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venerdì 26 settembre 2014

Vita che scorre dietro occhi che guardano il mare

Girovagando ho trovato questa roba che scrissi nel lontano 2008. 
Vita che scorre dietro occhi che scrutano il cielo. Quasi il tempo infinito di una notte piena di stelle. “Quanti passi da qui al quella più lontana?” “Contiamoli”.
Squarci di ricordi fra i pensieri. Come tele di Fontana con quell’inquieto taglio di cui troppi hanno scritto per interpretarlo. Non sono un critico d’arte. Più banalmente mi limito ad osservare e a ringraziare chi ha osato andare oltre la tela, trapassare il quadro, uscire dai confini delimitati. “Troppi pittori in giro, pochi artisti” mi dice l’anziano gallerista di fronte ad un nudo velato da un drappo azzurro intenso.
Ed ha ragione in fondo. Pochi osano veramente. Pochi contano i passi da qui alla stella più lontana. E troppo spesso li si vorrebbe instradare per vie più note e tranquille. Anche a costo di pagare il prezzo di restare immobili, senza progredire.   Perché senza di loro, senza chi osa uscire dalla tela, andare oltre il dipinto, non c’è progresso. Non quello dei cellulari e dei computer. Un altro progresso, quello delle emozioni e delle intelligenze che guardano nascere fiori o volare rondini. Quello che ci aiuta a sentirci più liberi nonostante questo mondo così assurdamente avvolto su sé stesso. La grandezza del bimbo che vuol prendere tra le mani il fumo di una sigaretta è pari solo al volo di Icaro.  Lui osa.
Abbiamo visto squarciare molte tele da folli idealisti nel tempo. Guevara come Camillo Torres. Falcone come Peppino Impastato. Accidenti quante morti violente. Ma quante vite continuano ogni giorno dicendo sottovoce che non ci stanno. Cercano serenità nella loro rabbia, guardano, scrutano , divorano ogni giorno il giorno che arriva. Vite anonime, ma di una grandezza immensa. Tele squarciate nel quotidiano. Ogni giorno li contano uno ad uno quei passi. Un tango nella rotonda sul mare. Come quella cantata da Fred Bongusto. Loro danzano leggeri come fogli di carta. In nero entrambi. Pare che il caldo di questo scirocco che fa appiccicare la camicia alla pelle non sia roba che li riguarda. “Lo scirocco fa impazzire. Troppi tentati suicidi da queste parti”. Ma Fontana è altra storia.   Lui è uscito per urlare rabbia.
Questi squarci da scirocco sono muti, lasciano annichiliti. E camminando verso casa si sente la musica di una banda in lontananza. Feste patronali ovunque. E arriva anche l’eco di chi non può più farcela sopravvivere. Perché la vita è cara, perché c’è aria di rassegnazione in giro. Perché chi sta in alto parla di giustizia e se ne frega della benzina e del pane. Uno squarcio nella tela occorre pur farlo ora.  Fontana è anche questo. Le colline del Monferrato sono unite al mare di Salento proprio da questo taglio. Paiono immutati da sempre, ma si muovono, arrivano a lambire coscienze. A carnevale si bruciano falò a Solero, a Pasqua si brucia l’inverno a Gallipoli. Chiediamo solo uno sforzo di fantasia a chi governa e a chi si oppone, perché ci sentiamo uguali e con pari dignità. Basta poco in fondo.
“Quanti km/civiltà da qui all’Europa?...” mi scriveva un antico compagno dall’America Latina. Già, quanti sono?  Meno, molto meno dei passi che ci dividono dalla stella più lontana. Però questa  la vediamo, e a volte riusciamo da amarla. Perché è li che ci accompagna. Perché ci ricordiamo di quella fiaba dei nativi americani che credevano che ogni bimbo morto diventasse una stella. In questa notte che ha fermato il tempo le parole fluiscono senza senso apparente, senza un filo che le leghi. Quasi un pezzo jazz che parte da una base e diventa  improvvisazione. Coinvolge chi suona e chi ascolta. “Ho parenti in Piemonte, però non è una cosa strana, ogni famiglia ha parenti al nord, siamo emigranti da sempre” mi dice la signora seduta accanto a me. Non è strano, anzi, è la norma. Perché noi settentrionali eravamo persone per bene un tempo. Disposte ad  accogliere anche senza prendere impronte digitali.
In questo sud le tradizioni sono merce preziosa, come lo è il dialetto. Qui si vive il presente con un occhio rivolto al passato. La storia come patrimonio. Il massacro di Otranto ancora vissuto con orrore. Le torri di avvistamento stanno ancora sul mare. A una distanza tale l’una dall’altra da essere raggiunte con un segnale luminoso per urlare l’allarme. Perché se arrivavano i turchi crudeli era massacro un’altra volta. Perché tutto questo territorio era “Terra D’Otranto”. Poi il fascismo stabilì che Lecce era provincia, come Brindisi e Taranto. Oggi sbarcano altri “turchi invasori”, però non sono temuti qui al sud. Perché la miseria la conoscono bene. In Scozia c’è una legge che impone a chiunque l’obbligo di dare un bicchiere d’acqua a chi ha sete. C’è stato bisogno di una legge, accidenti. Qui no, è sufficiente uno sguardo.
Quanto porta lontano un taglio su una tela. Esplodono pensieri e si inseguono. Una girandola luminescente. Fra poco arriverà l’alba e tornerà la vita in strada. Turisti si rosoleranno in spiaggia, “noi scendiamo a mare dopo le 11, i milanesi vanno a pranzo e c’è meno confusione”. Ma non è una forma di separatismo, è voglia di vivere il mare come noi “milanesi” non sappiamo fare. Perché loro conoscono i venti e le onde. Perché sanno che “le nuvole sul mare non portano pioggia, quando sono dall’altra parte è possibile”. Noi aspettiamo e non parliamo con il mare. Siamo in balia degli eventi. Lo scirocco è finito, i danzatori di tango se ne sono andati da tempo. Chissà se si è girato a tramontana o libeccio. Non lo capisco mica. Domani chiederò a chi sa.

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