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martedì 20 gennaio 2015

Haute cuisine

Masterchef, Prova del cuoco, le ricette della Parodi e mille altri momenti culinari. Accendi la TV in ogni ora del giorno e della notte, fai zapping e trovi almeno sei programmi in contemporanea che parlano di cucina. Da quella raffinata che propone tartufi, fois gras ecc, a quella più terra terra. E i programmi hanno successo evidentemente, i cuochi, pardon, gli chef che li conducono  sono solitamente ricchi, con almeno tre ristoranti sparsi per il globo, con una conoscenza universale dei prodotti, dal filetto delle vacche allevate da un solo pastore altoatesino una alla volta per non saturare il mercato, ai pesci che vengono pescati in un fazzoletto di otto metri quadri dell’Oceano Indiano, all'erbetta cipollina procurata da un santone pakistano che vive in montagna e ne raccoglie due soli steli ogni sei mesi, al formaggio fatto maturare nel fieno di fine maggio proveniente da una specifica collina monferrina, allo zafferano raschiato dal corpo nudo di giovani vergini che camminano fra i fiori dove il prezioso polline rimane attaccato alla loro epidermide. Per farne due grammi ci vogliono sei vergini. 
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E noi qui a dialogare sulle cime di rapa ci sentiamo dei reietti, a volte ci si vergogna un po’ di aprire il frigorifero e non sentire neppure il profumo di un tartufo d’Alba raccolto alle 6,48 di un mattino di dicembre (unico momento giusto per farlo) dal cercatore Flaminio che viaggia con la scorta perché lo venderà pesandolo con la bilancia degli orefici (e degli spacciatori), sei tartufi l’anno sono sufficienti per mantenere un tenore di vita più che dignitoso a lui, alla sua famiglia e a quelle dei suoi sette figli.

Negli ultimi anni, chissà se per colpa della crisi, stanno aumentando a dismisura gli appassionati di cucina. Dalle gare per giornalisti, a D’Alema che cucina in diretta TV un risotto. A proposito di risotti, pare sia il piatto preferito dagli uomini che vogliono fare colpo su una signora, è fine, presenta bene, è buono. E poi, diciamolo, è facilissimo da preparare, basta conoscere tre regole basilari e il gioco è fatto, attenti a non scuocerlo, sarebbe un delitto. Eh si, il risotto è un piatto raffinato, non me lo vedo proprio D’Alema ai tempi in cui voleva conquistare sua moglie, invitarla a cena e offrirle lingua salmistrata in salsa verde o pasta alla puttanesca.
Col risotto si potrà dire in rima: “galeotto fu il risotto”. Suona meglio di “che bella tresca con la puttanesca”.
Quindi le cucine, in un misto di Masterchef, la Parodi che gioca a fare la brava massaia (gioca solo però, mia madre quando vedeva una vestita come lei alla TV, intenta a cucinare o a lavare i piatti era solita dire “quella di piatti ne lava pochi, e non pulisce certo i polli dalle interiora” lo diceva in dialetto ed era decisamente più incisivo, faceva riferimento a pulire i polli partendo dalla parte posteriore nella qualle occorreva penetrare con le dita), queste cucine, dicevo, si arricchiscono di nuovi strumenti tipo “il coppa pasta” o altre diavolerie, l’olio diventa EVO (altro che il prosaico extra vergine di oliva), c’è il sac a poche (che noi villani potremmo chiamare tasca da pasticceria, per esempio), e non tutti sanno che il nome dell’ormai desueto Sartù di riso deriva da Sur tout (sopra tutto). Neppure si sa che è esattamente quella cosa che mia madre faceva con una certa regolarità e chiamava sformato di riso, noi siamo peones, in fondo. E poi i neologismi come l’inquietante, orripilante, terrificante: impiattare!  Ogni tanto, a tavola con amici che hanno appena “impiattato”, mi vien da dire “ti imbicchiero un po’ di vino?”
Bah, saranno anche utili i programmi, o meglio, lo sarebbero se si limitassero a parlare di cose di ogni giorno, invece alcuni sembrano proprio come il racconto del padre poverissimo che diceva al suo figliolo “se fai il bravo ti porto a vedere quelli che mangiano il gelato”. Intanto guardo in strada e vedo passare un furgone, il faccione è il suo, uno chef di grido, che si occupa solo di altissima cucina (alta come prezzi che pratica, soprattutto) si chiama Craco. Pubblicizza una vera raffinatezza, un lusso, la patatina che fa crock. Chiamatela come vi pare: haute cousine, provocazione gastronomica dell’artista o sottile forma di (diciamolo in francese, alla maniera degli chef) prostitution.

E va bene, oggi ciceri e tria e non ne parliamo più. 

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