E’ tornato Mario Perrotta. Eravamo a Novoli quella sera, nel
cortile del palazzo marchesale. Confesso, sono arrivato a spettacolo iniziato
per un banalissimo contrattempo, ma era iniziato da poco. Lui stava seduto su
sacchi, come in trincea. E parlava, raccontava storie di guerra, la terribile,
ingobile prima guerra mondiale. E la diceva con la voce delle centinaia di
soldati prelevati dai loro paesi, le diceva con ogni dialetto italiano noto, dal
piemontese al siciliano, la sua voce raccontava e cambiava cadenza, arrivava
dritta al cervello, arrivava al cuore di chi accanto a me non riusciva a
smettere di piangere ascoltando la violenza della guerra, ascoltando il narrato
che sappiamo essere vero, ogni parola, ogni attimo di tensione. A volte con un
po’ di ironia, ma subito dopo con l’orrore di chi è ricoperto di pidocchi, di
chi deve andare a liberare Trento e Trieste che “sono roba per chi g’ha studià,
non per me che il viaggio più lungo l’ho fatto per vedere la città a pochi km
dalla mia e che Trento e Trieste non so cosa siano”.
Arrivava la commozione
sentendo gli ordini assurdi di chi diceva “Avanti Savoia” e mandava ragazzi a
farsi massacrare. Storie vere, ispirate dal lavoro di Nicola Maranesi. “Milite
ignoto quindicidiciotto” è il fante che muore, quello costretto ad eseguire gli
ordini assurdi. C’è l’eco di Cadorna e degli ufficiali “che hanno studiato” e che
dicono “gettate i cadaveri dei vostri compagni morti sul filo spinato e
passateci sopra, avanti Salvoia”. Andare avanti sempre e comunque “Avanti
Savoia, crepate per il re e per la patria”. Accidenti alla guerra. Ed è il
soldato che ascolta il prete che dice “Dio è con noi, la guerra sarà vinta”,
chiama il nemico, nell’altra trincea e lo avvisa che sarà sterminato perché
l’ha detto Dio, e l’altro gli risponde, “anche il nostro prete è venuto da noi
e ha detto le stesse cose”, “allora ci sono due padreterni?”
E lui, Perrotta milite che racconta, non ricorda il suo
nome, macchè, non sa più nulla. “Ignoto mi chiamano”. Quei dialetti in cui
narra, con i quali urla guerra e rabbia, con i quali crepa, mandato lì “per la
patria” che fino a pochi giorni prima era solo il paese e i campi da coltivare.
Mandato lì perché “tornerete prima che caschino le foglie dagli alberi” Ne sono
passate di primavere. Troppe, troppi sono morti per una guerra di altri, di
altre patrie, di altri mondi, lontani dal paesello e dai campi. Lontano da quel
volto di mamma evocato che, forse, è l’unico ricordo del milite ignoto.
Alla fine Perrotta ha taciuto per qualche interminabile momento,
quasi dovesse uscire dal corpo dei soldati, dei loro dialetti, delle loro
morti. Quasi non fosse fra noi, emozionati, in piedi ad applaudire.
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