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lunedì 29 dicembre 2014

Teletu, Gargano, Piemonte e capotreni

Grazie a Teletu (gestore di telefonia che sconsiglio caldamente a chiunque) che ha tenuto un’utenza senza telefono e senza internet in pieno periodo natalizio, precisamente dal 19 dicembre a data ancora da definire (oggi ne abbiamo 29), sono rimasto sconnesso. Il problema dei disservizi si può ovviare facilmente cambiando gestore, cosa che raccomando caldamente agli sventurati clienti dello sciatto gestore. Per solidarietà con i ragazzi del call center che hanno preso nota, programmato e che sono anche loro vittime  di alcune aziende non farò nomi di utenti e utenze coinvolti. Rimane il fatto che altri gestori, come ho avuto modo di verificare personalmente garantiscono il servizio assistenza in tempo reale e mantengono le promesse. A volte pagare un paio di euro in più al mese rende meno gravosa la vita. Grazie a Teletu, dicevo, sono rimasto sconnesso, così anche il blog ha cessato di essere aggiornato. Riprendiamo da qui. So che nessuno ha sentito la mancanza di parole scritte, però...   


Dall’alto ho visto il mare, poi il Gargano, poi piccole nubi, verso nord erano sempre meno piccole, erano leggere. Sono belle le nuvole viste al contrario, da sopra, illuminate dal sole mentre sai che a terra i raggi non arrivano. Poi di nuovo si vedeva terra là sotto, eravamo a nord, i campi tutti coltivati come scacchiere di vari colori, paesini ordinati visti dall’alto, poi Torino austera, fiera, bella. Sullo sfondo la meraviglia dell’arco alpino, il caso e il caos vollero che in mezzo al grigio ci fosse solo una strisciata di azzurro ad incorniciare montagne immense, austere come i piemontesi quando sono musoni. E’ bella l’Italia, veramente bella, peccato però che spesso ad amministrarla sia chiamata gente che con i quattrini pubblici si compra mutande verdi o lauree. Peccato veramente. La signora accanto a me nel treno che trapassa campagne e colline fra Torino e Alessandria telefona a voce bassa per un tempo lunghissimo. Altri signori e signore stanno con la  testa bassa a guardare schermi illuminati, ognuno per sé, neppure un libro, ora c’è l’iphone, l’ipode, l’ipad, tutti con il touch screen. Ah siamo nel paese "dove il Si suona." Invece chissà che fine sta facendo la lingua italiana, bah. Tutto in inglese si dice. Apro il giornale, però lo sguardo insiste ad andare nelle campagne piemontesi che scorrono chiuse fuori dal finestrino. Alberi nudi, spogli, inverno del nord, marrone, nero, poco verde. A fianco colline degradanti e dolci, terre di vigneti e frutta. Sinuose, leggere, belle. Poi la voce registrata che dice, ogni dieci minuti, che il capotreno controlla i biglietti “ma è anche un pubblico ufficiale e può identificare persone nel caso lo ritenga, chiunque si rifiuta o si ribella commette reato penalmente perseguibile” ed io a chiedermi cosa diamine sta succedendo ai capotreni? Colpa degli immigrati, dirà qualcuno.  La colpe è sempre degli immigrati. Anche quando un uomo italico picchia a sangue la moglie o l’ammazza. Ha sicuramente imparato dagli immigrati.
Intanto la pianura continuava a scorrere con i suoi campi belli delimitati, sembra tutto pulito e lindo, ogni cosa al suo posto, neppure una pietra fra le zolle di terra, il solo verde che spunta è il grano che sta nascendo nell’umidità (troppa veramente) di quest’anno bizzarro, neppure fa troppo freddo, e io che mi sono vestito per andare incontro al generale inverno. Non proprio come Totò e Peppino a Milano, però… Ho percorso millanta volte quelle rotaie in tempi lontani, Alessandria - Asti, allora c’erano treni chiamati locali, fermavano in ogni stazione e poi si socializzava vedendosi ogni giorno. Non c’era l’iphone, neppure il cellulare, dovevi confrontarti direttamente con chi avevi accanto, una tortura per qualcuno che sprofondava il faccione rubicondo in un libro, una fortuna per altri. Come al bar sport si parlava di politica, calcio, ideologia, del governo. Qualcuno riusciva a parlare con la più bella, qualcuno se l’è pure sposata poi.  Allora si chiamavano Ferrovie dello Stato (FF SS). Poi arrivò Trenitalia ed iniziò lo sfacelo. Ora Trenord è altra cosa rispetto ai treni di altre parti d’Italia. Ora siamo civili, moderni, ora tutto è sfacelo, solo l’alta velocità pare funzionare e i pendolari si arrangino un po’ quei pezzenti! Anni fa, all’inizio della rivoluzione ferroviaria, mi trovai a dover cambiare a Piacenza per raggiungere Bologna, come prescritto dall’orario scaricato da Internet. Scendemmo tutti dal treno e il capotreno disse “questo prosegue per Bologna”. Non cambiava il treno, cambiava la gestione dello stesso, non era più trenord ma qualcosa altro che non so. Ed io pensavo senza dirlo per non insultare “ma chi è quell’imbecille che comunica così con i passeggeri del treno? Solo un sadico può scrivere che si cambia treno, mentre cambia solo il personale”.
Alessandria, si scende. Da Lecce a qui ho viaggiato in pullman, aereo, treno e auto. Neppure un traghetto, peccato, avrei fatto tombola.
E poi l’incontro, ancora, con realtà tristi. Erano in due, camminavano davanti a me, erano anziane, 75/ 80 anni, vestite sobriamente, cappotto e borse piene di borse vuote, passando vicino ai cassonetti si fermavano, parlottavano guardandosi attorno, una andava a verificare il contenuto di alcuni sacchetti scelti là dentro con non so quale criterio, poi si allontanavano con la loro dignità, la sobrietà, i cappotti e le borse, in uno hanno “pescato” nell’altro no. Scene di ordinario Natale di crisi. Qui come a Lecce i cartelli “affittasi o vendesi” aumentano, qui come in ogni parte altra d’Italia. Il mondo sta mutando senza che lo stato sociale riesca ad incidere, senza che si riesca a salvare la dignità delle persone. “Quo usque tandem abutere patientia nostra?” Disse il rabbioso Cicerone, lui si riferiva a Catilina ed io penso che nulla è mutato da allora. 2000 anni trascorsi invano!
Capisci di essere a nord quando ordini un caffè al bar e lo paghi un euro. Anche dai campi ordinati fuori dal finestrino lo capisci. Ma lo comprendi anche leggendo “pizza e farinata”. Ok per la pizza, però mi manca molto la farinata nel basso Salento, occorrerà importarla, come la focaccia genovese.
Poi ancora piccole e grandi nebbie che sono l’humus dell’inverno padano, anche se dire “padano" inquieta. Un tempo al campionato mondiale si urlava “Forza Italia!” Poi ce l’hanno scippato per dare quel nome a un partito strambo, guidato da uno che poi è finito in galera. Un tempo dire di essere padano era un modo di dichiararsi. Significa dire di vino, di riso, di colline, di sconfinate pianure, di nebbie e gelo, della galaverna che imbianca i campi nelle mattine invernali, con il sole che illumina ogni filo d’erba. Significava dire della resistenza al nazifascismo, della FIAT e della ridente Emilia Romagna fino al Veneto. Il Po era il fiume d’Italia. Oggi dici Padano e subito qualcuno ride sperando di veder spuntare mutande verdi dai jeans. Oppure ti rifilano un’ampolina e ti dicono “pisciaci dentro e gettala nel Po”. Cose così insomma, tutta la poetica che esisteva è andata a farsi friggere assieme alle carpe e alle trote che nel Po non ci sono più perché troppo inquinato. Basta poco a volte a cambiare la tua storia personale. Non sono più padano! Sia chiaro! Sono nato in una pianura dove accanto ci sono colline, sull’altro lato risaie. Ah ci passano anche alcuni fiumi, il Tanaro, la Bormida, e torrenti come l’Orba e il Borbera. Ah, anche quel fiume lungo dal nome corto che passa lì vicino. Però è lontano da Alessandria eh. E non ho mutande verdi!!!
D’altra parte sta finendo così anche in altri luoghi, dici Salento e di getto rispondono “pizzicataranta”. E chi se ne frega dei messapi, dei frantoi ipogei, delle chiese barocche, dei martiri d’Otranto, di Renata Fonte.  
Ah la storia, anche stare senza internet per un fatale destino che ha fulminato un modem (e un gestore inetto) in fondo è buona cosa a volte, ti riporta a comunicare, a comprare il giornale, a vedere il TG. E pensare, osservare. Non è un bel vedere, per dirne una, quello dei nuovi telefoni che fanno tutto: mandano mail, giocano, parlano, ci sono mille applicazioni che noi raga moderni chiamiamo app, da quelle erotiche a quelle dell’alta finanza, ci sta il navigatore che ti indica la strada anche in Salento (dove la segnaletica, bene sappiamo, è stata progettata da qualche spiritello bizzarro, amante dwello sberleffo) e tante altre cosine forse deliziose, ma che tediano, scaricano le batterie e sono sostanzialmente inutili. Però avviene spesso che vedi signori e signore, anche attempati, intenti a guardare con due paia di occhiali quegli infernali marchingegni cercando l’app per whatzap e il navigator e quando squilla il cellulare normalmente non lo sentono perché le suonerie sono bizzarre e potrebbe trattarsi del camioncino del fruttivendolo. E quando si deve comporre un numero con il touchscreen (questo lo pronunciano tutti eh) occorre pigiare con la punta del medio per evitare di fare tre numeri contemporaneamente. Se poi si manda un sms quasi sempre decide lui , il marchingegno, cosa scrivere, tu inizi una parola e lui la termina, anche se volevi dire pranzo e ti esce protocollo. L’evoluzione del T9 è micidiale! E tutto deve succedere (è d’obbligo), all’ombra! Se stai al sole lo schermo è illeggibile, allora vedi coppie dove uno sta fermo, l’altro sta dietro la sua schiena a cercare ombra per leggere, cose di altri mondi.

Ecco allora i desideri per il nuovo anno: vorrei un telefono che telefona e basta. Vorrei poter dire che sono padano senza sentirmi un troglodita. Non sono un tifoso, però se una volta mi scappasse, durante una partita, “Forza Italia” vorrei che non arrivassero i carabinieri a impacchettarmi come hanno fatto con quello piccolo, brutto, con orecchie da dumbo.        Questo al netto della pace nel mondo ovviamente.  Chiedo molto?

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