procuratore Capo Cataldo Motta, il Pubblico Ministero Giuseppe Capoccia per la tenacia dimostrata in questi anni in cui ha condotto le indagini, il Giudice per le indagini preliminari che ha emesso l’Ordinanza e il Colonnello Paolo Vincenzoni, Comandante del Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri di Lecce, da lui magistralmente coordinato e diretto. Un reparto eccellente che anche in questa occasione ha dimostrato tutto il suo valore, operando in silenzio e lontano dai riflettori. Se potessi, li citerei tutti questi uomini.
Sono passati quasi 24 anni da quella maledetta sera del 21 marzo 1991. Finalmente giustizia sembra essere fatta. Adesso, riposa in pace piccolo Angelo.



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