Brittany
Maynard si è tolta
la vita. Dopo la decisione di ricorrere all’eutanasia e il ripensamento del 30 ottobre, la
29enne colpita da un cancro al cervello in fase terminale è
morta l’1 novembre, nella sua casa. A dare la notizia della morte è stato Sean Crowley, un
portavoce dell’associazione Compassione e Scelta, che lotta per il diritto
all’eutanasia. «Brittany è morta, ma il suo amore per la vita e la natura, la
sua passione e il suo spirito continuano a vivere» ha dichiarato Barbara Lee Coombs, presidente dell’organizzazione che ha
sostenuto Brittany. Il caso della giovane statunitense ha risollevato il
dibattito sull’eutanasia negli Usa. (Fonte: il
fatto quotidiano).
Di fronte a scelte così definitive occorrerebbe un
rispettoso silenzio. Tuttavia il dibattito, qui da noi, è apertissimo.
Ogni scelta etica e morale che riguarda la sfera privata,
anche se dolorosa, anche non condivisa, deve essere accettata, in particolare è
indispensabile che non esistano vincoli legislativi che più che normare una
materia, sembrano voler portare al pensiero unico. Occorre battersi con ogni
forza perché un credente sia rispettato nella sua fede, perché non gli venga
tolta l’alimentazione forzata se lo chiede, perché una donna se non per scelta
sua precisa rifiuti ogni forma di fecondazione che non sia quella naturale.
Però è indispensabile che altre scelte dettate magari da altre fedi o dalla non
fede vengano rispettate in identica misura. Soprattutto quando sono compiute
per sé stessi, senza ledere la libertà e dignità altrui. Uno Stato veramente
democratico e non confessionale dovrebbe avere una sola regola in materia, una
legge che dice più o meno: “ognuno è libero di scegliere i comportamenti etici e
morali che sente più vicini a sé stesso, lo Stato mette a disposizione ogni sua
conoscenza ed esperienza per accompagnare il cittadino nella sua libera scelta”.
Invece siamo nei fatti in uno Stato confessionale in cui la
ragione di alcuni, maggioranza o minoranza poco importa, guida le scelte di tutti e di ognuno. Quale
differenza esiste fra il no al testamento biologico e l’imposizione del burqa?
Mi rendo conto che il paragone è ardito, però a dire no sono gli stessi che
hanno una loro posizione religiosa quasi oltranzista, al punto di volerla
imporre a tutti i cittadini. E l’ipocrisia è ancora più immensa se si pensa che
chi ha le possibilità va all’estero per
l’eutanasia. Lucio Magri andò a cercare la sua dolce morte in Svizzera, e oggi
si legge:
Roma, 29 nov. (Adnkronos Salute) - Sono
una trentina in tutto gli italiani andati in Svizzera per non fare più ritorno.
Connazionali "che muoiono in esilio", così li definisce Emilio
Coveri, presidente di Exit Italia, Associazione per il diritto a una morte
dignitosa. Nell'ultimo anno sono stati 2-3 al mese, ma si tratta "di un
numero in aumento, soprattutto a seguito delle discussioni che sono maturate in
Italia sulla legge che riguarda il testamento biologico"…
E chi non ne ha le possibilità economiche si arrangi e
diventi suo malgrado seguace del credo di deputati e senatori che calpestano,
in nome e per conto del loro credo, il credo altrui. Quale differenza etica fra
questi e gli impositori del burqa?
E badiamo che questi sono gli stessi, o gli eredi politici
di chi diceva nel 1974 che il divorzio avrebbe sfasciato non tanto le famiglie,
ma la nazione italiana.
E sono gli stessi che hanno imposto alle donne la presenza
massiccia di obiettori di coscienza nei reparti maternità. E ad obiettare sono
molto spesso medici che procurano aborti in cliniche private, a pagamento.
Occorre rivendicare ad alta voce il diritto alla scelta, al
testamento biologico. Occorre, questa volta mi sento di dirlo, che i
legislatori di provata fede cattolica ascoltino il papa quando parla dei gay dicendo “chi sono io per
giudicare?”
Se alcuni di loro avessero solo una piccola parte dell’etica
e dei “dubbi” di papa Francesco, forse l’Italia sarebbe migliore.
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