Renata
Sai? Ci sono altre rivoluzioni e altri rivoluzionari in Salento.
Persone che per scelta non si sono girate dall’altra parte.
Porto Selvaggio non è un luogo qualunque, è un simbolo.
Cammini fra alberi e macchia mediterranea. Qualcuno conosce
ogni pianta, io riconosco solo alcuni profumi. E ci
sono animali. Venni un giorno con amici e mi passò davanti
una serpe. Mi fanno un po’ rabbrividire di solito.
«È una serpe nera, la chiamano scursone. È innocua, sta
scappando» mi hanno tranquillizzato.
E c’è un silenzio irreale in quella discesa che porta fino al
mare. Il sentiero scende fino all’insenatura dove ci si può
tuffare, nuotare con i pesci nell’acqua limpida, e dove non
osi toccare nulla, solo accarezzare un albero o un fiore. Deve
rimanere intatta la natura in un parco di quella bellezza e di
quell’imponenza, dove la macchia mediterranea è come
cento, mille anni prima. «I pini marittimi li hanno piantumati
negli anni ‘50» mi dicono. Non profaniamo nulla, è importante.
Quando mi capita di arrivarci, magari solo per fare
il bagno o una passeggiata, mi sembra di sentire la sua presenza
discreta.
Lei è lì, Renata Fonte, con il suo ibiscus fra i capelli come
nella foto che ho visto da qualche parte. Avrebbe la mia età
se non fosse stata ammazzata quel maledetto 31 marzo 1984,
perché voleva difendere quei luoghi da arrembanti speculatori
immobiliari che avevano protezioni e connivenze in alto,
in ogni anfratto delle burocrazie. Proprio in primavera
venne fatta fuori. Mi piace immaginarla, e sentirla mentre
diceva che lei non ci sarebbe stata, che avrebbe denunciato
in ogni dove, che si sarebbe opposta con tutte le sue forze a
quel piano sciagurato che voleva cementificare tutto quanto.
Era assessore e doveva pur farsi valere. Così ha osato sfidare
gli speculatori a viso aperto. Forse non immaginava che il
dialogo sarebbe stato troncato da colpi di pistola. Forse pensava
che fosse sufficiente battersi con la forza delle parole e
delle denunce, e certamente si attendeva in risposta parole
e denunce. E poi si sa che il dialogo vince sempre. Non aveva
fatto i conti con quell’inverosimile vero che è il “sistema”,
con speculatori disposti a tutto. Con chi considera la vita
umana come merce, come in macelleria, un tanto al chilo.
Dovevano vincere con ogni mezzo. Tornava a casa quella
sera, Renata, un sicario l’avvicinò. Chissà se l’ha chiamata
per nome, sappiamo che è caduta a terra crivellata di colpi.
La mia opportunità di essere di fronte a queste stelle e a questo
mare, di festeggiare il mio compleanno a Porto Selvaggio
ha un prezzo così alto? Forse pensava alle sue figlie, Renata,
quella sera. Lei che aveva chiesto l’espulsione dal suo stesso
partito di Antonio Spagnolo, candidato nella sua stessa lista
e che sarebbe stato il suo naturale successore in giunta dopo
il suo assassinio. E proprio Spagnolo con alcuni amici, dicono
le sentenze, era dietro alla speculazione per dare vita a
quel villaggio turistico.
«Attenta Renata, non ti opporre» forse le ha detto.
Non è stata attenta. Lui verrà arrestato come mandante assieme
ad un contadino dall’emblematico cognome di Sequestro,
Pantaleo Sequestro. Il tutto dopo la confessione di un
pescivendolo che aveva fatto da tramite fra mandanti ed esecutori.
Furono tutti condannati e le indagini si fermarono.
Anche se mancava qualcosa. Gli amici di Spagnolo, quelli
che contano, quelli con il denaro, non avranno mai un volto
né un nome. E probabilmente stanno cementificando altre
zone, indisturbati, e chissà se uno di loro non sia addirittura
diventato deputato della repubblica. Non consola certo il sapere
che siano in galera questi figuri, rattrista il fatto che con
Renata non si possa parlare e litigare di prima e seconda Repubblica,
di mafia e illegalità, resta un senso di impotenza
per una vita stroncata. Mi piace pensarla mentre dice che la
ragione vince sempre.
Quante vite stroncate perché avevano osato? Penso a Falcone,
a Borsellino, a Peppino Impastato, a Mauro Rostagno,
quanti illusi utopisti. Ma quanta grandezza in quelle persone.
E quante rivoluzioni troncate. Utopisti. No, mi sono
sbagliato, parliamo di persone che non ci stavano all’assurda
realtà, al potere delle mafie. È utopia combattere contro le
mafie? Contro le dittature? Le fotografie che ritraggono Renata
sono quelle di una bella donna, figlia del Sud. Mentre
ne scrivo, apprendo che la targa che le dedicava quel parco
è stata distrutta. E so che fra poco usciranno di galera tutti i
condannati di allora, hanno scontato le loro pene. Ma Nardò
forse non ama ricordare quei tempi e quella storia, dedicare
a Renata la città stessa, anziché una sola via, significherebbe
ammettere che le mafie esistono anche qui, meglio allontanare
il ricordo. Oggi, dopo lunghi anni, finalmente riposa in
una tomba che le figlie hanno voluto con acqua che scende,
quasi a ricreare vita. Oggi ancora c’è scritto “Benvenuti a
Nardò” all’ingresso della città. Mancano veramente quelle
cinque parole: La Città di Renata Fonte.
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