E’ stato pubblicato il
rapporto SVIMEZ 2014. L’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno
ogni anno pubblica una fotografia della situazione del meridione. Come
intuibile, le cose nel 2013 sono andate malissimo, non meglio ci aspettiamo di
leggere l’anno venturo quando verranno prese in esame le cose dell’anno in
corso. Ne esce l'immagine di un sud in via di desertificazione industriale ed umana, emigrazione, deindustrializzazione e soprattutto incuria per una fonte di reddito che dovrebbe essere primaria: cultura e turismo.
Ne estrapoliamo alcuni
passaggi, chi volesse leggersi il rapporto lo trova all'indirizzo internet: svimez
2013: la crisi continua soprattutto al Sud – Anche nel 2013 sono state quelle dei Paesi emergenti (Cina,
India, Brasile e Russia) le economie più dinamiche, mentre il Pil nell’Unione
europea è ristagnato a +0,1%, fino a scendere nell’area Euro a -0,4%, con
flessioni più pesanti in Grecia (-3,9%), Italia (-1,9%) e Spagna (-1,2%). Tra
il 2008 e il 2013, negli anni di crisi, il Pil dell’area Euro ha perso quasi
due punti percentuali, ma con forti differenze tra i Paesi: dal -5,9% della
Spagna al -8,5% dell’Italia, fino al -23,7% della Grecia. Situazione
diametralmente opposta, nello stesso periodo in questione, per i Paesi
dell’Unione fuori dall’area Euro, che hanno registrato un incremento del Pil
del +7,1%. Tra le principali economie industrializzate, principalmente per
effetto della crisi di competitività che la colpisce da oltre dieci anni,
l’Italia è fra le più lente a recuperare: dal 2001 al 2013, a fronte di un
incremento di 15 punti percentuali in Germania, di 19 in Spagna, di oltre 14 in
Francia, e di un segno positivo perfino in Grecia, +1,6%, il Pil nazionale ha
registrato una flessione dello 0,2%, per effetto dell’ampia forbice tra un
Centro-Nord positivo (+2%) e un Mezzogiorno fortemente in ribasso (-7,2%).
Nel
mezzogiorno il PIL è crollato del 3,5%, aggiunto al calo dell’anno precedente
(3,2%) possiamo parlare di situazione catastrofica.
A livello
regionale nel 2013 segno negativo per tutte le regioni italiane, a eccezione
del Trentino alto Adige (+1,3%) e della stazionaria Toscana (0%). Anche le
regioni del Centro-Nord, sono tornate a segnare cali significativi, come l’Emilia
Romagna (-1,5%), il Piemonte (-2,6%), il Veneto (-3,6%), fino alla Valle
d’Aosta (-4,4%). Nel Mezzogiorno la forbice resta compresa tra il -1,8% dell’Abruzzo
e il - 6,1% della Basilicata, fanalino di coda nazionale, che ha registrato un
segno così negativo per la crisi dell’industria meccanica e dei mezzi di
trasporto. In posizione intermedia
la Campania
(-2,1%), la Sicilia (- 2,7%), il Molise (-3,2%). Giù anche Sardegna (-4,4%),
Calabria (-5%) e Puglia (-5,6%).
I consumi,
ovviamente, sono in calo verticale (-2,4% nel 2013, -12,7% nel quinquennio
2008/2013, oltre il doppio del dato delle regioni settentrionali -5,7%).
Gli investimenti –
Anche nel 2013 gli investimenti fissi lordi hanno segnato una caduta maggiore al
Sud rispetto al Centro-Nord: -5,2% rispetto a -4,6%. Dal 2008 al 2013 in più
sono crollati del 33% nel Mezzogiorno e del 24,5% nel Centro-Nord. A livello
settoriale, crollo epocale al Sud degli investimenti dell’industria in senso
stretto, ridottisi
dal 2008 al
2013 addirittura del 53,4%, più del doppio rispetto al già pesante calo del
Centro-Nord (-24,6%). Giù anche gli investimenti nelle costruzioni, con un calo
cumulato del -26,7% al Sud e del -38,4% al Centro-Nord, in agricoltura, (-44,6%
al Sud, quasi tre volte più del Centro- Nord, - 14,5%) e nei servizi collegati
all’industria: -35% al Sud contro il -23% al Centro-Nord.
Dati che,
secondo le previsioni, risulterebbero quasi inalterati nel 2014, dove il PIL
nazionale potrebbe essere - 0,4% , trainato d aquello meridionale -1,5%. Forbice
ancora divaricata nel 2015: il Pil nazionale secondo le stime SVIMEZ è previsto
a +0,8%, quale risultato tra il positivo +1,3% del Centro-Nord e il negativo
-0,7% del Sud. In risalita nel 2015 i consumi nel Centro-Nord (+0,4%),
mentre flettono ancora al Sud (-0,2%). Stessa dinamica per gli investimenti:
+0,5% nel Centro-Nord, a fronte del -1,6% al Sud.
Agricoltura – Il
valore aggiunto del settore agricolo meridionale (che raccoglie l’insieme di agricoltura,
silvicoltura e pesca) nel 2013 ha segnato +6,9%, rispetto al +4,8% del
Centro-Nord. Nonostante ciò, negli ultimi sei anni di crisi il valore aggiunto
del settore agricolo meridionale ha lasciato sul campo -8,8%, a fronte del più
contenuto calo del Centro-Nord (-2,1%). Se cresce la produzione di grano duro
(+10%) e del comparto vitivinicolo (+14,5%), è pur vero che perdono il pomodoro
(-11,7%), la patata (-23%) e l’olivo (-8,6%). Buone le esportazioni: negli anni
di crisi 2007-2013 l’export agricolo meridionale è cresciuto del 25%, una performance
decisamente migliore del Centro-Nord (+17,7%)
Industria: al Sud continua a soffrire di più - Riguardo all’industria in senso
stretto, a livello nazionale il valore aggiunto nel 2013 è sceso del 3,2%, una
flessione risultante dal -2,7% del Centro-Nord e dal -6,5% del Sud, per effetto
del calo sia della domanda interna che estera. Molto decisa la lontananza con
le performances europee (-0,6% media dell’Eurozone). Non va meglio per il
comparto manifatturiero, con il dato nazionale in calo del 3,1% (-2,6% nel Centro-Nord
e addirittura -6,7% nel Mezzogiorno). Sul totale della ricchezza prodotta in
Italia il valore aggiunto dell’industria in senso stretto nel 2013 è stato pari
al 20,7% nel Centro-Nord e all’11,8% al Sud. A livello regionale, l’Abruzzo si
conferma in linea e anzi superiore al Centro-Nord, con un valore del 21,8%,
seguito dal Molise con il 17% e dalla Basilicata (14,5%). In coda la Sicilia
(8,2%) e la Calabria (7,6%), tutte comunque in calo rispetto ai valori già
bassi registrati nel 2007. Nel 2013 la quota del valore aggiunto manifatturiero
sul Pil è stata pari al Sud al 9,3%, un dato ben lontano dal 18,6% del Centro -
Nord e dal 20% auspicato dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. Dal
2008 al 2013 il settore manifatturiero al Sud ha perso il 27% del proprio
prodotto, e ha più che dimezzato gli investimenti (-53%). La crisi non è stata
altrettanto profonda nel Centro-Nord, dove la diminuzione di prodotto e
occupazione è stata di circa 16 punti inferiore, quella degli investimenti di
oltre il 24%.
Quanto
all’occupazione, nel 2013 i posti di lavoro nel settore sono scesi al Sud del
4% contro il - 0,9% del Centro-Nord. Dal 2009 al 2013 il comparto
manifatturiero meridionale si è avviato verso una vera e propria débacle,
perdendo poco più del 20% degli occupati, pari a circa 166mila posti di lavoro
in meno, una percentuale superiore a quella del Centro-Nord (-15%, cui
corrisponde una perdita di ben 582mila posti di lavoro). Le imprese meridionali
continuano a essere di piccole dimensioni: in dieci anni, dal 2001 al 2011, il peso
delle micro imprese under 9 addetti è passato dal 33,9% al 37,6%. Gli
addetti nell’industria in senso stretto al Sud nel 2013 sono scesi dai 43,6 per
mille abitanti del 2008 ai 37,4 del 2013.
Cosa dice la SVIMEZ- Il Rapporto SVIMEZ 2014 evidenzia due grandi emergenze nel nostro Paese:
quella sociale con il crollo occupazionale, e quella produttiva con il rischio
di desertificazione industriale, che caratterizzano ormai per il sesto anno
consecutivo il Mezzogiorno. Nel caso del Mezzogiorno la peggior crisi economica
del dopoguerra rischia di essere sempre più paragonabile alla Grande
Depressione del 1929. Gli effetti della crisi si sono fatti sentire anche al
Centro-Nord,
e non certo per colpa del Sud; ma anche l'area più forte del Paese rischia di
non uscire dalla crisi finché non si risolve il problema del Mezzogiorno, in
quanto una domanda meridionale così depressa ha inevitabili effetti negativi
sull'economia delle regioni centrali e settentrionali. Secondo la SVIMEZ, dopo il
fallimento delle politiche di austerità che hanno contribuito all'aumento delle
disparità tra aree forti e deboli dell'Ue, e' giunto il momento di
mettere in
campo una strategia di sviluppo nazionale che ponga al centro il Mezzogiorno, e
sia capace di coniugare un'azione strutturale di medio-lungo periodo fondata su
alcuni ben individuati drivers di sviluppo tra loro strettamente connessi con
un piano di "primo intervento" da avviare con urgenza: rigenerazione
urbana, rilancio delle aree interne, creazione di una rete logistica in un'ottica
mediterranea, valorizzazione del patrimonio culturale.
Nel 2013 occupati al Sud come nel 1977 – Il Mezzogiorno tra il 2008 ed il 2013 registra una caduta
dell’occupazione del 9%, a fronte del -2,4% del Centro-Nord. Delle 985mila
persone che in Italia hanno perso il posto di lavoro, ben 583mila sono
residenti nel Mezzogiorno. Nel Sud, dunque, pur essendo presente appena il 26%
degli occupati italiani si concentra il 60% delle perdite determinate dalla
crisi. In calo soprattutto l’occupazione giovanile: al Sud nel 2013 fra gli under
34 flette del 12%, contro il -6,9% del Centro-Nord. Nel solo 2013 sono
andati persi 478mila posti di lavoro in Italia, di cui 282mila al Sud. La nuova flessione riporta il numero degli
occupati del Sud per la prima volta nella storia a 5,8 milioni, sotto la soglia
simbolica dei 6 milioni; il livello più basso almeno dal 1977, anno da
cui sono
disponibili
le serie storiche basi di dati. E se negli anni ’70 il tasso di occupazione al
Sud era del 49%, sceso nel 2013 al 42%, al Centro-Nord le cose sono andate
decisamente diversamente: dal 56% degli anni settanta il tasso di occupazione
nel 2013 arriva a sfiorare il 63%. Sia il 42% del Mezzogiorno che il 63% del
Centro-Nord sono però tassi di occupazione decisamente lontani dal target del
75% di Europa 2020.
Il tasso di disoccupazione corretto: al Sud dal 19,7 al 31,5% - Il tasso di disoccupazione ufficiale
rileva però una realtà in parte alterata. La zona grigia del mercato del lavoro
continua ad ampliarsi per effetto in particolare dei disoccupati impliciti, di
coloro cioè che non hanno effettuato azioni di ricerca nei sei mesi precedenti
l’indagine. Considerando questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo nel Centro-Nord sfonderebbe la soglia
del 13% (ufficiale: 9,1%) e al Sud passerebbe dal 19,7% al 31,5 %.
Il rapporto analizza poi i diversi
settori produttivi (manifatturiero
terziario ecc.), ci soffermiamo solo su quello che ci sta più a cuore,
il settore dell’industria culturale che potrebbe essere il vero volano, assieme
ad un turismo consapevole, di un rilancio del meridione tutto, in particolare
del Salento. La mancata designazione di Lecce capitale di Cultura 2019, a parer
mio, più che di altre eccellenze assolutamente meritorie e dignitose, è stata
figlia anche di una improvvisazione che ha visto cordate simil- imprenditoriali
correre per accaparrarsi pezzi di possibili guadagni.
Industria culturale –
Negli ultimi Rapporti la SVIMEZ ha evidenziato come il patrimonio territoriale
e culturale del Mezzogiorno possa diventare componente chiave dello sviluppo
del territorio, attraverso la creazione di un’adeguata offerta di strutture,
servizi per l’accoglienza a sostegno dei già presenti musei e beni culturali e
altre attività che possano spaziare dall’enogastronomia al folclore. Continua
però a essere molto diffusa in alcune regioni meridionali
la
considerazione secondo cui la cultura sia un “lusso” che non produce reddito.
Non a caso, secondo un’indagine SVIMEZ svolta sulla base dei Conti Pubblici
Territoriali, la spesa in conto capitale nel settore tra il 2000 e il 2011 è
crollata al Sud del 47,5%; negli anni di crisi 2007-2011 è discesa ancora fino
al -54,7%, con punte di circa il -55% in Campania e Puglia e addirittura -73%
in Sicilia.
Gli occupati nel settore – Nel 2013 nell’Europa a 28 erano occupate nel settore culturale 3,6 milioni
di persone, circa l’1,7% del totale. Inteso “in senso stretto”, il settore ha
occupato in Italia nel 2013 l’1,2% degli occupati totali, pari a 269mila
persone, di cui il 43% donne e il 42% laureati, confermandosi come un’area a
forte vocazione femminile e con impiego di capitale umano altamente
qualificato. Dei 269mila occupati, però, 224mila sono al Centro-Nord, e solo
45mila sono nel Mezzogiorno. Lazio, Lombardia, Trentino e Valle d’Aosta
concentrano buona parte degli occupati; solo briciole, invece, in Calabria,
Umbria, Puglia e Molise. Politiche di valorizzazione dell’industria culturale
finanziate con risorse nazionali e Fondi strutturali potrebbero porsi l’obiettivo
di raggiungere al Sud entro la fine del ciclo di programmazione 2014-2020 una
quota di occupati simile a quella dell’altra ripartizione, con la creazione di
almeno 40mila posti di lavoro, di cui 15mila laureati. Considerando invece il
settore culturale “allargato”, inglobando cioè i settori industriali e terziari
che contribuiscono alla realizzazione dei prodotti culturali, nel 2013
nell’Europa a 28 sono stati 17,2 milioni gli occupati, pari a una quota del
7,9% sul totale. Se Svezia (12,4), Finlandia (11,4%), Irlanda (10,6%) superano
la media Ue, l’Italia si ferma invece al 7,1%, pari a 1 milione 600mila posti
di lavoro. Di questi, 1 milione e 300mila sono nel Centro-Nord, circa 289mila
al Sud. Anche in questo caso, un utilizzo sapiente delle risorse nazionali ed
europee, unito a una precisa volontà politica di sostegno al settore potrebbe
creare 180mila nuovi posti di lavoro nel Mezzogiorno, di cui circa 80mila
laureati.
Va rilevato
che tra il 2010 e il 2013 l’occupazione nel settore culturale in senso stretto
è cresciuto del 4,8%, in controtendenza rispetto alla crisi, a seguito però
esclusivamente di una decisa espansione nelle regioni del Centro-Nord. Dinamica
divergente considerando l’occupazione nel settore culturale in senso allargato;
qui cresce nel Mezzogiorno e flette nell’altra ripartizione, facendo emergere
potenzialità di crescita da meglio utilizzare.
(Dalle parole del rapporto SVIMEZ ,
associazione non aderente a organizzazioni anarco insurrezionaliste, si evince
chiaramente la pochezza intellettuale ed etica di chi andava dicendo che la
cultura non si mangia. N.d.r.)
Criminalità organizzata e crisi – Negli ultimi anni è in parte cambiato il profilo delle
grandi organizzazioni criminali italiane, sia per effetto della crisi che dei
duri colpi inferti dalle inchieste giudiziarie e dalle catture di esponenti di
spicco. Le organizzazioni continuano a operare controllando il territorio,
intrecciando rapporti collusivi con settori dell’economia legale e istituzionale
e mescolandosi con la società civile e con il mondo imprenditoriale. Tre i modi
con cui realizzano profitti: l’usura, alimentata dalla richiesta di liquidità
degli imprenditori soprattutto in tempi di crisi, e dalla necessità di
riciclare denaro sporco, presente soprattutto nel Mezzogiorno; la concorrenza
sleale contro le imprese non legate alle cosche; la collaborazione con le
imprese fuori dal circuito mafioso che scelgono espressamente di entrarvi per
realizzare maggiori profitti. Che la recessione economica favorisca le mafie è
tutto da dimostrare; il rallentamento delle spese da parte della PA, il crollo
degli introiti delle aziende, un tempo sottoposte all’obbligo di pagamento del “pizzo”,
hanno cambiato in parte anche il raggio d’azione delle organizzazioni criminali.
Segue
l’elenco e l’analisi delle varie organizzazion criminali, citiamo quella che
riguarda direttamente il Salento.
Sacra Corona Unita – La Sacra Corona Unita è la più nota organizzazione criminale pugliese, presente
nel Salento; un’organizzazione mafiosa estremamente localizzata, senza una
tendenza espansionistica al di fuori del territorio di appartenenza, in cui
convive accanto ad altri gruppi criminali a Bari e Foggia. Resta una struttura
attiva nel settore economico, usura, gioco d’azzardo, commercio di merce
contraffatta, il cui ruolo centrale consiste nel regolare i rapporti nella
società civile in sostituzione agli organi istituzionali dello Stato: basti
pensare al ricorso di alcuni creditori per il recupero delle somme dovute.
E’ sufficiente leggere i
quotidiani locali per capire come auto che bruciano ogni notte, pallottole
inviate ad amministratori e via dicendo facciano parte di una quotidianità che,
auspichiamo, non deve diventare routine, riprendere in mano l’indignazione di
fronte a illeciti comportamenti, siano essi abusi edilizi o corruzione o altro,
è indispensabile per crescere culturalmente, eticamente ed economicamente. Al
momento le organizzazioni criminali stanno strozzando l’economia.
Scheda Regione Puglia
2013
PIL
Pil 2013 (var. %
rispetto all'anno precedente) -5,6
PIL 2013 (in milioni
di euro correnti) 67.520,8
PIL pro capite (euro)
16.512,2
PIL pro capite
(Italia=100) 64,9
Popolazione residente
anagrafe (migliaia) 4.090,3
Popolazione residente
(var. % 2000-2013) 0,1
Tasso di natalità
(valori per 1.000 ab.) 8,3
Tasso di mortalità
(valori per 1.000 ab.) 8,8
Saldo migratorio
totale 2012 (migliaia di unità) -11,3
Speranza di vita alla
nascita - maschi (numero medio di anni) 80,2
Speranza di vita alla
nascita - femmine (numero medio di anni) 84,7
Export (milioni di
euro) 7.947,4
Export (var. %
2012-2013) -10,4
Quota % delle
esportazioni verso l'UE 27 (2013) 52,6
Mercato del
lavoro
Occupazione (var.
assoluta 2013 - migliaia di unità) -81,4
Occupazione (var. %
2012-2013) -6,6
Occupati 2013
(migliaia) 1.155,9
Tasso occupazione
totale 42,3
Tasso occupazione
maschile 55,4
Tasso occupazione
femminile 29,5
Tasso di attività
2013 52,9
Cig totale attività
manifatturiera (in migliaia di ore) 44.792
Tasso disoccupazione
ufficiale 19,8
Tasso disoccupazione
maschile 17,8
Tasso disoccupazione
femminile 23,3
Tasso disoccupazione
giovani entro 24 anni 49,7
Disoccupati (var. %
2012-2013) 23,9
Tasso di
disoccupazione "corretta" (2013) 30,8
Giovani Neet 15-34
anni (migliaia) 356,3
Occupati residenti
che lavorano al Centro-Nord o all'estero 19.455
Quota di emigranti in
possesso di laurea (2012) 27,6
Distribuzione
dei redditi, povertà, benessere
Percentuale di
famiglie residenti che percepiscono meno di 6.000 €/anno 2,4
Percentuale di
famiglie residenti che percepiscono meno di 12.000 €/anno 6,6
Percentuale di
famiglie residenti monoreddito 51,9
Percentuale di
famiglie con 3 o più familiari a carico 13,0
Famiglie povere nel 2013 in % sul
totale famiglie (povertà relativa) 23,9
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