
Fila Maria fili d'oriente
e filano pure
tutte l'altre Marie del Salento
nell'intreccio marino
di aquiloni bambini di carta velina
rossi al vento
e cullati da nuvole
dal blu pittore di vita. [...]
Caro Maurizio, escono così dalla tastiera del computer
pensieri “inesperti” di tarantole, tarantolate e notti della taranta dopo aver
letto il tuo Tarantulae. Pensieri liberi da giudizi e da pre/giudizi, il
Salento è terra che si impara solo col tempo anche se non si riuscirà mai ad imparare.
Intanto riconosciamo i meriti a Stefano Donno che con le
“Scritture dei Quaderni del Bardo” ha aperto un mondo poco esplorato, il Pamphlet,
scritture brevi, libricini di poche pagine intense che mi (ci) consentono di
entrare in contatto con un universo di piccole storie e poesie. Frasi scritte
su un muro, appunti di viaggio, intensità condensata in poche righe. Scritture
che resterebbero nei taccuini di chi le pensa, forse in attesa di ponderosi
libri che le raccolgano. Questa invece è l’immediatezza del qui ed ora, perle
gettate che rischiano di essere scordate. Rendere pubblico un pensiero (uno
solo) è meraviglia.
Questo è Tarantulae, “un
poema scritto a Badisco, forse in una notte d’agosto del 2015, davanti al mare
che parlava alla luna. In forma di canto per Giorgio Di Lecce, danzatore, Uccio
Aloisi, tamburellista, Sergio Torsello, studioso.” Come dice il risvolto di
copertina. Un poema scritto da chi dice di sé “io non sono un poeta”.
Attraverso la memoria, i ricordi, passano davanti “Maria e l’altre Marie del Salento …” e Aracne
che costringe alla danza, mondo incantato a pensare a Santu Paulu te Galatina e in ogni angolo di questo Salento.
Ti immagino, davanti al mare di Badisco, una sera d’estate con
la luna che rischiara i pensieri e i ricordi che si rincorrono, mentre vedi “la
donna velata di nero che furiosa corre sugli spalti marini di Badisco…” ti
immagino mentre cerchi di fermare il tempo, ma il tempo, si sa, non bada a
nessuno e a nulla, lui prosegue ed arriva l’oggi, quello che è stato non è più,
occorre esserci stati dentro per averne memoria, così la taranta, il ballo
disperato, diventa magicamente Notte di Taranta, e Melpignano batte il ritmo
pur scordando, a volte, di dover essere portatore di memoria invece di
trasformarsi inesorabilmente in un nuovo festival delle sagre tutte.
“… Il disagio, la
guerra sempre presente nelle cronache del Mondo. La musica di questo deve farsi
carico. La catarsi della festa non è evasione, distrazione, dimenticanza,
pausa. Nell’incanto della trance è sempre necessario trovare l’energia della
consapevolezza…” così scrive Mauro Marino nella prefazione che è riflessione
dell’essere e dell’essere stato.
Far rivivere il suonatore, il danzatore, lo studioso che
stanno “nella terra di mezzo”, e
attualizzarli fino a tornare a rendere omaggio alle Marie che si inseguono
danzando sempre più e lasciando andare ogni pudore nella “pizzica taranta per chi ha dolore e pizzica de core per chi fa l’amore”
.
Caro Maurizio, senza memoria non c’è storia, ma la storia
che viviamo oggi è spesso così tetra e buia che non ci consente di comprendere.
Per chi, come me, non ha vissuto negli anni le vite delle tue Marie, ma ha
conosciuto altre Marie in altri luoghi, non pervase dal furor danzante di
aracne che se la ride; più spesso da
rassegnazione, o da sorrisi che spaccavano il mondo per la loro laconica
durezza o da rivendicazioni per una vita dignitosa, l’incontro con la tua
taranta è riflessione su come questi ritmi che sembrano essere un proseguimento
di ritmi che arrivano da un sud più sud di questo, che non è terra lontana, ma
che oggi penetra e compenetra le nostre terre, tradizioni, che chiama al
ricordo dell’umanità come un unicum di esseri umani uguali, e a volte si trasforma
in danze liberatorie, irose, nelle terre dei ri/morsi per trasmettere messaggi
a chi li sa accogliere e contro chi ne ha il terrore.
Con il tamburellista che ha mani che sanguinano sulla pelle
tesa dello strumento, col danzatore che non sa fermarsi, con lo studioso che guarda
e impara. E pensavo a impossibili paralleli che legassero questa taranta con
l’altro capo dell’Italia, le terre di Langa, quelle masche che tuttavia sono
altra cosa, nel provenzale antico Mascar significa borbottare (incantesimi), sono
streghe, donne normali nell’apparenza ma con facoltà soprannaturali tramandate
da madre a figlia, sono cattive o benevole, salvano e condannano. Altra cosa
rispetto alle salentine. Eppure, sai? Si chiamavano Maria e tante altre Marie,
e Cristina
e Caterina. Non c’è parallelo però
affascina pensare a danze liberatorie dal male e da catene eterne. Da qui al
profondo nord.
E mi chiedo, ci chiediamo, per quanto tempo ancora queste
danze scandiranno i nostri tempi, fino a quando la memoria ci sarà d’aiuto,
fino a quando aracne sopporterà di non poter guarire i mali del mondo e si
lascerà invadere dalle contraddizioni di terre un tempo incontaminate, ora
sempre più colpite da xylelle e guerre e
gasdotti che di “dotto” paiono avere poco. Quando in sostanza la storia e la
tradizione riprenderanno ad insegnare che la terra deve vivere di tutta la sua
possente bellezza e la luna guarderà il Salento con benevolenza, dal mare di
Badisco. Tutto qui caro Maurizio, in poche righe, in poche pagine, hai aperto parti
di un mondo ad un sabaudo per caso in terra di Salento. Pensieri in libertà
leggendo ed ascoltando le tue Tarantulae.
Maurizio
Nocera – “Tarantulae” (La notte della taranta) – Ed. I quaderni del Bardo ,
Scritture. € 5,00 -
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