Elezioni amministrative a Lecce, partiamo dai numeri.
5 sono i candidati alla carica di Sindaco della città. Un
vero esercito i candidati al consiglio comunale, in 28 liste ci sono 865
candidati pronti a spartirsi i voti dei 78.000 leccesi aventi diritto, con la
variabile delle astensioni, nella scorsa tornata elettorale votarono poco più
di 50.000 elettori. (Giusto per fare un esempio, per le regionali in Piemonte
le liste sono 17, 12 le liste per le comunali di Reggio Emilia). Come finì nel
2017 a Lecce è cosa nota, si chiamava anatra zoppa, niente premio di
maggioranza per il sindaco Salvemini, ricorso per sopravvivere 18 mesi alla
questua di voti provenienti da ambienti e da consiglieri comunali amanti di
guardaroba molto grandi per conservare tutte le casacche da cambiare alla
bisogna. Personaggi che passano con disinvoltura da un partito all’altro
fiutando l’aria di chi vince, non disdegnando neppure, anzi, la lega, non più
nord ma che ha al suo interno una cospicua parte che vede di pessimo occhio i
cittadini che vivono da Firenze in giù.
Ovviamente un matrimonio di convenienza di così bassa “lega”
non poteva durare più di tanto, la crisi del diciottesimo mese incombeva e
costringeva allo scioglimento dell’intero consiglio comunale.
Nonostante queste manovre a Lecce nei 18 mesi con Salvemini
sindaco qualcosa sembrava muoversi, pur con cautela, e pareva di intravvedere
una luce in fondo al tunnel di vent’anni di malgoverno targato Poli
Bortone/Perrone, prima cinguettanti felici assieme, poi divisi e in rotta di
collisione perenne, Però così è andata perché non poteva andare diversamente. Lecce
ha conosciuto un’amministrazione che provava ad amministrare. Cosa non chiara a
chi amava dire, prima, “A Lecce cumandamu nui”.
Ed ora siamo alla vigilia di elezioni con i numeri che si
dicevano.
La geografia delle liste è interessante da leggere. E dà un
esempio della situazione politica confusa e distorta attuale.
Otto liste (Lega, Fratelli d’Italia, Andare Oltre,
Casapound, Movimento Sociale Italiano, Fiamma Tricolore, Popolo per la
famiglia, Giovane Lecce) fanno riferimento all’estrema destra decisamente
fascista, alcuni con punte di xenofobia molto pronunciate, altri con
nostalgie, reminiscenze e amori. Molti
dei candidati in nero erano nel gruppo che, quando arrivò salvini raggiante, lo
accolsero con il braccio teso al grido di “duce duce”. Bei personaggini,
insomma, fuori dalla Costituzione ma
candidati a sostegno del candidato di destra Congedo.
Poche liste hanno nomi riconosciuti di partiti rappresentati
in più alte istituzioni (Democrazia Cristiana, Partito Democratico, Movimento 5
stelle, Forza Italia, UDC). Esiste poi, onore al merito, la lista che sostiene
Mario Fiorella, che raccoglie le schegge di una sinistra perennemente divisa su
tutto, ma capace, in questa occasione, di tentare di fare sintesi con un
candidato di tutto rispetto. Peccato che non si sia riusciti ad un’operazione
più faticosa, più laboriosa, ma probabilmente più riconoscibile da una parte
più ampia delle sinistre, incapaci ancora oggi di vedere e comprendere le
motivazioni di divisioni intuibili solo da addetti ai lavori. Tutto ciò provoca
sconcerto in chi vede amici, compagni, persone che stima, candidati in fazioni
opposte, ma questo è altro discorso.
Esiste poi una
galassia di liste civiche dai nomi anche bizzarri, un civismo che parte da
lontano ma probabilmente non porterà molto lontano, sembrano liste civetta, con
il solo scopo di rastrellare voti, con la percentuale elettori/candidati
esistente, praticamente ogni famiglia sosterrà il suo congiunto.
Ovviamente agli elettori non rimane che informarsi sui
programmi, sull’onestà intellettuale dei candidati, sulla visione di città
aperta, democratica, antifascista, accogliente non solo con i turisti, ma anche
con chi arriva da lontano, e soprattutto con i suoi concittadini,
un’amministrazione che porti al centro le periferie, e magari le porti senza
auto, con piste ciclabili, con mezzi pubblici efficienti, con panchine e
pulizia di strade e giardini. Che avvicini Lecce al suo mare, che abbia come
obbiettivo quello di trasformare piazze e piazzette in agorà, luoghi di
incontro, vita vera.
Sarà difficile scegliere le preferenze (due al massimo, di
sesso diverso e di una stessa lista), perché significa dare mandato a chi si
vota di agire non in proprio nome, ma anche a nome del suo elettore. Per questo
la platea esageratamente eccessiva di nomi e candidati è avvilente. Il civismo
senza ideologie è una scatola vuota perché senza idee. E se questo civismo serve
solo per nascondere scopi diversi, diventa una truffa vera e propria ai danni
degli elettori. Dire né di destra né di sinistra significa dire una cosa di
destra. Dire “non sono razzista, però...” significa dire il proprio razzismo. Dire civico senza un’idea di città aperta,
contro ogni discriminazione, accogliente e con un’amministrazione specchiata
senza nessuno che “cumanda” significa dire destra, la più brutta.
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