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venerdì 9 ottobre 2020

Ottobre, pensieri liberi e una poesia di Marcello Buttazzo

 È un ottobre strano, fra pioggia, vento e sole ancora caldo quando splende. 
I pensieri navigano lenti fra il mare del Salento e le colline del basso Monferrato, fra culture diverse ma complementari. Dialetti  diversi  con parole spesso simili. 
Oggi, chissà perché, è giornata per pensare ai poeti che guardano il mondo come solo loro sanno fare, con la dolcezza della rabbia per le cose che girano al contrario, espressa con parole lievi e forti.
Non seguirò
più vascelli furibondi
di sogno,
non sfilerò
più le vesti immacolate
a chimere pure
e bugiarde.
Non voglio 
più fanciulle rosa,
cuore e incanto.
Non voglio
più spighe,
né intrecci di diademi di campo.
C'è 
per caso
un paradiso di fiamma
oltre questo stretto giardino?
C'è 
per caso
un tempo usuale
anche per me
oltre l'inganno?
Da "E ancora vieni dal mare", Marcello Buttazzo,  Manni Editori, 2012
Parla il poeta con sguardo proteso al futuro, urla, sussurra, spera. 
Intalnto si pensa a chi dovrebbe informare e lo fa con una dose di cattivo gusto ravanando fra i peggiori sentimenti delle persone. Quando un noto quotidiano locale pubblica sette pagine (sette) su un omicidio, efferato certo, ma che necessita di comprensione sul come e perché, e che, a scapito della indispensabile necessità di garantire non solo processi equi, ma anche silenzi e riflessioni sul perché una società sedicente opulenta consente tutto ciò, allora si capisce come si possa dare la stura a pre/giudizi giustizialisti, non nel senso di una giustizia giusta, piuttosto di una vendetta praticata sui social e non solo. Informazione intesa come voyerismo in sostanza.
C’è qualcosa di abnorme anche in questa informazione.
Che c’entra con l’inquietudine del poeta tutto ciò? Penso ci sia un sottilissimo filo che lega il pensiero positivo all’agire compulsivo.  
In un ottobre, un tempo lungo di un lunghissimo inverno della ragione,   anomala e distorta è la politica detta liquida che ormai sta pervadendo tutto quanto. Improvvisati “statisti” che urlano nelle piazze, immigrati che affogano perché “prima gli italiani”, un Senatore della Repubblica che siede a terra davanti ad una nave carica di poveri cristi perché “non devono sbarcare”, e per fortuna accoglienza e abbraccio dei bimbi che scendono infreddoliti e piccoli dentro e fuori, accolti da urla che dicono “lasciateli affogare”.
Liquida politica o politica che liquida? 
Intanto il giorno scorre lento, ora col sole caldo e una tramontana fredda che accarezza, ci sarà mare mosso, da qui non lo vedo. 
E le mascherine fanno ormai parte dell’abbigliamento, spesso in tinta con la camicia, portate con eleganza e sciatteria, coprenti o semicoprenti. Mentre la pandemia mostra il suo volto ancora una volta e contagia “soprattutto a matrimoni e funerali” dice il TG. Anche morire diventa un problema, sposarsi lo è sempre stato. Mentre ci sono individui (certo non poeti, la poesia è cosa seria) che dicono che l’imposizione della mascherina è dittatura, e che un’applicazione salvavite è violazione della privacy. Sono gli stessi che inondano i social con le loro fotografie, i loro dati, le loro sordide puttanate scritte ed urlate. 
Il 9 ottobre 1967, cinquantatré anni fa,  moriva Ernesto Guevara detto il CHE, da allora diventò icona per intere generazioni. Oggi è spesso un tatuaggio o è utilizzato anche da sordidi personaggi con ideologie nemiche giurate delle sue. Liquidità della politica, ma la difesa della memoria dovrebbe essere indispensabile. Una società senza memoria è una società senza futuro, diceva qualcuno. 
 


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