Amavo la
Renault R 4, in qualche modo era, assieme alla Dyane, “la
voiture du revolutionaire”, soprattutto aveva fisionomia di libertà. Facevamo lunghi
giri per le colline e le strade sterrate delle campagne, in fondo anche quella
era rivoluzione, andarsene liberi e senza una meta a scoprire luoghi.
Spesso però succede che la storia ti avvolga e sconvolga.
Erano passati dieci lunghi anni dal maggio francese, quello del ’68. Ed eravamo
in riflusso di ideologia e, in fondo, stanchi di politica, era il tempo in cui
il privato e il politico volevano fondersi e
sui muri compariva “Laura ti amo” là dove fino a pochi mesi prima c’era
scritto “viva la rivoluzione”, anche così la R 4 o la
Dyane volevano diventare gioco. E poi la storia e le storie
ci raccontavano di un passato prossimo fatto di troppa violenza fascista nelle
banche, sui treni, nelle stazioni e di terrorismo di altro colore che colpiva
singoli. Chissà perchè solo quest’ultimo è passato nell’immaginario collettivo
come unico, oggi dici di terrorismo e tutti conoscono le Brigate Rosse, pochi
accennano ai NAR, a Mambro e Fioravanti. Pochi parlano delle troppe bombe senza
mandanti e senza esecutori.
Le carceri in quei mesi si erano riempite di sguardi e
braccia e cervelli di ideologi delle sinistre non parlamentari che ad un certo
punto (quando, perché?) avevano svoltato ed avevano iniziato a sparare. Dieci
anni sono tanti, lunghi quando li inizi nell’adolescenza e attraversi il fiume
per andare verso l’età adulta. Improvvisamente quella R4 divenne simbolo di
morte e dell’immagine del corpo di Aldo Moro rannicchiato in quel bagagliaio, quasi
un Cristo sacrificato sull’altare della politica politicante. Erano state le
Brigate Rosse. I partiti della trattativa si scontrarono con quelli della
durezza dello Stato che non deve avere un cuore, solo una mente, o forse era
solo opportunismo? In quei lunghissimi 55 giorni di prigionia venne negato
categoricamente quel che poteva almeno essere tentato. Tutti a pregare dal
Santo Padre gli amici di partito di Aldo Moro, tutti a pregare una morte
annunciata, voluta.
Loro, i carnefici dell’uomo di Maglie, si erano fatti beffe
dello Stato e di tutte le parti politiche. Gli “uomini delle Brigate Rosse”
come li chiamò Paolo VI in un accorato appello per la clemenza, avevano lasciato
la R 4 in Via
Caetani, a pochi passi da Via Del Gesù dove aveva sede la Democrazia Cristiana
e da Via Delle Botteghe Oscure, sede del Partito Comunista. Un ultimo segno di
grande disprezzo per gli italiani tutti, che non potevano capire quei criminali
che agivano “in nome del proletariato”.
Macchè, la politica per noi era altra cosa, appartenevo ad
uno dei gruppi che volevano la trattativa, qualcuno ci disse “complici”,
avevamo semplicemente ritrovato il senso della pietas. Forse è per questo che molti
di noi evitarono in seguito la politica “alta”, perché non c’è spazio per
l’umanizzazione. Perché i poveri sono solo percentuali, senza uno sguardo,
senza un volto da accarezzare. Sono un numero come i disoccupati. Forse a molti
di noi interessava vederli camminare, sentire come tentavano di vivere. Forse
la statistica è una storia che non ci appartiene poi molto, perché è fatta di
grafici freddi ed insulsi. Certe rivoluzioni hanno soprattutto il sapore
dell’umanesimo, non quello del nichilismo, in quei dieci anni molti erano così,
in fondo.
Sulla R4 non sono più salito per molto tempo. Il 9 maggio
1978 però era finito definitivamente il lungo ’68 italiano, nel modo peggiore. Ed
è stato il funerale di uno statista, ma anche delle speranze per molti.
Aldo Moro è un ricordo ed un peso che ci portiamo nelle
coscienze, ognuno per sé, ciascuno con la propria storia.
Lui scriveva lettere dal “carcere del Popolo” come i criminali che lo sequestrarono chiamavano
quella stanzetta degna di una cella di Pinochet, e le missive venivano
recapitate. I processi hanno detto chi
telefonava, chi consegnava le lettere, chi lo sequestrò. Nomi e cognomi
diventati ferocemente noti, anche se troppi misteri rimangono irrisolti, nulla
si sa che fine fece la borsa dello statista, per esempio.
E proprio il 7 maggio 2012 qualche criminale ha sparato a
Roberto Adinolfi, manager dell’Ansaldo nucleare a Genova. Hanno utilizzato una
pistola russa (sovietica?) ancora non si conosce la matrice dell’attentato,
però la prima cosa che mi è venuta in mente sono quei soldati giapponesi che
negli anni ’60 venivano ritrovati in qualche isolotto del Pacifico in divisa.
Nessuno aveva detto loro che la seconda guerra mondiale era finita da 15 anni.
E nello stesso giorno in cui veniva ritrovato Aldo Moro, un
ragazzo veniva dinaliato da esplosivo. Dissero che voleva fare un attentato. Si
chiamava Peppino Impastato e venne trucidato dagli uomini del capomafia Tano
Badalamenti a Cinisi. La sua morte passò quasi inosservata a causa della
concomitanza.
Ecco il testo di una delle lettere di Aldo Moro dalla sua
prigionia, in cui chiede forte un intervento umanitario dei suoi compagni di
partito, lettera inascoltata perché la Ragion Di Stato non sente le ragioni del cuore.
« Caro
Zaccagnini, scrivo a te, intendendo rivolgermi a Piccoli, Bartolomei, Galloni,
Gaspari, Fanfani, Andreotti e Cossiga ai quali tutti vorrai leggere la lettera
e con i quali tutti vorrai assumere le responsabilità, che sono ad un tempo
individuali e collettive. Parlo innanzitutto della D.C. alla quale si rivolgono
accuse che riguardano tutti, ma che io sono chiamato a pagare con conseguenze
che non è difficile immaginare. Certo nelle decisioni sono in gioco altri
partiti; ma un così tremendo problema di coscienza riguarda innanzitutto la D.C ., la quale deve muoversi,
qualunque cosa dicano, o dicano nell'immediato, gli altri. Parlo innanzitutto
del Partito Comunista, il quale, pur nella opportunità di affermare esigenze di
fermezza, non può dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto
mentre si andava alla Camera per la consacrazione del Governo che m'ero tanto
adoperato a costituire. »
Da qualche anno il 9
maggio è diventato “giorno della memoria delle vittime di terrorismo”.
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