« Siamo preoccupati!
Assistiamo impotenti
al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime
o mandanti delle organizzazioni della camorra. Come battezzati in Cristo, come
pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della
nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”. Coscienti che come
chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima
beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del
superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio
sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”.
Sono le parole
contenute in un documento diffuso nel Natale 1991 nelle parrocchie di Casal Di
Principe.
Erano le 7,20 del 19
marzo 1994, era il suo onomastico. Don
Giuseppe (Peppe) Diana era in sacrestia, si preparava a dire messa, entrò il
sicario, i cinque colpi andarono tutti a segno. “Per amore del mio popolo non
tacerò”, aveva detto. Il sicario mandato da De Falco, collega e rivale di
Francesco Schiavone, detto Sandokan, se ne andò.
Immediata partì l’ignobile
macchina del fango “ucciso per questioni di donne” “Aevava due amanti”. E ad infangare ci furono anche nomi illustro
come riportato da Saviano in un articolo su Le repubblica in cui riporta
la domanda di due ragazzi a Gaetano
Pecorella, come mai fosse contemporaneamente Presidente della Commissione
giustizia alla Camera e difensore di Nunzio De Falco, poi condannato come
mandante dell’omicidio Diana. Ed ho letto che lui, Pecorella, rispose che i
possibili moventi non sono mai stati provati, “ce ne sono tanti”. Compreso,
si sottintende, quello del prete con due amanti, evidentemente. Già, come può
uno essere nelle commissioni giustizia e difendere camorristi e mafiosi? Questione
di etica, solo quello.
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