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martedì 11 marzo 2014

Quote rosa e parità di genere

I dati ISTAT dal Censimento e da ricerche ci dicono che in Italia la situazione è la seguente:
Popolazione: 59.433.744 (52% popolazione femminile)
11,6% disoccupati (ufficiali)
248000 avvocati (0,4%)
3.300.000 dipendenti pubblici (5,5%)
1.400.000 circa gli insegnanti di ogni ordine e grado (2,4%)
¼ dei deputati e senatori sono avvocati e impiegati, in particolare gli avvocati sono 110 (11%)
(le percentuali sono fatte su base 60 milioni)

Giorni di bollente dibattito sulle quote rosa questi che precedono la riforma elettorale. Ma è veramente quello di mettere per legge la parità di genere il problema?



Se è vero che il 52% della popolazione italiana è di sesso femminile, altrettanto vero è che chi vuole la parità di genere per legge non vuole mettere i partiti in cui milita di fronte alle loro responsabilità. Dovrebbero essere infatti i partiti stessi a porsi il problema delle candidature, di come farle, di come eleggere le loro segreterie, di rispettare il tessuto sociale. Renzi da questo punto di vista è stato corretto, parità di donne nella segreteria del PD, parità di ministri. L’elettore invece vorrebbe avere sulla scheda persone nelle quali potersi riconoscere, al di là del genere, del colore della pelle, della rappresentanza, per questo la necessità anche delle preferenze. Se invece si ritiene di dover imporre la composizione delle liste in modo rigido, perchè non tenere conto delle altre variabili della società? Metà uomini e metà donne, all'interno di questi il 10% dovranno essere i disoccupati, il 5,5% i dipendenti pubblici, di questi il 2,4% insegnanti di ogni ordine e grado. L’11% di avvocati attualmente nei due rami del parlamento dovranno essere drasticamente ridotti allo 0,4%. E via ancora con gli stranieri residenti e ancora con ogni altra variabile. Sarebbe follia allo stato puro, ovviamente.
Se può essere vero che occorre abbandonare a volte il politicamente corretto, come sostiene Serra in un articolo, e costringere chi ha le mani sulle orecchie per non sentire a scostarle, altrettanto vero è che io, elettore, debbo avere facoltà di scelta. E più vero ancora è che i partiti, che sono il fulcro delle democrazie, debbono darsi autonomamente regole. Il fatto che non siano in grado di farlo la dice lunga sulla debacle etica, politica e culturale dei partiti stessi, nessuno escluso. Occorre lottare strenuamente, per chi è all'interno dei partiti, uomo o donna che sia, perchè queste regole vengano messe negli statuti, il pretendere una legge che li costringa a prendere atto è un vulnus per i partiti stessi, è il palesare la loro inconsistenza ed incapacità. Purtroppo da qualche anno si va avanti per categorie, “occorre svecchiare, ci vogliono i giovani” “quote rosa” eccetera. Bene, uno dei politici più giovani sbocciati negli ultimi anni si chiama Renzo Bossi. Le donne di spicco dell’era berlusconiana si chiamano Binetti, Santanchè, Mussolini ecc. Al di là del genere, non esiterei a dare la mia preferenza a Rodotà, vecchio e uomo.
I disoccupati? Sarebbe bello fossero rappresentati nelle istituzioni, farne una legge però renderebbe vana la loro stessa rappresentatività, diventerebbero specie rare da proteggere. Altro è se i partiti si pongono il problema ed fanno scelte al loro interno. So e mi rendo conto che questo discorso può essere tacciato di maschilismo, però io sono solo elettore, vorrei avere una scheda con un ventaglio di candidati da poter scegliere in base alle mie aspettative, sulla base di valutazioni mie. E vorrei poter dare una preferenza alla persona (uomo, donna, vecchio, giovane, negro, giallo) che ritengo possa rappresentare meglio quello che io desidero. Con la facoltà di cambiare voto la prossima volta. Questa roba qui la chiamo Democrazia.


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