“… Per questo motivo,
noi del sud continuiamo a ribadire che la guerra di liberazione e la resistenza
furono grandi movimenti di massa che coinvolsero l’intera penisola, con la
specificità di vedere agire nel Meridione
le forze alleate e nel settentrione i combattenti partigiani. Tra le
centinaia di migliaia di combattenti, migliaia furono le donne e gli uomini del
sud che combatterono il nazifascismo, e tra loro migliaia furono i pugliesi e i
salentini…” (Dalla prefazione di Maurizio Nocera)
Partigiani Antifascisti
e Deportati di Lecce e Provincia (di Pati Luceri, per i tipi di Giorgiani
Editore) è un libro importantissimo per dare un senso, con nomi e dati, ai
1226 patrioti che hanno partecipato alla guerra e hanno subito deportazioni, hanno
preso le armi contro il nazifascismo ed hanno trovato la morte. 860 furono
partigiani, 157 patrioti, gli altri impegnati in attività antifasciste. 159 i
caduti, 65 i feriti, 1030 deportati nel lager nazisti di cui 218 deceduti e 24
dispersi in mare. Sono cifre dolorose, terrificanti, che dicono quanto la
vulgata che voleva la Resistenza quasi come un fatto relegato al nord fosse
limitativa, è stata invece trasversale all’Italia intera. Il Salento, Lecce
nella pubblicazione di Luceri, ha dato un contributo grandissimo. Dopo l’otto
settembre molti militari sbandati affiancarono i partigiani, moltissimi vennero
deportati perché fedeli ad un monarca che abbandonò la nave alla deriva
rifugiandosi proprio in Salento. Molti nei campi di sterminio trovarono al
morte.
E proprio quell’idea infondata della Resistenza come cosa
del Nord è forse il discrimine fra le celebrazioni alle quali ero abituato
“lassù” e quelle che vedo e vivo qui. Il 25 aprile è sentito, là, molto più
intensamente del primo maggio. La festa dei Lavoratori è internazionale e dei
diritti, è vissuta in modo più “militante”, il 25 aprile invece ha toccato ogni
singola famiglia nei paesi e nelle città del nord. Tutti avevano a che fare,
dalla parte giusta o sbagliata che fosse, con la guerra di liberazione. Io, figlio
del boom economico e del dopoguerra, ho ancora nella testa racconti fatti da
partigiani combattenti. Di quella volta che disarmarono i tedeschi, o
dell’altra volta, quando videro sulla neve impronte di piedi nudi insanguinati,
erano i partigiani della banda Tom fatti camminare a piedi nudi nella neve per
oltre trenta Km. e fucilati. Storie raccontate senza enfasi, ma con il dolore
di aver vissuto una guerra criminale ed un ventennio dittatoriale, e poi i
silenzi di chi non aveva combattuto ma aveva in qualche modo aiutato,
spalleggiato magari, perché in un piccolo paese chi sceglieva la clandestinità
aveva fatto le elementari con chi non si armava, erano stati ragazzi assieme e
assieme avevano giocato e scherzato, non era possibile tradire, come impossibile
era rimanerne estranei. In quel clima
la mia generazione ha imparato le storie della liberazione, con la complicità e
il rispetto per chi aveva osato. Ora
purtroppo, mi si dice, anche lassù il 25 aprile sta diventando una ricorrenza
senza molto pathos, anche là cortei di autorità e forze armate, con
l’aggravante di una parte politica che ha governato lunghissimi anni che nei
fatti vuole silenziare gli eventi e vorrebbe con forza trasformare il 25 aprile
nel ricordo di tutti i caduti. Così non è, e non sarebbe accettabile, un conto
è pacificazione, altra cosa è sapere che se avesse vinto la parte sbagliata
dell’umanità, ora non potremmo avere le libertà che abbiamo, né la Costituzione
più bella del mondo, non è un caso che qualcuno voglia azzerarla. Da quando frequento il Salento invece vedo
manifestazioni ovattate, quasi la liberazione fosse un fatto estraneo a queste
terre, quasi fosse da sempre una banale ricorrenza, eppure, ne parlavo con
amici, forse c’è fra i patrioti e partigiani salentini una sorta di valore
aggiunto. Chi si trovò a nord l’otto settembre e scelse di fermarsi in montagna
era spinto da una volontà di Liberazione forte, pari forse
all’internazionalismo che spinse molti italiani di ogni regione ad andare in
Spagna a combattere il franchismo. Molti sbandati hanno fatto la scelta di
provare ad attraversare l’Italia per raggiungere le loro terre, atteggiamento
assolutamente non condannabile e molto umano, chi si fermò, invece, mise a
disposizione tutto quello che aveva. E parliamo di donne e uomini. Ragazzi
allora, solo ragazzi ai quali un ventennio di dittatura e 4 anni di guerra
hanno scippato la vita.
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