Poi è toccato a SEL arrivare a Lecce. Intanto annotiamo che
anche il partito del Presidente della Puglia ha optato per un comodissimo posto
al chiuso, lontano dalle piazze. “Avrebbe potuto piovere” mi si dice. La realtà
è che l’angusta sala per Bersani e quella più capiente di Vendola e Stefàno
erano stracolme con persone in piedi. Nel primo caso in troppi hanno dovuto
rinunciare all’ascolto, nel secondo è andata meglio. Non osare una piazza è
sintomo evidente di una sorta di timore reverenziale. Non si tratterebbe di
scelta populista, piuttosto di distinguersi da chi dice (quello vecchio del PDL
che forse soffre l’umidità) che gli uomini della scorta hanno sconsigliato il
pubblico, e da Monti che preferisce incontrare il Vescovo e i giovani
imprenditori piuttosto che i choosy e i cassa integrati molti dei quali, tra
l’altro, non sono neppure vestiti eleganti e non hanno uno straccio di master.
Comunque la sala grande del Tiziano era stracolma veramente.
Con la canonica ora di ritardo in un caldo che si faceva sempre più incombente
ha aperto le danze la segretaria provinciale Cordella che ha fatto un elenco di
cose che Dario e Nichi dovranno portare a Roma: i giovani, la Sanità pugliese,
gli anziani, il lavoro e via dicendo.
Poi Stefano che dopo una partenza che sembrava
emozionatissima e quasi a rilento, si è caricato piano piano in un crescendo
che ha detto dei valori aggiunti del governo Vendola in Puglia da esportare in
Italia, ha detto di agricoltura che da reietta è stata trasformata in risorsa,
dei disoccupati, soprattutto ha detto del dialogo fra gli assessorati che
sembra una cosa dimenticata sentendo i ministri nazionali di questi ultimi
vent’anni. Non un lavoro di equipe, ma tanti piccoli laboratori artigiani in
competizione fra loro. Ed ha ripetuto “non siamo tutti uguali” come vuole
qualcuno. Ed ha voluto rimarcare che lui, imprenditore, si sente al proprio
posto nel governo Vendola, perché i valori sono condivisi.
Poi è toccato a Vendola che è partito anche lui quasi in
sordina, lentamente, evidentemente stanco di una campagna elettorale per molti
aspetti inquietante, volgare, idiota. Quasi in inizio di intervento ha buttato
lì un (lungo) intermezzo sulle dimissioni del Papa che sono state, secondo
Nichi, gesto rivoluzionario. La platea ascoltava aspettando altro, in fondo per
molti si tratta di dimissioni di un capo di stato straniero e basta. Applausi
qua e là, spezzoni di commenti raccolti fra il pubblico “Ce la faremo a superare
lo sbarramento del 4%?” “Forse si ma di misura” . “Ma tu voti Ingroia?” “Vendola
dovrebbe smetterla di fare poesia e tornare a fare politica” “Grande Nichi, è
commovente” e via dicendo, fra le persone che incontro e conosco c’è speranza
di vittoria, solo quella, nessuna certezza, soprattutto la strana sensazione
che anche con una vittoria schiacciante saranno problemi seri. In quest’ultimo
ventennio e nell’ultimo anno in particolare la crescente volgarità della
politica, l’incalzare di partiti neo leghisti come il cinque stelle sono
sintomi di un’Italia per la quale si può solo sperare, senza avere la
sensazione di poter servire a cambiarla. In fine di comizio Vendola, abilissimo
utlizzatore delle parole, è comunque riuscito a dare fiato all’ottimismo.
Pacato però.
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