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lunedì 8 aprile 2019

Elaborare un lutto. Ricordando Francesca

“Elaborare il lutto”, se ne parla in ogni salsa, penso sia solo l’abituarsi ad un’assenza. Pensare “ora vado e lassù e la  vedo…” e tornare con i piedi in terra e sapere che non si può rivedere, e accorgerti che ti manca quella presenza, anche se stai lontano per mesi, anni, però sai che un pezzo di te era là, sai che ti accoglieva ogni volta che arrivavi e ti chiedeva «hai fame? Ti faccio un caffè?». Sai che era routine, ma che erano   abitudini che non annoiavano mai.
E poi si parlava di ricordi lontani, magari di altri lutti elaborati nel tempo, di un altro abituarsi alle assenze, di cose non dette perché intanto la vita è lunghissima e, forse siamo immortali. Così ti accorgi di aver tralasciato quella banali parole «ti voglio bene», che magari paiono inutili mentre le dici, ma sono importanti proprio perché le stai dicendo, anche se  sono, dovrebbero essere, sottintese.
E’ così che passa il tempo, finchè arriva la telefonata che ti dice che il caffè dovrai prenderlo altrove. Da un anno Francesca se ne è andata, non sono salito fin lassù per il funerale perché altre incombenze indipendenti dalla mia volontà mi hanno bloccato. Ma sarebbe stato inutile, non  mi avrebbe chiesto «come stai?», ed io ho una stramba visione del dopo. Non un aldilà, ma un nulla che nessuna persona finita e in piedi riuscirà mai a spiegare se non con una cieca fede senza riscontri provati. Perché l’essere umano è finito. Il nulla, il mai più, il per sempre, l’infinito, sono concetti astratti, pari solo alla fede, o ci credi o no, non esiste una via intermedia. Ed io sono finito, vedo fin dove vedono i miei occhi.
Non per questo non sento le emozioni, e forse per questo il ricordo si ammanta di un sottile dolore che prende e accompagna sempre. Anche quando si è sereni. Quei momenti con una sorella che, per i casi della vita, mi è stata anche mamma in qualche modo, data la differenza di età di sedici anni. I primi passi, la prima biciclettina, i primi giochi, la mia inopportuna e perenne presenza anche quando voleva stare sola con il suo fidanzatino, i piccoli segreti fra noi. Più avanti le discussioni su un libro o un articolo di giornale, le musiche imparate e i cantautori poi insegnati, il primo giorno di scuola mano nella mano con lei e quell’edificio che mi pareva immenso. E poi i casi della vita, matrimoni, separazioni fatte e separazioni mancate, figli. Turbina tutto disordinatamente.  Si, mi manca ora. In questo autunno quasi inverno con piogge infinite, in un pomeriggio con uno scirocco fiero e forte.

Un’assenza che è sempre una presenza. 

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