Papaveri e fiordalisi |
Ci sono sapori, profumi, colori, sensazioni che, passando il
tempo, diventano flash di memoria. Immagazziniamo informazioni come nessun
computer sa fare. A volte queste tornano improvvise senza che ci si ricordi
come e quando le abbiamo imparate senza rendercene neppure conto.
Mi successe sentendo il “banale” profumo di mandarino appena
raccolto da un albero, io quel profumo l’avevo dentro e l’avevo perso da tempi
immemorabile, probabilmente da quando ero bimbo e i mandarini acquistati erano
merce rara in Piemonte e arrivavano dal profondo sud, oggi diremmo che erano
bio. Poi, penso, arrivò la produzione che seleziona ed uniforma. Ora ci sono
serre e coltivazioni seriali, antiparassitari, sostanze chimiche che chissà da
dove arrivano, selezionano il bello dal meno bello, non necessariamente il
buono dal meno buono, l’immagine è tutto. Così le fragole sono grandi come meloni e le mele
lucide al punto che ti ci puoi specchiare.
Quei profumi però sono rimasti un ricordo. Mi si dice che
immagaziniamo sapori e odori, come i cani in fondo.
Ed abbiamo ricordi che affiorano ogni tanto. Correvamo in
bicicletta su stradine sterrate nelle giornate estive, giugno, luglio, prima
della trebbiatura. Caldo afoso, polvere: “ma chi se ne frega”, noi andavamo a
scoprire campi, boschetti, pioppeti, e chissà quale segreto nascosto ci stava
aspettando. Tesori non ne scoprimmo mai, la speranza però ci supportava, era
immortale.
Ph: Maria Pacoda (Lecce) |
I campi di grano allora erano multicolori, gialli come le
spighe, rossi come i mille papaveri, azzurri come i mille fiordalisi. Erano uno
spettacolo nell’afa padana, se c’era un po’ di vento erano ondulati come un
mare, e ci si fermava a guardare, neppure troppo però, era spettacolo usuale. E
magari ci si sedeva per terra a riposare parlando di chissà cosa in attesa di
chissà quali avventure, poi crescemmo con i papaveri e i fiordalisi negli occhi.
Improvvisamente, senza che ce ne rendessimo conto, sparirono. Sterminati da
diserbanti “intelligenti” che selezionavano la pura razza ariana del grano
(anche lì) e aiutavano i contadini a fare meno fatica per la mietitura.
Ora vedo papaveri, non vedo più fiordalisi però, estinti
forse. Successe solo una volta, era il 1988, ricordo la data perché stava arrivando
prepotentemente Giulia. Improvviso un campo come quelli che ricordavo,
improvviso come il profumo di quel mandarino raccolto e che non osavo sbucciare
per il suo profumo. Eravamo in bicicletta, sempre per stradine sterrate come un
tempo, più vecchi, forse meno saggi. Quella
distesa gialla, rossa e azzurra io la conoscevo da tempo, fu emozione.
Ora vedo papaveri ai bordi delle strade salentine, e imparo
che con loro si faceva un infuso, la “paparina” in cui si imbeveva il ciuccio
dei bimbi per aiutarli a prendere sonno…
Flash, ricordi, emozioni improvvise, impreviste, che passano
velocemente per lasciar posto a fragole grandi come meloni e mele lucide da
potersi specchiare.
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