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domenica 8 settembre 2013

Di politica, filosofia, etica e altro

E’ in corso la “festa della politica” organizzata da Massimo Cacciari. Sarà un luogo in cui non politici di professione parleranno di politica. Oltre al filosofo veneziano ci saranno osservatori, filosofi, analisti e ci saranno seminari con studenti e docenti.
In un’intervista durante la preparazione della festa, Cacciari poneva l’accento sulla necessità per i partiti di tornare a “fare politica” nel senso più alto del termine, a progettare, programmare, avere idea di dove si voglia andare a finire. L’ubriacatura degli ultimi vent'anni ha fatto deragliare i partiti dai binari della costruzione di pensiero e programmazione per trasformare tutto nella “ricerca del leader salvifico”. In realtà da troppo tempo si demanda a chi guida i partiti e li (S)governa il compito di dare la linea, costruire, fare e disfare a piacimento. Non è assolutamente un caso che la legge elettorale attuale piaccia tanto e nessuno voglia mutarla, compreso il movimento di Casaleggio e Grillo, anche loro hanno necessità di guidare un gregge anziché costruire dibattito e dialogo. E’ fatta ad hoc per consentire a chi guida il carro di scegliere e nominare gli eletti. Il PD ovviamente sbaglia anche questo, ma è altro discorso. Quelli che un tempo erano i partiti, luoghi plurali di discussione, elaborazione, formazione, oggi sono degli ufficietti in cui regna sovrana la volontà del Capo a cui tutto si demanda e che sono presenti solo mediaticamente fra le persone, quando lo sono, la distanza dei politic dalle persone è palpabile, sembrano mondi alieni uno dall'altro. Anche le primarie per decidere chi, nel centro sinistra, avrà il compito di essere alla guida di coalizioni, diventano nei fatti un modo di demandare e delegare ad uno solo al comando la vita e la morte di ogni movimento futuro. E sarà lui (di lei se e vedono pochine, anche qui ci sarebbe da discutere a fondo) che ne pagherà le conseguenze in prima persona, nel bene e nel male, quasi fosse il Marchionne della politica, l’amministratore delegato. Se sbaglia si caccia con ignominia e si cambia in corsa, tutti inginocchiati davanti al nuovo che arriva. Se invece vince avrà l’onore di decidere da solo e scegliere la servitù. Questa deriva ha portato nel tempo all'abbattimento della capacità di costruire dialogo, analisi, formazione. Un tempo (ahi la prima Repubblica) anche per fare il Sindaco di un paesino, occorreva essere quanto meno informati sul funzionamento dell’amministrazione, oggi il parametro primo è troppo spesso “essere giovani”, quasi che non esserlo fosse immorale. Essere informati significava aver seguito la vita politica ed amministrativa, essere pronti ad entrare in meccanismi complessi e soprattutto avere un progetto e un’idea di società possibile ed auspicabile. Tutto questo pare spazzato via. Se a destra questo processo è ovvio e scontato, per loro occorre ad ogni costo e da sempre un uomo forte al comando, foss’anche un colluso con la malavita o un pluripregiudicato, importante è che abbia carisma, che sappia parlare il linguaggio della demagogia e che magari possieda qualche TV. Importante è che proclami di avere tolto l’IMU senza porsi il problema del danno indotto da questa scelta sciagurata e di facciata, se domani la tassa che sostituirà l’IMU: Tassa di Servizio o per i servizi, (lo ricordiamo anche a Letta che siamo in Italia e che amiamo alla follia la nostra lingua), verrà sostituita con un salasso peggiore, si provvederà a sottacerlo e a dire “noi abbiamo levato la tassa iniqua anche sui castelli”.

Se per togliere una tassa ai ricchi si penalizzano i fondi per l’occupazione e per i vigili del fuoco non fa nulla, importante è fare demagogia a quintali. Se a destra tutto ciò fa parte del DNA, nelle non destre questo non doveva accadere, la stessa Democrazia Cristiana aveva scuole quadri, faceva corsi per i futuri amministratori, istruiva sul significato di essere catapultati nella vita pubblica. Per l’allora PCI era non solo prassi consolidata, ma anche un dovere etico, morale e politico.  Tutto questo oggi lo chiamano “ideologia” da demonizzare, si è gettato via il bambino, l’acqua sporca e il catino. Ora ci saranno primarie e congressi nel PD. Renzi o non Renzi? Questo è il dilemma, personalmente, se fossi iscritto a quel partito, scriverei: “PD” sulla scheda. Perché un partito deve essere plurale, perché non mi interessano Renzi o Cuperlo, mi interessa il disegno complessivo, mi interessa un’idea di società possibile. Mi interessa che ci sia, magari, un leader ma attorniato da persone che condividono percorsi formativi, culturali, etici e che sappiano dire di politica e di filosofia. Che sappiano dove si vuole andare. Invece questo perverso gioco ha preso piede ovunque, se Vendola si ritirasse in un convento di clausura domattina, dopodomani SEL conterebbe poco meno del due a briscola, non c’è altra persona, apparato, segreteria riconosciuti dalle persone. Lo stesso movimento di Casaleggio e Grillo senza il comico sarebbe roba da barzelletta (anziché da tragedia). Il successo di quel movimento, più che dalle parole d’ordine lanciate, è dovuto al carisma del suo guitto e dal populismo profuso a piene mani. Se la critica che il guitto fa di questo stato di cose è in parte condivisibile, terrificante è la ricetta quando si vuole demandare ogni decisione alla rete. Democrazia Diretta è altra cosa da un clic al computer, è conoscenza, competenza.  Anni addietro assistemmo alla nascita ed esplosione della Lega Nord che ha, ovviamente, sfruttato l’onda d’urto della malapolitica, ma che ha saputo far tesoro degli insegnamenti della Repubblica detta Prima, andando fra le persone, con la presenza nei paesi, nei quartieri, formando politici riconosciuti ad ogni livello. Poi, presi dalla smania del leader salvifico, anche loro hanno ceduto e portato al governo della Lombardia (per dirne una) un semianalfabeta che ha rubato soldi pubblici come primo atto.  Derive perverse, terrificanti. Tornare ai partiti che fanno il loro dovere di elaborazione, significa tornare alla prima Repubblica?  E chi se ne frega, non è un caso che la prassi preveda che la buona amministrazione sia demandata ai politici, perché dovrebbero fare sintesi di necessità, bisogni collettivi e gestione delle risorse in modo equo, altrimenti nominiamo veramente un Amministratore Delegato che faccia funzionare l’azienda, licenziando se occorre, togliendo pensioni se vuole, delocalizzando il Colosseo a Pechino se lo ritiene utile, oppure per citare un ex ministro dell’economia, concedendo in appalto ai privati le coste italiane. Intanto sono patrimonio dell’azienda, mica di tutti gli italiani.

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