La Costituzione parla esplicitamente del diritto alla salute
e di quello al lavoro, addirittura quest’ultimo è, secondo la carta, la parte
fondante della Repubblica stessa. Lo Stato ha quindi il dovere di tutelare
entrambi questi diritti. Ora, a meno che non si ritenga la Carta Costituzionale
alla stregua di un soprammobile inutile e da spolverare di tanto in tanto,
magari giusto nelle ricorrenze, per poi scordarlo per il resto dell’anno,
l’affaire ILVA di Taranto è un ossimoro bello e buono. Gli operai sono costretti
a scendere in piazza per difendere il loro posto di lavoro minacciato da chi
vuole difendere la loro salute e non disdegnerebbe il chiudere la fabbrica. Si
rischia di camminare sui vetri facendo questo discorso, nessun attacco alla
Magistratura, per carità, soprattutto quando fa il suo lavoro. Che a Taranto si
crepi di cancro più che in altri luoghi è un fatto dimostrato, che l’ILVA sia
responsabile lo è altrettanto. Il governo Vendola molto ha fatto per ridurre le
particelle inquinanti e l’industria pareva aver recepito. Ora sembra però che
qualcuno rilasciasse fumi nocivi la notte in spregio agli impegni presi. Ora,
giusto per sgomberare il campo da equivoci, se così è stato, i dirigenti di
quella fabbrica hanno l’intelligenza e il modo di comportarsi e di agire dei
mafiosi più imbecilli. Questi ultimi seppelliscono rifiuti tossici nei campi
dove poi coltiveranno pomodori che mangeranno i loro figli, i primi mandano
fumi in aria che loro stessi respireranno a pieni polmoni. E che così sia pare
anche dimostrato, a sentire la magistratura nella quale chi scrive ha fiducia. Anche
se quello di Arcore e il Presidente Napolitano poi dicono di non volere essere
fatti segno di indagine come tutti i comuni e normali cittadini, alla faccia di
un altro polveroso soprammobile: “la legge è uguale per tutti”, noi chiediamo
che i magistrati vadano avanti.
Tornando alla vicenda ILVA, ha senso che gli operai
manifestino perché costretti a scegliere fra diritto al lavoro e quello alla
salute? Sono diritti acquisti entrambi. Dov’è lo Stato? Certo, ILVA ha la
possibilità di optare se andare all’estero o rimanere in Italia, questo succede
grazie al liberismo globalizzante e alla mancanza dell’Europa politica che ci
fa parlare di spread come di una cosa familiare e non ci permette di dire
chiaramente che il progetto voluto da chi l’Unione volle ad ogni costo è
miseramente fallito a causa delle politiche interne di ciascuna componente. Che
siano le banche e la finanza a guidare l’Unione europea è un fatto acclarato,
non a caso i governi di salvezza nazionale (della nazione tedesca, verrebbe da
pensare) sono fatti di banchieri in buona parte. L’Europa dei diritti è una
chimera irraggiungibile. Così la grande
finanza e la grande industria tutto possono senza che nessuno disturbi il
manovratore. Emblematico il caso Marchionne che è stato messo lì per liquidare
la parte italiana della FIAT senza nulla restituire di quanto lo Stato ha negli
anni elargito agli Agnelli, e si parla di centinaia di miliardi di lire.
Non è un caso che il Marchionne stia “sperimentando” i turni
di dieci ore. Accade negli stabilimento di Kragujevac a 150 Km. da Belgrado che
produce la nuova 500L.
Può farlo per la mancanza assoluta di qualsiasi politica
europea che tuteli le persone piuttosto che le banche. Così l’ILVA ha già
velatamente minacciato di spostare in luoghi più accoglienti le sue produzioni
con il ricatto: “o mi lasciate massacrare di inquinamento quel che voglio o me
ne vado… E’ la globalizzazione, ragazzo”.
Quel che pare sicuro ora è che un’altra guerra fra poveri, fra i
bimbi che vivono in ambienti malsani e gli operai a rischio disoccupazione è
alle porte. Gli unici a non esserne lambiti sono i nuovi baroni, quelli che
hanno in mano i cordoni della borsa.
Può durare a lungo questa situazione?
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