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mercoledì 28 marzo 2012

Ridateci la lingua italiana


Mi piace Camilleri, mi rilassa. Nel libro con Montalbano che sto leggendo si parla di qualcosa che, a suo modo, affascina. Sono le parole “che fanno arraggiare”.
Rottamare, inciucio, precariato, contingenza, incapienti, bacchettare, pregresso, dazione, giusto per citare. A queste mestamente aggiungo: paccata, rottamatore, il terrificante impiattare riferito a mettere cibo nei piatti, fino ad arrivare a tuittare (twittare?), microfonare detto in TV, e molte altre.
La lingua italiana è stupenda, forse una delle più articolate e musicali. Perché la si vuole violentare in questo modo? Già siamo accerchiati dalla catastrofe degli sms dei ragazzi che, per ragioni di spazio, imitano il codice fiscale eliminando tout court le vocali (xkè, nn, sn ndt…), ora anche gli adulti, con la complicità di molti giornalisti e operatori della parola, inventano improbabili neologismi che, ahinoi, passano poi nell’uso corrente.
Allora perchè stupirsi se la parola “metropolitana” termine che, dice il dizionario, significa: “un sistema di trasporto rapido di massa  su ferro, a elevata frequenza di corse, circolante in sede propria e senza interferenze e regolato da sistemi di segnalamento e sicurezza della circolazione  diventa inopinatamente “di superficie”, è su gomma e si chiama filobus? Opportunismo politico, ovviamente.  E perché i corrotti che rubano denaro per sé stessi e i loro partiti diventano più leggermente: “percettori di dazioni”? “Truffatori” non sarebbe meglio? Che poi dazioni sia una parola degna di entrare nel lessico extra giudiziario è tutto da dimostrare. Allora perché non chiamare “consumatori di bevizioni” gli ubriaconi che si trascinano nella notte? Inciucio poi è paradisiaco, un modo leggero, quasi ilare di chiamare gli intrallazzatori delle cose di politica (e non solo) che pur di mantenere il potere sono disponibili a prostituirsi, a svendere idealità, un tempo si chiamava “svendita degli ideali e tradimento degli elettori”.  Poi c’è la “paccata” della Fornero, parolaccia passata improvvisa all’onore delle cronache. Sono tutti termini che riducono, ridicolizzano la lingua italiana, quasi che si debba per forza aver fretta anche nel parlare. Facciamo presto e passiamo ad altro, quando non li si utilizza per alleggerire il significato. “Fruitore di dazioni” fa del “corrotto” quasi un bancario. Esattamente come chiamare un puttaniere “utlizzatore finale”, o ancora, chiamare “statista” uno che ama alzare il medio al cielo per estrinsecare la propria raffinata ideologia.  Per non dire dei neologismi del virtuale: twittare (tuittare?) e facebukiano. Per favore, ridateci la lingua italiana. Il “decreto Salva Italia” chiamiamolo col suo nome: salasso sui redditi fissi e costrizione alla povertà dei pensionati. Vedrete che cambieranno anche le interpretazioni e le facce di chi ne dice.  

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