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giovedì 28 marzo 2013

Di cupole, dittatori e centralismo democratico


Centralismo democratico: Sistema di stampo leninista in cui le decisioni venivano dibattute nel partito e quella che usciva vincente veniva difesa da tutti i membri del partito senza più discussione.

Cupola mafiosa:  “Direttorio” fatto dai capi mandamento delle varie “famiglie” che decidono la spartizione dei territori e le varie “operazioni” delle famiglie stesse. Una struttura piramidale in sostanza.

Dittatura: Forma di governo in cui i poteri sono accentrati nelle mani di un solo organo, molto spesso di un solo uomo (il dittatore) non limitato da leggi, costituzioni o altro.

 Sono tre esempi limpidi di governo delle cose e delle persone che mettono al centro l'indiscutibilità delle scelte prese dall'alto. Il primo, il centralismo democratico, in realtà aveva una sua coerenza nell’istituzione partito in quanto poneva i suoi membri di fronte alla scelta “democratica” assunta nelle discussioni precedenti, peccato però che non tenesse conto della mancanza del vincolo di mandato per cui ogni eletto deve rispondere solo ai suoi elettori e a sé stesso, il seguire o meno le indicazioni di partito lo ponevano fuori dallo stesso, non già dall’istituzione.
Quando in un partito (o movimento) chi non sta alle regole dettate dall’alto è messo fuori, di cosa parliamo? “A Federica Salsi e Giovanni Favia è ritirato l’utilizzo del logo del MoVimento 5 Stelle. Li prego di astenersi per il futuro a qualificare la loro azione politica con riferimento al M5S o alla mia figura” (Beppe Grillo). I due erano colpevoli di non aver fatto alla lettera quello che il direttorio aveva detto, la prima aveva osato parlare con i giornalisti, il secondo in un fuori onda diceva che Grillo è nelle mani di Casaleggio.  E Roberto Fico, deputato di fede grilliana, non la manda a dire: “Se uno vota contro la decisione dei gruppi, stavolta, è fuori. Se al Senato votano contro in 53, sono fuori in 53". Il vincolo di mandato è bello e liquidato.
A questi comportamenti diciamo così “austeri” si aggiunge la supponenza e l’arroganza di chi pensa di appartenere all’unica casta in grado di cambiare il mondo, incredibile quello che si è sentito dopo le consultazioni con Bersani, solo Silvio da Arcore avrebbe osato tanto: 
 “O governo 5 stelle o governo 5 stelle”, ha detto la Lombardi  E. Crimi: “Noi proveremmo a fare il governo perché a differenza degli altri abbiamo la credibilità: noi in questi tre anni abbiamo fatto quello che dicevamo e detto quello che avremmo fatto. I numeri? Sarà responsabilità degli altri partiti...”   In una botta sola sono stati spazzati via i principi fondamentali delle democrazia, la politica è l’arte del compromesso, ognuno deve calibrare e valutare le proprie forze e metterle a disposizione di soluzioni per il buon governo. Purtroppo da vent’anni così non è più, si è nei fatti aperto ad ogni nefandezza, la buona politica ha in questi ultimi tempi fatto rima con volgarità. Ed è una volgarità di atti e di parole e terminologia che ha contaminato ogni parte politica, fino ad un assessore cantautore che dice che in Parlamento ci sono troie, o a un guru incappucciato (ricordate gli elmocornuti della lega?) che dice di puttanieri. Quando il linguaggio triviale diventa lingua corrente anche delle istituzioni, quando un signore accusato di ogni nefandezza compresa la prostituzione minorile diventa “utilizzatore finale”, è veramente il momento di fermarsi e ragionare sull’etica (e sull’estetica) della Democrazia. Invece assistiamo ad una rincorsa ad appropriarsi del peggio e a farne dottrina. Ciò che a volte è concesso al bar sport davanti ad un bicchiere di vino non può per nessun motivo essere consentito nelle istituzioni, quindi l’utilizzo del “linguaggio popolare” è solo un alibi per nascondere incapacità, supponenza e arroganza, per nascondere un utilizzo del potere al di là del consentito. La caduta delle forme partito ha nei fatti favorito tutto questo scempio. Per quanto riguarda la sinistra la debacle iniziò alla Bolognina e culminò nel “partito liquido” di veltroniana memoria, quando, per non cambiare nulla, se decise di fare un comitato nazionale che contava più membri del comitato centrale del PC cinese. Una scelta ottima per azzerarlo nei fatti, rendendolo talmente pachidermico da essere incontrollabile e inconvocabile. Da qui al grillismo è stata una frana che ha coinvolto soprattutto la sinistra. La sedicente trasparenza delle dirette streaming degli incontri per il governo è il giusto traguardo raggiunto. La diretta per un incontro delicato significa il non voler dire altro del già detto, ognuno recita la sua parte sapendo di essere visto e guardato, è qualcosa di diverso dalla trasparenza. Gli elettori si aspettano risultati e vogliono sperare che non ci sia l’antico mercato delle vacche tanto caro alla lega. Ma questi risultati si ottengono trattando e potendo parlare tranquillamente senza l’ansia da prestazione delle dirette televisive.    I grillini dicono no a tutto, Bersani ci prova a parlare ma senza un interlocutore credibile, quelli dall’altra parte del tavolo parlano sotto dettatura incappucciato  Non sono credibili proprio per la forma del movimento al quale appartengono, quello che fonde centralismo democratico, cupola e dittatura. Un’ottima occasione persa perché questo avrebbe potuto essere veramente la legislatura del cambiamento. Molti giovani e molte donne, ora sono  ostaggi di chi, in streaming, vuole ad ogni costo un governissimo per poter dire “ecco, quanto siamo bravi noi e quanto sono puttane gli altri…” A tutto questo si aggiunge l’autocandidatura di quello di Arcore al Colle. Non è veramente un buon momento per la Democrazia, anzi, è forse il peggiore dal ’46. E non sembrano buone neppure elezioni subito, intanto non sono praticabili con Napolitano a fine mandato, in secondo luogo non muterebbero nulla. Ripartiamo da un capo di stato nei pieni poteri, magari Rodotà, sperando che gli eletti del cinque stelle siano meglio del loro guru, sono giovani e forse, come nel caso dell’elezione di Grasso, hanno una coscienza civica estranea alla loro cupola.






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