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mercoledì 9 maggio 2012

9 maggio: Moro e Impastato


Amavo la Renault R4, in qualche modo era, assieme alla Dyane, “la voiture du revolutionaire”, soprattutto aveva fisionomia di libertà. Facevamo lunghi giri per le colline e le strade sterrate delle campagne, in fondo anche quella era rivoluzione, andarsene liberi e senza una meta a scoprire luoghi.
Spesso però succede che la storia ti avvolga e sconvolga. Erano passati dieci lunghi anni dal maggio francese, quello del ’68. Ed eravamo in riflusso di ideologia e, in fondo, stanchi di politica, era il tempo in cui il privato e il politico volevano fondersi e  sui muri compariva “Laura ti amo” là dove fino a pochi mesi prima c’era scritto “viva la rivoluzione”, anche così la R4 o la Dyane volevano diventare gioco. E poi la storia e le storie ci raccontavano di un passato prossimo fatto di troppa violenza fascista nelle banche, sui treni, nelle stazioni e di terrorismo di altro colore che colpiva singoli. Chissà perchè solo quest’ultimo è passato nell’immaginario collettivo come unico, oggi dici di terrorismo e tutti conoscono le Brigate Rosse, pochi accennano ai NAR, a Mambro e Fioravanti. Pochi parlano delle troppe bombe senza mandanti e senza esecutori.

Le carceri in quei mesi si erano riempite di sguardi e braccia e cervelli di ideologi delle sinistre non parlamentari che ad un certo punto (quando, perché?) avevano svoltato ed avevano iniziato a sparare. Dieci anni sono tanti, lunghi quando li inizi nell’adolescenza e attraversi il fiume per andare verso l’età adulta. Improvvisamente quella R4 divenne simbolo di morte e dell’immagine del corpo di Aldo Moro rannicchiato in quel bagagliaio,   quasi un Cristo sacrificato sull’altare della politica politicante. Erano state le Brigate Rosse. I partiti della trattativa si scontrarono con quelli della durezza dello Stato che non deve avere un cuore, solo una mente, o forse era solo opportunismo? In quei lunghissimi 55 giorni di prigionia venne negato categoricamente quel che poteva almeno essere tentato. Tutti a pregare dal Santo Padre gli amici di partito di Aldo Moro, tutti a pregare una morte annunciata, voluta.
Loro, i carnefici dell’uomo di Maglie, si erano fatti beffe dello Stato e di tutte le parti politiche. Gli “uomini delle Brigate Rosse” come li chiamò Paolo VI in un accorato appello per la clemenza, avevano lasciato la R4 in Via Caetani, a pochi passi da Via Del Gesù dove aveva sede la Democrazia Cristiana e da Via Delle Botteghe Oscure, sede del Partito Comunista. Un ultimo segno di grande disprezzo per gli italiani tutti, che non potevano capire quei criminali che agivano “in nome del proletariato”.
Macchè, la politica per noi era altra cosa, appartenevo ad uno dei gruppi che volevano la trattativa, qualcuno ci disse “complici”, avevamo semplicemente ritrovato il senso della pietas. Forse è per questo che molti di noi evitarono in seguito la politica “alta”, perché non c’è spazio per l’umanizzazione. Perché i poveri sono solo percentuali, senza uno sguardo, senza un volto da accarezzare. Sono un numero come i disoccupati. Forse a molti di noi interessava vederli camminare, sentire come tentavano di vivere. Forse la statistica è una storia che non ci appartiene poi molto, perché è fatta di grafici freddi ed insulsi. Certe rivoluzioni hanno soprattutto il sapore dell’umanesimo, non quello del nichilismo, in quei dieci anni molti erano così, in fondo.
Sulla R4 non sono più salito per molto tempo. Il 9 maggio 1978 però era finito definitivamente il lungo ’68 italiano, nel modo peggiore. Ed è stato il funerale di uno statista, ma anche delle speranze per molti.
Aldo Moro è un ricordo ed un peso che ci portiamo nelle coscienze, ognuno per sé, ciascuno con la propria storia.
Lui scriveva lettere dal “carcere del Popolo” come  i criminali che lo sequestrarono chiamavano quella stanzetta degna di una cella di Pinochet, e le missive venivano recapitate. I processi hanno detto chi  telefonava, chi consegnava le lettere, chi lo sequestrò. Nomi e cognomi diventati ferocemente noti, anche se troppi misteri rimangono irrisolti, nulla si sa che fine fece la borsa dello statista, per esempio.
E proprio il 7 maggio 2012 qualche criminale ha sparato a Roberto Adinolfi, manager dell’Ansaldo nucleare a Genova. Hanno utilizzato una pistola russa (sovietica?) ancora non si conosce la matrice dell’attentato, però la prima cosa che mi è venuta in mente sono quei soldati giapponesi che negli anni ’60 venivano ritrovati in qualche isolotto del Pacifico in divisa. Nessuno aveva detto loro che la seconda guerra mondiale era finita da 15 anni.  
E nello stesso giorno in cui veniva ritrovato Aldo Moro, un ragazzo veniva dinaliato da esplosivo. Dissero che voleva fare un attentato. Si chiamava Peppino Impastato e venne trucidato dagli uomini del capomafia Tano Badalamenti a Cinisi. La sua morte passò quasi inosservata a causa della concomitanza.

Ecco il testo di una delle lettere di Aldo Moro dalla sua prigionia, in cui chiede forte un intervento umanitario dei suoi compagni di partito, lettera inascoltata perché la Ragion Di Stato non sente le ragioni del cuore.
« Caro Zaccagnini, scrivo a te, intendendo rivolgermi a Piccoli, Bartolomei, Galloni, Gaspari, Fanfani, Andreotti e Cossiga ai quali tutti vorrai leggere la lettera e con i quali tutti vorrai assumere le responsabilità, che sono ad un tempo individuali e collettive. Parlo innanzitutto della D.C. alla quale si rivolgono accuse che riguardano tutti, ma che io sono chiamato a pagare con conseguenze che non è difficile immaginare. Certo nelle decisioni sono in gioco altri partiti; ma un così tremendo problema di coscienza riguarda innanzitutto la D.C., la quale deve muoversi, qualunque cosa dicano, o dicano nell'immediato, gli altri. Parlo innanzitutto del Partito Comunista, il quale, pur nella opportunità di affermare esigenze di fermezza, non può dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto mentre si andava alla Camera per la consacrazione del Governo che m'ero tanto adoperato a costituire. »

Da qualche anno il 9 maggio è diventato “giorno della memoria delle vittime di terrorismo”.

Aldo Moro: Nacque a Maglie da genitori originari di Gemini fraz. Di Ugento il  23 settembre 1916 – Roma 9 maggio 1978

Peppino Impastato:  Cinisi il 5 gennaio 1948 – 9 maggio 1978




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