utopìa s.
f. [dal nome fittizio di un paese ideale, coniato da Tommaso Moro nel suo
famoso libro Libellus ... de optimo reipublicae statu deque nova Insula
Utopia(1516), con le voci greche οὐ «non»
e τόπος «luogo»;
quindi «luogo che non esiste»]
Così il dizionario Treccani.
Utopia, mai nome fu più azzeccato forse, per un piroscafo.
Era il 1891, quel 17 marzo il piroscafo inglese Utopia passava da Gibilterra.
Partì da Trieste, poi Palermo, e ancora Napoli. Caricò Persone, contadini
calabresi, campani, abruzzesi. Tutti quanti volevano crearsi una vita oltre
oceano. Avevano una speranza e sicuramente molta angoscia, storie che si
ripetono. Lingue sconosciute, quel mare che non finisce mai. Roba da migranti,
appunto. Tanto simile ad altri piccoli naufragi che hanno traformato il mare
nostrum in un immenso cimitero nel quale non conoseremo mai il numero esatto di
cadaveri. Utopia arrivò alle 18,00 circa con il suo carico di “3
passeggeri di prima classe, 3 clandestini, 59 membri dell'equipaggio agli ordini
del capitano John McKeague e 813 emigranti, quasi tutti italiani.” Davanti al porto di Gibilterra, il mare era
impazziro, la visibilità al minimo. Il comandante decise di entrare in porto, forse
sbagliò manovra, chissà, Utopia andò a sbattere contro la corazzata inglese Anson
e si piegò, si adagiò nell’acqua, colò a picco. Utopia, i migranti la
chiamavano Tobia.
Ancora non
sappiamo se i morti furono solo 563 come dicono i dati ufficiali. Utopia non
era mica il Titanic, la nave dei ricchi, era solo un bastimento carico di
migranti, poveri cristi, umili, contadini. Neppure parlavano lingue diverse dal
loro dialetto. Nessuno ha mai fatto uno straccio di film su di loro. Dei 300 sopravvissuti molti ripresero il
viaggio, altri tornaron oa casa. Senza aver fatto fortuna.
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