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mercoledì 24 ottobre 2012

Tango e tanghi al Matteotti


Sono stupendi, sensuali, avvolgenti, conturbanti i ballerini di tango che sanno ballare, quelli che improvvisano passi lasciandosi andare al ritmo di una musica piena di evocativa tristezza e intensità. E’ meraviglioso ascoltare Piazzolla nella notte che passa là fuori. “Piove su Santiago” si intitola il pezzo che sto ascoltando ora, il bandoenon che piange ed emoziona. Lui che è di origine tranese da parte del nonno paterno riuscì ad infrangere la regola aurea argentina che diceva “tutto può mutare tranne il tango”. Piazzolla riuscì a farne musica universale.
E Carlos Gardel, che ha vissuto un sacco di anni con un proiettile in un polmone, sparato durante una rissa, lui che ha dovto passare da 120 kg a meno di 80 per girare un film e che è diventato eroe popolare argentino per la sua voce, per il suo tango.
 “Il Tango platense nasce tra il 1880 e il 1900 in un preciso contesto geografico, ovvero lo spazio compreso fra le due città che fiancheggiano l’estuario del Rio de la Plata: Buenos Aires (capitale dell’Argentina) e Montevideo (capitale dell’Uruguay).
Il Tango è il frutto di una ibridazione tra diverse popolazioni; nella sua creazione sono implicati almeno tre continenti: l’America, dove questo ballo è nato e si è sviluppato; l’Europa, con i suoi emigranti che stabilitisi nella realtà platense hanno contribuito fortemente alla sua creazione; l’Africa, che a livello ritmico ha influenzato molto la sua nascita.
Il Tango è un universo, di cui si è detto tanto o tutto, ma di cui pare resti sempre altro da dire. È un’emozione dalle tante facce che ha stimolato libri, cinema e teatro, che ha costruito un contenitore di metafore e racconti; nata da un crogiolo di razze, somiglia molto al jazz, che è filosofia del tempo (sempre perduto) e della solitudine (sempre ineluttabile). Il Tango è un linguaggio, è un fenomeno vivo di cultura, che oltrepassa i confini della sua terra. 
Nasce come ballo introverso, ballato tra uomini soli, poi danzato nei bassifondi di Buenos Aires “a dieci centesimi il giro compresa la dama” (Borges); infine guadagna i salotti europei dei primi del Novecento, in forme più eleganti e stilizzate.”
Così inizia il piccolo saggio di Francesca Toti dal titolo “La Vera Storia del tango argentino”.
Il tango è emozione, sensualità, contaminazione. Nato come musica allegra, con il passare del tempo si è trasformato in “pensiero triste che si balla” come lo definisce Enrique Santos Discèpolo, paroliere di Gardel.
Nato verso la fine dell’ottocento nei quartieri poveri di Buenos Aires, passata in poco tempo da 210.000 a 1.200.000 abitanti, ha subito la contaminazione delle popolazioni immigrate da tutto il mondo in terra argentina.  Quindi ha fuso esperienze diverse. Verso gli anni ‘20 del novecento inizia ad essere apprezzato e a diventre nazionale e ad essere “esporatato” fino a diventare mondiale e a subire, soprattutto in Francia, modifiche nel modo di ballare.
Fra estrema popolarità e cadute di fama, riacquisterà valore internazionale con l’avvento di uno dei più grandi compositori mai esistiti, Astor Piazzolla. Le parole dicono di sentimenti, di amore, rabbia. Soprattutto tristezza, quella che accompagna gli emigranti, la sudaji, malinconia.
 Fra gli interpreti principali, oltre al citato Piazzolla, non si può non dire dell’eroe popolare Carlos Gardel, e ancora Osvaldo Pugliese, Anibal Troilo e le donne del tango, una su tutte Eloisa d’Herbil, morta a 101 anni nel 1953.
 La danza e i suoi passi sono un inno alla sensualità, all’improvvisazione dei ballerini che stanno sempre in stretto contatto.  Non più la partenza convenzionale del valzer, non più giri uguali tra loro, ma invenzione continua: questo è il Tango. Questo gioco splendido tra i ballerini, nel quale entrambi vivono in uno stato perenne di allerta, senza sapere che cosa sarà il dopo, li rende leggeri, liberi e pronti ad ogni possibilità.
Allo stesso modo lo spettatore vive l’attesa: come la dama, non sa cosa farà l’uomo, e
attende trepidante un segnale. Lo spettatore vive il Tango attraverso la coppia, per questo riesce a distinguere l’ “improvvisatore” dal principiante, che ha già la sua sequenza in testa indipendentemente dalla dama con cui balla, dalla musica su cui balla, dalla risposta che trova; perché il tango è improvvisazione ma è anche ascolto.” (Francesca Toti  “La Vera Storia del tango argentino).

Otto scatti di Stefano Fittipaldi al caffè Matteotti (Via Matteotti, centro storico) a Lecce. 


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