La pena di morte in Italia venne definitivamente abolita con la Costituzione del 1947, entrata in
vigore nel 1948.
L’ultima condanna alla pena capitale fu per gli autori della
strage di Villarbasse, l’orribile delitto per rapina in cui vennero colpite 10
persone a bastonate e gettate, ancora vive, in una
cisterna. Per i colpevoli (Francesco La Barbera, Giovanni Puleo, Giovanni D’Ignoti
e Pietro Lala) venne richiesta la grazia che il Presidente Enrico De Nicola
respinse e i quattro vennero fucilati alle 7,45 del 4 marzo 1947. Questa fu l’ultima
esecuzione per reati comuni.
Il giorno successivo invece, il 5 marzo 1947 alle 5 del
mattino, vicino a La Spezia, vennero giustiziati Aurelio Gallo, ex agente delle
SS italiane; Emilio Battisti, ex questore di La Spezia; Aldo Morelli, ex
maresciallo della guardia repubblicana. Già condannati nel 1945 per
collaborazionismo, sevizie, e come responsabili della deportazione nei campi di
sterminio di migliaia di persone. L’esecuzione fu terribile, solo il Morelli
morì subito, per gli altri fu necessario sparare nuovamente.
Esattamente 69 anni fa, quindi, l’Italia entrò nell’evo moderno cassando dalla
sua legislazione la pena di morte.
Questi ultimi giustiziati furono sicuramente stati grati al loro duce. Fu infatti la dittatura fascista a reintrodurre la pena che venne abolita in tutto il regno d'Italia con l'approvazione quasi unanime della legge Zanardelli nel 1889.
Nel ventennio il duce la reintrodusse per chi attentava alla famiglia reale o (toh il caso) al capo del governo e per altri reati contro lo Stato.
Nel 1928 venne giustiziato Michele Della Maggiora, un bracciante toscano comunista che aveva ammazzato due fascisti.
Con il famigerato codice Rocco, nel 1931, la pena venne estesa a più reati. Nel decennio 1931/1940 delle 118 condanne comminate per reati comuni, ne vennero eseguite 65. Dal 1927 al 1943 il tribunale speciale comminò 65 condanne soprattutto per spionaggio, 53 vennero eseguite.
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