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venerdì 20 aprile 2018

Papa Francesco e don Luigi Ciotti ricordano Don Tonino Bello



 
Don Tonino Bello

Ad Alessano prima e poi a Molfetta si sono incontrate migliaia di persone ad aspettare il Papa Francesco e ad ascoltare Don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera. Due grandi persone che sono venute in fondo all’Italia per ricordare la figura di un grandissimo salentino, Don Tonino Bello, che aveva fatto missione il suo essere dalla parte degli ultimi, con umiltà, con devozione, oltre ogni ritualità che altri papi, altri prelati hanno sempre sbandierato mascherando con la fede una visione della società così lontana dal vero, dal reale. Una visione che possiamo definire senza ansie, retrograda e conservatrice. Il ricordo fra gli ultimi va a papa Giovanni Paolo 2° quando fece fare molta anticamera all’arcivescovo di El Salvador, Oscar Romero prima di accusarlo velatamente di collusione con i comunisti solo perché difendeva campesinos martoriati dagli squadroni della morte.
Con Papa Francesco anche un laico, un ateo, si sente invece rappresentato nella ricerca di una società equa, accogliente, dove il “bene” deve essere comune, una lotta fra titani o contro mulini a vento, leggendo le cronache quotidiane, tuttavia indispensabile per proseguire a credere che un mondo migliore sia possibile realmente.  

Così Papa Francesco ha parlato ad Alessano, sulla tomba di Don Tonino Bello, dicendo fra l’altro che deve essere messa “Al primo posto la dignità del lavoratore” ed ha proseguito ricordando “Don Tonino la chiamava terra-finestra, perché dal Sud dell’Italia si spalanca ai tanti sud del mondo”… “Di questa amata terra che cosa don Tonino ci potrebbe ancora dire? Questo credente con i piedi per terra e gli occhi al Cielo, e soprattutto con un cuore che collegava Terra e Cielo, ha coniato una parola originale: contempl-attivi. Con due t, cioè della gente che parte dalla contemplazione e poi lascia sfociare il suo dinamismo, il suo impegno nell’azione.


La veglia di preghiera e riflessione è invece stata condotta da Don Luigi Ciotti il quale ha parlato a lungo di legalità, di coraggio, di “sovversione”. Di seguito alcun istralci del suo intervento:

 «Cosa direbbe oggi Tonino a noi, a voi, a tutti? Direbbe di avere coraggio, di essere sovversivi perché il cristiano autentico è sempre sovversivo perché il Vangelo è in contrasto con la mentalità del mondo. Direbbe che non possiamo dirci cristiani se restiamo zitti di fronte a chi sfrutta i poveri e li umilia. Ripeterebbe la sua provocazione che non gli interessava chi era Dio ma da che parta stava Dio»…  «Oggi don Tonino direbbe che l’Italia non deve vendere le armi ma esportare la pace. Direbbe a voi giovani di alzare la voce, di impegnarvi di più per la pace. Direbbe che i poveri non solo vanno rispettati ma accolti. Ci direbbe che non è possibile, oggi, che in Italia ci siano cinque milioni di poveri e che tanti giovani si perdano nelle spire di un precariato infinito».

E parlando di come Don Tonino Bello fosse osteggiato ai suo itempi e in tempi più recenti, don Ciotti dice: «Che meraviglia il Papa che viene qui ad Alessano a pregare sulla tomba di un profeta. Tonino è stato, evangelicamente, uno scandalo»…«Dobbiamo avere coraggio e cercare la verità»… «non ho mai dimenticato quando Tonino mi diceva che delle parole dette avrebbe dovuto rendere conto alla storia ma della mancata difesa dei deboli avrebbe dovuto rendere conto a Dio».
 
Papa Francesco e Don Luigi Ciotti
Quello che segue è un articolo che scrissi per Paese Nuovo quando conobbi la grandezza di Tonino Bello:

Il Salento non è solo arte. Ci sono uomini che travalicano le loro appartenenze religiose, politiche, culturali. Che parlano all’umanità intera linguaggi  che raggiungono le coscienze in modo diretto. Ci sono sguardi che trafiggono per la loro intensità. Come il Dalai Lama che porta in giro per il mondo il suo esilio. Il Mahatma Gandhi che invocava la pace con messaggi di una coerenza difficilmente riscontrabile da altre parti. Pensiamo a figure di statisti come Pertini, Moro e molti altri potrei citarne, sicuramente scordandone molti altri ancora. Sono persone di fronte alle quali ogni essere umano si sente in dovere di esprimere riconoscenza. Cattolici, atei, laici, di religioni diverse, però con un univoco modo di essere eticamente, moralmente, socialmente preziosi per gli insegnamenti che ci hanno donato.

Così anche un non credente si sente in forte debito nei confronti di un sacerdote, un vescovo in questo caso, che ha aperto uno squarcio nella pochezza di alcuni linguaggi  o, peggio, nelle nefandezze che sono di strettissima attualità in ogni ordine di gerarchie, siano esse laiche o religiose.   

Sono voci fuori da questi cori così poveri, e sono vere sciabolate di luce viva, fari di coscienza e di consapevolezza. Hanno sguardi penetranti, hanno parole che commuovono come l’estrema coerenza sa commuovere. Aiutano a guardare e vedere, invitano a non spegnere mai la luce.

Tonino Bello nacque ad Alessano (Le)  il 18 marzo del 1935. Finite le medie, venne mandato in seminario prima ad Ugento (Le) , poi a Molfetta (Ba).
Ordinato sacerdote a 22 anni, si occupò della rivista “vita nostra”. Poi, negli anni 70, fu parroco a Tricase (Le). Qui incontrò e conobbe gli ultimi: i poveri,  i disoccupati,  gli emarginati. Nel 1982 venne nominato vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi e nel 1985 presidente di pax Christi. Fra i molti suoi scritti ed interventi, mi piace citare quello del grembiule e della stola, che forse contribuisce a comprenderne la statura:
  “…Forse a qualcuno può sembrare un'espressione irriverente, e l'accostamento della stola col grembiule può suggerire il sospetto di un piccolo sacrilegio.
Si, perchè di solito la stola richiama l'armadio della sacrestia, dove con tutti gli altri paramenti sacri, profumata d'incenso, fa bella mostra di sè, con la sua seta ed i suoi colori, con i suoi simboli ed i suoi ricami… Il grembiule, invece, ben che vada, se non proprio gli accessori di un lavatoio, richiama la credenza della cucina, dove, intriso di intingoli e chiazzato di macchie, è sempre a portata di mano della buona massaia. Ordinariamente non è articolo da regalo: tanto meno da parte delle suore, per un giovane prete. Eppure è l'unico paramento sacerdotale registrato dal vangelo. Il quale vangelo, per la messa solenne celebrata da Gesù nella notte del Giovedì Santo, non parla nè di casule, nè di amitti, nè di stole, nè di piviali... La cosa più importante, comunque, non è introdurre il "grembiule" nell'armadio dei paramenti sacri, ma comprendere che la stola ed il grembiule sono quasi il diritto ed il rovescio di un unico simbolo sacerdotale. Anzi, meglio ancora, sono come l'altezza e la larghezza di un unico panno di servizio: il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo. La stola senza il grembiule resterebbe semplicemente calligrafica. Il grembiule senza la stola sarebbe fatalmente sterile…”
Servizio. E’ stata questa la grandezza di Tonino Bello. L’umiltà di essere servitore del suo Dio e soprattutto delle persone, al di là ed oltre il loro credo. Persone e basta.  Aprendo le porte del suo vescovado agli operai, ai disoccupati. Andando con la sua utilitaria la notte nei quartieri degradati per aiutare un tossicodipendente, una prostituta, un clochard. Indossava il solo grembiule in quei momenti, ma quanto era luminoso, sembrava una stola di seta dorata!
E come vescovo inizia un percorso che lo vede a fianco degli operai delle acciaierie di Giovinazzo che difendono il posto di lavoro. Soprattutto è a Comiso con i pacifisti a sfilare contro l’installazione dei missili. E aprirà le austere porte del vescovado per accogliere gli sfrattati, sostenendo con forza che non risolverà lui il problema degli sfrattati, non è compito suo. Lui intende semplicemente istigare le istituzioni a fare il loro lavoro. “…io ho posto un segno di condivisione che alla gente deve indicare traiettorie nuove(…),insinuare qualche scrupolo come un sassolino nella scarpa.”
E ancora, pur nella consapevolezza di essere personaggio scomodo, crea centri di accoglienza per i tossicodipendenti, per immigrati. E fa nascere una moschea per “i fratelli mussulmani”. Integrazione, accoglienza, solidarietà nei fatti, sono le parole d’ordine che lo guidano e il suo essere pastore.
La pace e un pacifismo “militante” furono  le sue battaglie più aspre. Quelle che lo portarono addirittura ad essere accusato di incitare alla diserzione quando in una lettera ai parlamentari nel gennaio 1991,   disse che era possibile:  “esortare direttamente i soldati, nel caso deprecabile di guerra, a riconsiderare secondo la propria coscienza l'enorme gravità morale dell'uso delle armi». Prima aveva lottato contro gli F16 a Crotone, contro gli Jupiter a Gioia Del Colle. Aveva promosso campagne per il disarmo e l’obiezione fiscale alle spese militari.
Immediato viene il paragone con un altro vescovo. Oscar Romero infatti invitò i militari salvadoregni ad opporsi a ordini di pena di morte. E immediato viene il parallelo con la teologia della liberazione. Romero venne trucidato da un tiratore scelto delle squadracce del dittatore mentre elevava l’ostensorio in una cattedrale affollata di campesinos impauriti e sgomenti. Sangue e vino si mescolarono sul pavimento. Sangue e altro sangue.
Il culmine dell’impegno per la pace di Tonino Bello furono quei 500 che partirono da Ancona per la marcia per la pace in una Sarajevo martoriata dalla guerra, era il 7 dicembre 1992. E lui, già malato, terminò la sua omelia con queste parole: “…Gli eserciti di domani saranno questi: uomini disarmati”.
 Alexander Langer, suo estimatore ed amico,      ricordò con queste parole un dialogo fra loro dopo il ritorno da quella marcia: “Tornò pieno di dubbi, e non li nascose: aveva vissuto con acuto dolore l'impotenza della pura proclamazione di pace, non se la sentiva di dare o escludere indicazioni operative, ma era sicuro di una cosa, come nei giorni della guerra del Golfo: che la pace, per affermarsi, ha bisogno innanzitutto di persone pacifiche e di mezzi pacifici”.
Tonino Bello morì il 7 aprile 1993 per cancro.

Alcune sue citazioni sono rimaste impresse come scritte indelebili.  Una sua frase ricordo in particolare:
 «Dicono che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto, devono tenersi abbracciati per poter volare».   
E ancora nel corso di un incontro che ebbe con i ragazzi di una scuola media,  disse parlando a braccio:
 “…Abbiamo sentito una canzone qualche sera fa nella cattedrale di Terlizzi ad un incontro per i giovani… facemmo mettere una canzone di Zucchero che diceva: “… voglio amare fino a che il cuore mi faccia male…”. Io vi auguro, ragazzi, che voi possiate essere capaci di amare a tal punto che il cuore veramente vi faccia male! Lo dico a tutti, indipendentemente dalla vostra esperienza religiosa… anche se c’è qualcuno, qualcuna che è molto lontana… sono convinto che è una cosa che tocca anche loro… starei per dire… soprattutto loro! Vi auguro che possiate veramente amare, amare la vita, amare la gente, amare la storia, amare la geografia, cioè la Terra… a tal punto che il cuore vi faccia male… e ogni volta che vedete non soltanto queste ignominie che si compiono, queste oppressioni crudeli, queste nuove Hiroshima e Nagasaki, questi nuovi campi di sterminio, vedrete fra 5 o 6 anni come i momenti che stiamo vivendo oggi passeranno davvero nella storia con una gravità più grande di quella che avvolge gli episodi di Hiroshima, di Nagasaki, dei campi di concentramento, dei campi di sterminio… quello che si sta compiendo oggi… nel silenzio generale di tutti… questi curdi massacrati, come gli iracheni massacrati, come le guerre che hanno mietuto iracheni, americani, europei… ma che c’importa della bandiera? Quando muore un uomo è sempre una tristezza incredibile. Io penso che quando voi vedete queste cose vi dovreste sentire il cuore che vi fa male… Ma noi il cuore ce lo sentiamo triste soltanto quando vediamo le cose epidermiche… Perché vedere la moglie di un marinaio che ieri è morto nell’incidente di Livorno che viene ripresa dalle zoomate impietose della tv e che piange, che singhiozza… anche te ti senti il cuore che ti fa male… ma poi dopo passa… e la televisione ci sta abituando a girar pagina subito. Però il grido violento che si sta sprigionando dalla Terra, soprattutto dalle turbe dei poveri, quello lì deve risuonare costantemente dentro di voi… vi auguro, dicevo, che il cuore vi faccia male, come anche il cuore vi dovrebbe far male quando vedete lo sterminio della natura… Sentiremo fra poco che cosa significa la fiumana di greggio che si è sprigionata nel Golfo Persico… ”



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