Era giovedi 17 gennaio, all’interno dell’Open Space in
Piazza Sant’Oronzo c’era Ida Dominijanni già giornalista de Il Manifesto, ora
candidata al Senato per SEL, che dialogava su:
Rappresentanza/autorappresentazione nel femminismo di oggi. L’organizzazione
era della Casa Delle Donne di Lecce.
Il dibattito è stato veramente alto, la sala era stracolma
con molti ascoltatori costretti a stare in piedi, ma questo è un bene quando la
disillusione pare essere il denominatore comune, significa voglia di comprendere,
forse di cambiare.
Il dibattito si è snodato su differenza di genere,
rappresentanza, è passato attraverso impietose analisi sul ventennio appena
trascorso e sulle verticali ascese e cadute del machismo arcoriano, sulle
speranze e sui “desideri” di rappresentanza.
E’ stata discussione molto sentita. Dopo l’introduzione di
Irene Strazzeri e l’intervento della Dominijanni le domande dal pubblico sono
arrivate assieme alle riflessioni. Insomma, che all’interno dell’Open Space si
parlasse di politica pareva cosa ovvia e scontata anche per l’uditore più
inesperto e distratto.
Esistono computer che sono programmati per prelevare dalle
mail o dagli scritti in genere, della parole dette “sensibili”. Quando ne
leggono una immediatamente segnalano a chi di dovere. Il computer, lo sappiamo,
non è una macchina intelligente, è programmata. Se io scrivo, per fare un
esempio, di una “rivoluzione intestinale che mi ha bloccato a casa”, c’è il
rischio che il computer addetto alla sorveglianza estrapoli la sola parola “rivoluzione”
prescindendo dal discorso che sicuramente è complesso per un automa programmato
a tale scopo.
Sono altresì noti gli studi di Pavlov sugli animali che
rispondono a stimoli esterni. Il campanello suonato quando si porta il cibo
diventa esso stesso simbolo del pasto, al punto che il solo ascolto del
campanello porta il topolino alla ciotola. Se allo stesso topino facciamo
ascoltare Uto Ughi nella sua mirabile interpretazione di Sonata a Kreutzer
sicuramente rimarrebbe immobile a farsi gli affari suoi. Ebbene, all’Open
Space, giovedi, abbiamo potuto verificare che Pavlov aveva ragione. E’ successo
che in un intervento dal pubblico si dicesse “da tempo io non voto perché…” a
quel punto l’addetto alla sala, un signore con sciarpa e barba che è stato tutta
la sera ad armeggiare con un computer, esplode letteralmente, esce da dietro il
bancone ed urla “qui dentro non si fa politica”. Dopo due ore in cui si faceva
politica. La parola magica è stata sicuramente “voto”. Probabilmente era
programmato anche per “sinistra” “elezioni” e forse per “rosso”. Dovremo
verificarlo.
La domanda è una sola: se si concede una sala ad una
candidata al Senato e notissima giornalista politica, qualcuno pensa che venga
a raccontare la ricetta delle sagne ‘ncannulate?
Questa è Lecce, Gianni. In una città dove storicamente politica è stato sinonimo di maneggio, di affarismo, anche il solo proferire la parola attiva dei sensori di uno strano pudore. Come se si dicesse cacca in chiesa :)
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