Commenti

Non pubblicheremo commenti anonimi.

domenica 23 dicembre 2012

auguri... ma de che?



ph: http://www.chicago-blog.it
Non faccio mai gli auguri di buon Natale, di solito preferisco augurare buon anno nuovo a tutti. Mestamente lo faccio anche questa volta. Mestamente perché non sarà sicuramente un buon nuovo anno, non potrà esserlo. La ragione, la cultura, la voglia di farcela hanno in questi ultimi vent’anni lasciato il posto all’improvvisazione, alla finanza creativa, alle ragioni delle banche a scapito di quelle delle persone. Le luminarie tristanzuole di Lecce e delle altre città, il signore che si è visto rifiutare la carta di credito alla cassa del supermercato perché era senza credito (un ossimoro, meglio chiamarla carta del discredito o del senza credito), la ragazza che ho incontrato e che mi dice che lei è architetto ma lavora in Inghilterra “perché in Italia il lavoro come paesaggista deve passare attraverso la politica ed è l’ultimo degli interessi di ogni parte, anche in Puglia è fin troppo evidente lo scempio dei pannelli solari, indispensabili ma non razionalizzati, lasciati in mano alle mafie e agli sfruttatori di lavoro in nero”. Lei vorrebbe tornare, veramente lo vorrebbe fare. E noi tutti avremmo un bisogno incredibile della sua testa e della sua intelligenza. Buon anno comunque.  Benigni che legge favole in TV, il festival di San Remo spostato per lasciare campo libero ai berlumontibersanivendola con qualche spruzzatina di arancione qua e là, con Sgarbi e la Santanchè che vomiteranno insulti.
Ma dai, pensiamo all’amore, in fondo è una risorsa, quello universale intendo. Ma no, anche quello particolare, lo sguardo su un tramonto e sul mare, il libeccio che spinge verso nord, verso nord, verso nord... Lo sguardo nello sguardo di chi guarda. Il libeccio si chiama così perché si decise che arriva dalla Libia, qualcuno dice che il nome deriva da Lebeg (arabo), in Emilia, Marche, Abruzzo e Molise, si chiama Garbino, in Friuli Garbin dall’arabo Gharbì, ossia occidentale. “Speriamo che cambi il vento, che venga il libeccio, che si porti via quest'afa” disse Paolo Borsellino, stupenda metafora in tempi di involuzione, quando le certezze scemano per lasciar posto all’insostenibile inquietudine del presente.   Ci hanno insegnato che l’amore è importante, poi passa… poi passa. Il viaggio in treno accanto alla via Emilia è lungo come l’Italia intera, non finisce mai. Capannoni tristi tristi tristi, paesini e piccole stazioni. La signora di fronte a me legge un settimanale, in copertina c’è un volto noto della TV abbracciato ad una sconosciuta. Forse è quello il futuro che incombe, forse un po’ di gossip nel nuovo anno serve a continuare a vivere.  Ed è passato anche il 21/12/12, il giorno destinato, dice qualcuno, alla fine del mondo. Non si è portato via le persone e le loro nefandezze. Rimangono ottimamente tutti seduti, quelli che dicono “quando c’era lui…”, quelli che avanzano la pizza, quelli che hanno 6000 amici su facebook e due soli per andare al cinema, quelli talmente gelosi da non riuscire più a vedere gli occhi supplicanti della persona che dicono di amare. Rimarranno così, a camminare i camminatori, a nuotare i nuotatori, a scrivere puttanate quelli che hanno davanti un computer ed una tastiera. Rimangono quelli delle primarie a fine anno e quelli che “le primarie no, sono io il migliore al mondo”, rimarranno quelli di Casa Pound che non ho mai visto sorridere, sono incazzati neri… Neri, appunto. E rimarranno così quelli che guardano el pale eoliche girare come le altre pale (quelle con la doppia elle) per i soldi che mancano, per gli errori fatti pur se evitabili, per dover chiedere scusa. Non che chiederlo sia un disonore, per carità, il problema è che si chiede quando si sbaglia e non puoi neppure mettere una pezza a colori o nera. Non siamo evaporati in una nuvoletta, i Maya non hanno predetto la fine del mondo, lo dicono tutti, anche quelli che alle 11 sono andati alla scuola materna a prendere i figli perché non si sa mai. E’ stato un embematico fine anno all’ombra della dissoluzione nell’aria e della fine catastrofica. Aspettavano in molti il meteorite assassino che sarebbe riuscito in quello che i governi degli ultimi cinquant’anni hanno invano tentato: demolire Pompei. Questi ci provavano pezzo a pezzo, gli inviati speciali dei Maya avrebbero fatto in fretta e bene. Come mettere i capelli da Ken a quello che va in TV a dire di essere il più charmant ed ha una fidanzatina trentenne perché lui può… Cosa non si sa, si può solo immaginare. Sarebbe stato una specie di Pik Indolor insomma: “già fatto?”
Ma no, non faccio gli auguri di Natale a chi non crede. Per chi ha fede in una capanna, un bue e un asinello auguro invece tutto il bene possibile.
Solo una richiesta voglio fareai credenti che si rivolgono al loro Dio, evitate di volere  favori personali da Lui. Non è candidato alle elezioni, ha un valore aggiunto. Si può immaginare un Dio più crudele di quello che fa dire: “mi ha guarito perché ho chiesto la grazia”? E tutti gli altri che non guariscono perché non la chiedono? Non sono un addetto ai lavori, però mi pare  ci sia molta confusione in giro. Un Dio che guarisce chi vota per lui, pardon, per chi glielo chiede e magari fa una ricca offerta alla chiesa più vicina ricorda veramente altre favole, altre connivenze, altri scambi di favori (o di voti). Ricorda di più quelle bollette improvvisamente saldate dopo le elezioni nelle città “belle”.
Auguri di buon anno invece a tutti veramente, anche agli autisti del filobus leccese e a quelli dell’ILVA, operai che ci vogliono lavorare e cittadini che la respirano. Auguri di buon anno a quelli di Cerano che si nutrono di polvere di carbone. E auguri alla signora che legge gossip, anche alla ragazza che vorrebbe tornare ma non può. E via, sono buono, auguro un lungo pensionamento anche a lui, quello di Arcore, finalmente decida di ritirarsi a vita privata, e si porti appresso un po’ di ammorbanti neo parlamentari. A  chi acquista aerei da guerra e abbassa le pensioni, alle ministre che piangono prima di dare mazzate non so che dire. Stateve bboni! 
Voglio fare un augurio speciale però, a Josè Mujica Cordano. Nato da padre basco e madre Piemontese (ah i sabaudi) e diventato prima capo dei tupamaros in Uruguay, poi Presidente della Repubblica. Leggo, leggevo che rifiuta lo stipendio da presidente di 12.000 dollari mensili e li devolve a chi non ne ha perché “debbo vivere come i miei concittadini” dice. E abita nella casa di famiglia, la residenza presidenziale l’ha destinata ai senza tetto. “Non mi travesto da presidente - dice - e continuo ad essere come ero. Le cose più belle della vita sono avere degli amici, godere moderatamente del cibo e molto della Natura. Io non sono povero, ho tutto ciò di cui ho bisogno".  Scusatemi se mi commuovo. Certo, qualcuno dirà che è populismo, però per favore non paragonatelo ad altri populismi, quelli arcoriani. E’ come voler scegliere fra la palta (avrei detto merda ma non è fine) e lo zabaione. Ah il sud America di Cordano, di Lula, di Evo Morales, quanto hanno da insegnare a noi trogloditi dell’economia? Quanto hanno da dire sulla fine del capitalismo che è un cadavere che cammina e ancora riesce a fare sfracelli come già il nazismo che trucidava a guerra persa?
Soprattutto auguro tutto quel che posso a chi deve scusarmi qualcosa.

P.S. gli aggiornamenti del blog risentiranno probabilmente del periodo di svacco delle festività tristanzuole... 

Nessun commento:

Posta un commento