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mercoledì 20 febbraio 2013

Poi toccò a Vendola


Poi è toccato a SEL arrivare a Lecce. Intanto annotiamo che anche il partito del Presidente della Puglia ha optato per un comodissimo posto al chiuso, lontano dalle piazze. “Avrebbe potuto piovere” mi si dice. La realtà è che l’angusta sala per Bersani e quella più capiente di Vendola e Stefàno erano stracolme con persone in piedi. Nel primo caso in troppi hanno dovuto rinunciare all’ascolto, nel secondo è andata meglio. Non osare una piazza è sintomo evidente di una sorta di timore reverenziale. Non si tratterebbe di scelta populista, piuttosto di distinguersi da chi dice (quello vecchio del PDL che forse soffre l’umidità) che gli uomini della scorta hanno sconsigliato il pubblico, e da Monti che preferisce incontrare il Vescovo e i giovani imprenditori piuttosto che i choosy e i cassa integrati molti dei quali, tra l’altro, non sono neppure vestiti eleganti e non hanno uno straccio di master.
Comunque la sala grande del Tiziano era stracolma veramente. Con la canonica ora di ritardo in un caldo che si faceva sempre più incombente ha aperto le danze la segretaria provinciale Cordella che ha fatto un elenco di cose che Dario e Nichi dovranno portare a Roma: i giovani, la Sanità pugliese, gli anziani, il lavoro e via dicendo.
Poi Stefano che dopo una partenza che sembrava emozionatissima e quasi a rilento, si è caricato piano piano in un crescendo che ha detto dei valori aggiunti del governo Vendola in Puglia da esportare in Italia, ha detto di agricoltura che da reietta è stata trasformata in risorsa, dei disoccupati, soprattutto ha detto del dialogo fra gli assessorati che sembra una cosa dimenticata sentendo i ministri nazionali di questi ultimi vent’anni. Non un lavoro di equipe, ma tanti piccoli laboratori artigiani in competizione fra loro. Ed ha ripetuto “non siamo tutti uguali” come vuole qualcuno. Ed ha voluto rimarcare che lui, imprenditore, si sente al proprio posto nel governo Vendola, perché i valori sono condivisi.
Poi è toccato a Vendola che è partito anche lui quasi in sordina, lentamente, evidentemente stanco di una campagna elettorale per molti aspetti inquietante, volgare, idiota. Quasi in inizio di intervento ha buttato lì un (lungo) intermezzo sulle dimissioni del Papa che sono state, secondo Nichi, gesto rivoluzionario. La platea ascoltava aspettando altro, in fondo per molti si tratta di dimissioni di un capo di stato straniero e basta. Applausi qua e là, spezzoni di commenti raccolti fra il pubblico “Ce la faremo a superare lo sbarramento del 4%?” “Forse si ma di misura” . “Ma tu voti Ingroia?” “Vendola dovrebbe smetterla di fare poesia e tornare a fare politica” “Grande Nichi, è commovente” e via dicendo, fra le persone che incontro e conosco c’è speranza di vittoria, solo quella, nessuna certezza, soprattutto la strana sensazione che anche con una vittoria schiacciante saranno problemi seri. In quest’ultimo ventennio e nell’ultimo anno in particolare la crescente volgarità della politica, l’incalzare di partiti neo leghisti come il cinque stelle sono sintomi di un’Italia per la quale si può solo sperare, senza avere la sensazione di poter servire a cambiarla. In fine di comizio Vendola, abilissimo utlizzatore delle parole, è comunque riuscito a dare fiato all’ottimismo. Pacato però.

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