“I sindacati non sono andati a vedere dietro i piani FIAT,
l’unico che l’ha fatto è la FIOM…”. “Il piano Fabbrica Italia? Secondo me non è
mai esistito…” A parlare così non è Vendola, neppure Giordano, men che meno le
ex sinistre che hanno appoggiato il piano Marchionne dichiarandosi disponibili
alla prostituzione pur di farlo (Fassino, D’Alema, Bersani e compagnia
cantando) queste parole sono state pronunciate da Cesare Romiti.
Chi è costui? Figlio di un impiegato, fu direttore generale
della SNIA Viscosa, poi Amministratore delegato ALITALIA, quindi Italstat e poi
FIAT. Dopo la sua cacciata da FIAT ad opera di Ghidella, ne riprenderà il posto
nel 1996 a seguito di una lotta intestina ai vertici aziendali. Andò in
pensione con una liquidazione miserella: 101 milioni di euro circa. Da
pensionato giochicchia con la fondazione Italia Cina, con Impregilo, RCS,
Aeroporti di Roma per passare il tempo.
Romiti era AD della FIAT decisamente antisindacale, fu lui a
promuovere la marcia del 40.000 quadri che troncarono la lotta degli operai
FIAT e costrinsero i sindacati ala trattativa in un momento in cui Mirafiori
stava per essere occupata con il placet, addirittura, di Enrico Berlinguer e
del PCI. Insomma, un dirigente non certo tenero con i sindacati, che tuttavia
ammette oggi che il loro fiato sul collo “mi fece evitare molti errori”.
Insomma, il piano Marchionne era talmente spudorato, grezzo
e senza senso che solo la pochezza del governo dell’epoca, dell’opposizione e
dei due sindacati (CGIL si è salvata la faccia perché tirata da FIOM) hanno
potuto permettere questo scempio. I
soloni dei mercati non avevano previsto nulla. L’uscita di FIAT dall’Italia
significa centinaia di migliaia di posti di lavoro persi, l’indotto vale
infatti numeri importantissimi.
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