Ascoltando Vecchioni al Politeama Greco. E’ stato un viaggio
a ritroso nel tempo, siamo tutti più vecchi, ricordo, erano gli anni ’70 quando
acquistai uno dei suoi primi album, si
chiamava Elisir, conteneva brani che mi
sono rimasti dentro, Velasquez, A.R. (Rimbaud), Effetto notte, Figlia, Pani e
pesci ed altre. Sgorgava poesia. Da allora lo seguii: Samarcanda, Luci a San
Siro, e fra le più belle quelle della prima parte della scaletta del concerto
di Lecce: L’ultimo spettacolo, Dentro gli occhi, Ninni.
Strano effetto rimbalzo, le poesie erano canzoni o viceversa,
le emozioni, allora, in quegli anni densi di impegno e voglia di lasciarsi
andare erano le stesse, forse avrei potuto detestarlo, diceva le cose che io
sentivo mie. Eppure stavo ad ascoltare
le cose che mi sarebbe piaciuto saper scrivere… era bello.
Era struggente come l’intimismo di Vecchioni, lui mettere in
piazza emozioni e sensazioni, anche le mie, forse molte di una generazione
intera.
Mentre suo padre finiva di giocarsi il cielo a dadi e suo
fratello non arrivava più a giocare sugli argini, lui cresceva,
io ascoltavo. Ed oggi è arrivato con quell’album, l’ultimo, e quella
canzone che, ancora una volta, accidenti a lui, sento un po’ mia. Dedicata a
chi non ha voglia più di crederci, ai disillusi tutti. A quelli che tuttavia
non riescono a non guardare, a non osservare, a non sentirsi inadeguati di
fronte a quell’irreale vero che ci circonda. Quel “io non appartengo più” in realtà è denuncia di fortissima appartenenza,
quando ci sei dentro non riesci ad uscirne, quando vuoi capire e non ci riesci
non molli la presa, riprovi e riprovi ancora. In fondo si è prigionieri in
qualche modo.
…Sono sveglio dentro un sogno di totale indifferenza,
che persino tra le gambe mi si è persa la pazienza.
Io non appartengo al tempo del delirio digitale,
del pensiero orizzontale, di democrazia totale.
Appartengo a un altro tempo scritto sopra le mie dita,
con i segni di chitarra che mi rigano la vita.
Io l'ho vista la bellezza e ce l'ho stampata in cuore,
imbranata giovinezza a ogni antico nuovo amore.
Io non appartengo più, mi fa ridere lo ammetto,
ma vi giuro non lo faccio per malinconia o dispetto…
Non so se gli anni in cui lo “incontrai” furono
meravigliosi o meno, non so neppure se è valsa la pena, in fondo. So che erano
intensi e densi, che non c’era un attimo, un momento libero e che prima di
addormentarmi lasciavo scorrere emozioni e malinconia anche. “Figlia, figlia,
non voglio che tu sia felice, ma sempre contro finchè ti lasciano la voce…”
cantava Vecchioni, ecco forse è il riassunto di un pensiero e un comportamento lungo
quanto un ’68, sempre contro fino a quando non si era gettata sabbia negli
ingranaggi del mondo che girava alla rovescia, dove i poveri non potevano che
impoverirsi. Il sogno americano si frantumava per tutti quanti, ne avevamo uno italiano,
fatto di conquiste e di emozioni forti. Forse sogni adolescenziali, chissà. Poi
la storia ci ha scavalcati, qualcuno si è seduto, qualcun altro si è lasciato
andare, altri hanno proseguito a guardare le cose della vita con aria sorpresa
sempre. Gli amori rincorsi sotto le luci di San Siro
si sono trasformati, sono diventati maturi… molti sono marciti. Mentre Guccini, diceva di Eskimo “… lo porta addosso
mio fratello ancora, e tu lo porteresti e non puoi più…” per i più duri e puri
valevano le parole de La Locomotiva “trionfi la giustizia proletaria…” anche se
sapevamo, in fondo, che ormai erano parole che stavano entrando nel mondo delle
fiabe. Forse della fede, esattamente come altre fedi. Una generazione sanguigna
stava mutando dopo essere stata sedotta dall’utopia e travolta dalla realtà che
non aveva saputo mutare. La caduta dei partiti sotto il peso delle tangenti era
dietro l’angolo. Bombe e morti sui marciapiedi erano altro dalle speranze e dai
desideri.
C’erano molti giovani ad ascoltare Vecchioni, ed
applaudivano. Ognuno con la rilettura delle parole secondo il proprio sentire,
il vissuto personale. E’ la grandezza di chi scrive, riuscire a far
vibrare più emozioni. “Con l’occhio
azzurro io ti salutavo, con quello blu io già ti rimpiangevo”… molti l’hanno
vissuto, nessuno nello stesso modo, con identica intensità. Eravamo in molti ad
ascoltare, ognuno immerso nelle sue sensazioni, quasi impermeabili a quel che
avveniva attorno.
intenso e bellissimo.
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