Uno sfogo vero e proprio quello di Giulio Cavalli nel suo
blog . Parla di Robin Williams e della depressione che divora. Il male
oscuro che si insinua e non è riconosciuto, il più delle volte, oppure, molto
più spesso, fa trattare il depresso come un privilegiato, come dice Cavalli,
“sei depresso? Perché hai il tempo per esserlo…” e simili amenità che si
propinano quotidianamente quasi esserlo fosse un lusso, una fola, un vezzo. Quando poi
il depresso arriva al suicidio ancora si sente qualcuno che dice “e si che aveva tutto” e ancora "non lo dava a vedere, strano gesto...".
Termina Cavalli con una frase che lascia emozione, timore,
tristezza, rabbia:
“E
allora ho pensato che non sopporto un posto (appunto) ed un momento in cui
temete i fragili perché siete codardi. Perché temete di non avere energie anche
per loro come se ci fosse una competizione tra malati e sani”...
Ma dove iniziano i sani e dove i malati? Quali sono i
confini della depressione? Il depresso è molto spesso solo proprio perché
incapace di tirar fuori la sua malattia, quasi la vivesse come una vergogna,
un’onta, qualcosa da nascondere, come i famosi pugni che chiudono mani sporche.
“Da tempo era triste…” poi si è impiccato, e se si chiama
Robin Williams è ancora peggio (per lui), è peggio perché è famoso e troppi si
sentono in dovere di giudicare anziché fermarsi a riflettere. Ci sono molto
modi di suicidarsi, in fondo. C’è la
droga, l’alcool, il suicidio tout court, non mediato da falsi alibi. E c’è nel
fondo e nel sottofondo la sensazione di avere fallito tutto, di essere inutile,
di non volercela fare più.
Bene descrive Cavalli quello che accade, che gli è accaduto,
e che in questo momento stanno vivendo molti “privilegiati”:
“…Ho
avuto il corpo e la bocca fermi mentre nel cervello passavano tutte le cose che
avrei dovuto fare o dire almeno per essere educato (per chi, poi?) mentre guardavo scivolare via
un aperitivo od una riunione come se fosse un brutto film in seconda serata, da
spettatore passivo. Ho nascosto la malattia per la paura di sembrare un debole
mentre nascondevo il marcire nelle mie debolezze. Ho urlato senza senso e poi
mi sono frollato nei miei sensi di colpa, e poi ancora mi sono ucciso per il
mio senso di soddisfazione nel sentirmi in colpa e poi ancora mi sono sentito
in colpa per il mio stupido modo di sentirmi in colpa. Ho visto nero,
dappertutto, contando le briciole degli altri per difendermi dai miei buchi che
sanguinavano in giro. Sono stato depresso, insomma, depresso tutto per bene con
la malattia nascosta a tutti come fanno i depressi che si convincono di farcela
da soli almeno per non doverlo raccontare a nessuno”…
E sta nelle ultima
parole lo snodo: i depressi che si convincono di farcela da soli… solo che non
sempre (quasi mai) scattano i meccanismi sociali che proteggono, avvolgono. La
solitudine diventa più importante della socialità e non sempre chi sta attorno
al depresso riesce a cogliere, meglio far finta di non vedere, meglio non
imporsi “in fondo è una sua scelta voler stare solo”. Per esserci, forse, è
necessario avere solide radici, solidi convincimenti, è necessaria qualche
forma di amore, andarsene è più facile, soprattutto se dietro il rispetto della
scelta si insinua il dubbio o il sospetto che non sia solo scelta di
solitudine, ma che ci sia malessere vero, profondo, che può sprofondare.
Quest’anno maledetto si è suicidato Gianni, un amico che non vedevo da tempo.
Anche lui come Robin Williams si è impiccato una sera di primavera. Anche lui,
come Williams, era del 1951. Chissà se l’età presenta i conti della vecchiaia
impellente e che, forse, la nostra generazione non ha imparato a vivere. L’età
in cui ci si rende conto che la rivoluzione non è più all’ordine del giorno e
che il vero è, questo si, inverosimile molto spesso. E bene sappiamo che quella
rivoluzione era un’altra cosa, era il regno di utòpia. Perché il realismo e la
realtà non si confanno alla vita, alla morte. Un tramonto, un’alba, cosa
c’entrano con una guerra combattuta in nome di Dio? Macchè, nonostante l’età non è logico, proprio
non si riesce a capire.
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