Lo sapevo che mi avrebbe fatto sorridere e commuovere Mario
Perrotta. Il teatro romano non era pieno, ahinoi, chissà perché i leccesi non
corrono a rendere omaggio a questo leccese che ha talento e capacità, che porta
in giro per il mondo la migrazione dei salentini con una incredibile capacità
affabulatoria. Riesce ad incollarti sulla poltrona, anche se è solo un sedile di
pietra come si conviene agli anfiteatri romani.
“La turnata – Italiani cincali parte seconda” è il titolo, e
racconta di bimbi chiusi per anni in una camera perché la legge elvetica non
consente ad un immigrato di portarsi i figli. Succedeva con i pugliesi allora,
oggi con i turchi, gli slavi e gli altri immigrati. Nulla è cambiato nel mondo
della cioccolata fondente e delle banche. Nulla muta nell’indifferenza
dell’Europa che, tutto sommato, invidia la terra sedicente neutrale e che
utilizza questo status per ripulire i quattrini di ogni più nefanda tirannia ed
ogni traffic odi armi, in alcuni stati extra comunitari e non solo le norme anti
immigrati, che sono nei fatti incivili, sono quotidianità anche se hanno nomi diversi,
possono chiamarsi Bossi Fini o pinco pallino, la sostanza non muta.
La “turnata” si
distingue dalla “’enuta” anche se ne ha lo stesso significato, entrambe significano
ritorno. La seconda però è una cosa lieve, temporanea. Ha il sapore delle auto
pulite e grandi degli immigrati che arrivavano per le ferie ostentando
ricchezza con i coprivolanti di pelo e le tendine ai finestrini “come fanno i
tedeschi”. Quelli che andavano al bar del paese a testa alta, come chi ce
l’aveva fatta, salvo poi tornare nel mondo dell’assurdo, delle baracche, dei
cartelli “vietato l’ingresso ai cani e agli italiani”. Ma questo non si poteva
dire, erano i pugni chiusi per nascondere lo sporco delle mani. La “turnata” è
invece per sempre e significava l’avercela fatta. Quasi sempre, nella storia
narrata da Mario c’è il nonno morto che non può essere affidato al ritorno su
mezzi convenzionali perché costa troppo e viene portato al suo paese, per la
sua “turnata” come passeggero sulla Giulia 1300, assieme a tutta la famiglia,
compreso il bimbo nascosto nel bagagliaio perché non avrebbe dovuto essere
“alla Svizzera”.
La capacità narrativa di questi nuovi guitti, parlo di Mario
che ci racconta i migranti in Belgio e in Svizzera e parlo di Paolini che ci ha
sapientemente raccontato il Vajont e non solo, sarebbe da portare in ogni
scuola. La storia narrata in questo modo, documentata e supportata di ore di
registrazioni di testimonianze, da viaggi ad ascoltare l’uomo blu di Casarano,
piuttosto che il tunisino che, sempre a Casarano, vive e che racconta del
perché gli immigrati antichi siano a loro volta guardinghi, quasi razzisti
verso i nuovi migranti “perché lo schiavo liberato diventa spesso schiavista”,
è La Storia (maiuscolo) che tutti quanti dovremmo conoscere. In un breve
dialogo prima dello spettacolo, Mario mi parlava di Cincali due come della
chiusura di un cerchio. “Chissà se ora indagherà sulla ripresa della vita al
ritorno degli emigranti nei loro paesi” mi diceva Angelo uscendo da lì.
Ovviamente giro la domanda a Mario. E’ veramente chiuso questo cerchio? Se non
lo fa lui questo sforzo sarà difficile leggerlo in modo ironico e
apparentemente leggero nelle pagine di qualche saggista. Sarebbe altra cosa.
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