“…Quando si muore si muore soli…” (F. De Andrè)
Potrebbe essere questa frase il capitolo finale della vita di
Angelo. Magistrato in pensione, le sue passeggiate, la sua barca. Sua nel senso
più ampio del termine, se l’era costruita pezzo a pezzo, i suoi viaggi in giro
per il mondo quando poteva, poi un maledetto insignificante incidente, la
rottura del femore che non sapeva guarire. Poi forse il suo chiedersi come mai
una vita così intensa dovesse essere tranciata da un osso rotto. Lui che aveva
fatto dell’organizzazione della sua vita e di quella dei suoi amici il motivo
per bere la vita non a piccoli sorsi ma direttamente a canna dalla bottiglia. E
forse, chissà, non ce l’ha più fatta a vedersi zoppicante, impossibilitato a
vivere la sua vita, la sua barca, le sue ricerche di asparagi selvatici, di
origano. Quel mare che conosceva bene perché lo aveva studiato e vissuto,
chissà, forse l’ha visto nel momento in cui, solo, ha fatto una breve
telefonata e poi ha premuto il grilletto. Dolce e comprensivo, a volte
spigoloso, sicuramente un essere umano, sicuramente una presenza per molti. Viveva
da solo per scelta, ed è brutto quando la telefonata che arriva, ti dice che
Angelo si è sparato, e scopri che non ti stupisce, ti rattrista e basta.
In fondo è vero però “quando si muore si muore soli”, è
forse il momento in cui sfilano ricordi, rimpianti, rimorsi, sorrisi, carezze,
schiaffi, rabbia. Tutto in un clic. Ma non è un computer. E poi il nulla. Per
chi crede esiste un al di là. Solo per chi crede però, per gli altri, forse meno
fortunati, forse semplicemente più materialisti, un ricordo.
L’uomo ha inventato Dio soltanto per non uccidersi.
(Albert Camus)
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