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martedì 8 aprile 2014

De Andrè - Sidun - Canzoni contro la guerra

L’album probabilmente più intenso di Fabrizio De Andrè è Creuza de ma. Musicalmente a livello eccellente, a detta di molti critici uno dei più importanti degli anni ’80, anche nei testi racconta storie vere, belle, tristi, importanti. Si cala nelle realtà per prenderne le parti più dense. Una delle storie raccontate è Sidùn (Sidone detto in genovese). La storia è quella di un padre libanese che vede suo figlio schiacciato e dilaniato da un carro armato dai soldati di Sharon. Dice De Andrè:
«Sidone è la città libanese  che ci ha regalato oltre all'uso delle lettere dell'alfabeto anche l'invenzione del vetro. Me la sono immaginata, dopo l’attacco   subito dalle truppe del generale Sharon del 1982, come un uomo arabo di mezz'età, sporco, disperato, sicuramente povero, che tiene in braccio il proprio figlio macinato dai cingoli di un carro armato. Un grumo di sangue, orecchie e denti di latte, ancora poco prima labbra grosse al sole, tumore dolce e benigno di sua madre, forse sua unica e insostenibile ricchezza. La piccola morte, a cui accenno nel finale di questo canto, non va semplicisticamente confusa con la morte di un bambino piccolo. Bensì va metaforicamente intesa come la fine civile e culturale di un piccolo paese:  il Libano, la Fenicia, che nella sua discrezione è stata forse la più grande nutrice della civiltà mediterranea. »  
Culla di civiltà, madre dell’alfabeto, territori con una storia incredibile da raccontare, ora dilaniati da guerre che non sembrano avere fine. Per chi era bimbo negli anni ’60 sentir dire delle tensioni e guerre in “medio oriente” era quotidianità. Ci si faceva il callo, era come mangiare a pranzo e cena, normale, ovvio, scontato. E forse questo è il vero dramma di questi episodi, la quotidianità, il darli per scontati. Come le bombe a Beirut o guerre più recenti in Afghanistan, guerre civili il Libia, in Siria e ancora e ancora. Come allora a volte ci si scopriva a sorridere sentendo di un golpe in centro america, generali golpisti che rimuovevano altri golpisti.
Eppure alle guerre non ci si deve abituare mai.  La capacità e la sensibilità del poeta, dell’uomo do cultura sta proprio nel restituirci la capacità di ascoltare, di vedere con occhi diversi, indignati, quelle realtà.

SIDUN

U mæ ninin* u mæ
u mæ
lerfe grasse au su
d'amë d'amë
tûmù duçe benignu
de teu muaè
spremmûu 'nta maccaia
de staë de staë
e oua grûmmu de sangue ouëge
e denti de laete
e i euggi di surdatti chen arraggë
cu'a scciûmma a a bucca cacciuéi de baë
a scurrï a gente cumme selvaggin-a
finch'u sangue sarvaegu nu gh'à smurtau a qué
e doppu u feru in gua i feri d'ä prixún
e 'nte ferie a semensa velenusa d'ä depurtaziún
perchè de nostru da a cianûa a u meü
nu peua ciû cresce ni ærbu ni spica ni figgeü
ciao mæ 'nin l'eredítaë
l'è ascusa
'nte sta çittaë
ch'a brûxa ch'a brûxa
inta seia che chin-a
e in stu gran ciaeu de feugu
pe a teu morte piccin-a.

Ninin*: Vezzeggiativo che sta per bambino
SIDONE

Il mio bambino il mio
il mio
labbra grasse al sole
di miele di miele
tumore dolce benigno
di tua madre
spremuto nell'afa umida
dell'estate dell'estate
e ora grumo di sangue orecchie
e denti di latte
e gli occhi dei soldati cani arrabbiati
con la schiuma alla bocca
cacciatori di agnelli
a inseguire la gente come selvaggina
finché il sangue selvatico
non gli ha spento la voglia
e dopo il ferro in gola i ferri della prigione
e nelle ferite il seme velenoso della deportazione
perché di nostro dalla pianura al modo
non possa più crescere albero né spiga né figlio
ciao bambino mio l'eredità
è nascosta
in questa città
che brucia che brucia
nella sera che scende
e in questa grande luce di fuoco
per la tua piccola morte.


 www.youtube.com/watch?v=SlwCeisHWUc 

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