Il molo di Bari e la motonave Vlora |
La motonave Vlora (Valona in albanese) venne costruita nei
cantieri di Genova negli anni ’60. Nell’agosto 1991 era un malconcio mercantile
che faceva rotte lunghe, in quei giorni attraccò a Durazzo per scaricare
tonnellate di zucchero cubano, fu proprio durante le operazioni di scarico che
Halim Malaqi, il poco più che trentenne comandante della Vlora, e il suo
equipaggio videro arrivare di corsa migliaia di persone che presero
letteralmente d’assalto la nave occupandone ogni spazio vitale, alcuni si issarono
fino sui pennoni, il ponte brulicava di teste, le stive erano veri e propri
carnai. C’erano uomini di ogni età, donne, bambini assiepati come sardine in
scatola, Malaqi fu costretto a partire con il suo carico di zucchero e persone
in un viaggio che aveva dell’incredibile, al comando di una nave senza un
motore e senza radar. Per i circa ventimila “passeggeri” era la corsa e la fuga
verso la libertà. Così era vista l’Italia dall’Albania, terra di libertà. “Vedevamo
la televisione italiana” dicono gli intervistati. Confondevano l’Italia con la
Carrà, la libertà con Pippo Baudo.
Partirono, direzione Brindisi, Italia, Libertà.
In marzo ci fu un primo grande esodo, cinque motonavi e
almeno dieci pescherecci sbarcarono sul molo di Brindisi migliaia di persone
che fuggivano da cinquant’anni di governo di Enver Hoxha che tenne un intero
popolo nella povertà assoluta, come accadeva ai regimi del Socialismo
cosiddetto reale. Forme di populismo chiuso, gretto e violentemente repressivo
contro i “dissidenti”; “avevamo paura di dire una sola parola contro il regime
perché venivamo incarcerati immediatamente” dice uno segli esuli del Vlora. E i
passeggeri dei primi sbarchi vennero accolti da una popolazione stupenda,
solidale. I brindisini mostrarono la loro grandezza aprendo le case, accogliendo,
offrendo quel che potevano a quei poveracci arrivati con molto orgoglio, ma
molto spesso in mutande, senza soldi, senza cibo, senza un luogo dove andare,
solo una corsa verso un paese che sapevano civile, ancora non sospettavano
quanto criminalmente duro, rigido, e ai limiti della violazione della carta dei
diritti umani del governo composto all’epoca da Democrazia Cristiana e Partito
Socialista. Presidente del consiglio l’inossidabile Andreotti, suo vice il
belloccio del PSI, Claudio Martelli (che era anche ministro di grazia e
giustizia), e ancora Vincenzo Scotti agli interni, e via via, Cirino Pomicino, Goria,
Bodrato, De Lorenzo, tutti colpevoli, in epoca pre leghista, del primo immane
respingimento di massa di albanesi, Agli esuli del Vlora misero in mano 50 mila
lire e li ricacciarono nel loro girone infernale dicendo loro che l iavrebbero
trasportati in centri di accoglienza. La legge Martelli sui respingimenti era
degna dei più raffinati xenofobi leghisti. Quel viaggio, i motivi della
partenza, le corse verso la nave, l’unica, che sarebbe partita, le speranze, le
illusioni sono raccontate nel film documentario “La Nave dolce” per la regia di
Daniele Vicari.
Come è narrata la felicità nel vedere Brindisi dopo venti
ore di navigazione, l’impossibilità di attracco perché le autorità portuali non
dieredero assenso. Poi il viaggio, l’altro, verso Bari, la permanenza in mare a
causa di una nazione che non aveva voluto prepararsi a quell’ondata di persone
vista e prevista da tempo. Poi i tuffi dalle murate della nave di migliaia di
ragazzi, uomini, donne che nuotavano verso la terraferma, verso la “libertà”, e
il molo preso d’assalto, persone tenute al sole cocente dell’otto agosto
barese, poi letteralemnte deportati nel campo di calcio senza ascoltare il
sindaco di Bari, Enrico Dalfino, che chiedeva tendopoli e assistenza, chiedeva
l’esercito e la protezione civile. Il governo fu inflessibile con i miseri,
duro con gli inermi. Utilizzò il campo di calcio come si fa in paesi che dicevamo
incivili. Solo il Presidente Cossiga arrivò a Bari per usare parole di
incredibile brutalità contro il sindaco e la giunta tutta “…Non ringrazio,
invece, il comune di Bari, né tantomeno ringrazio il sindaco le cui
dichiarazioni sono semplicemente irresponsabili. Mi dispiace - ha detto il
presidente della Repubblica - che questa città, così generosa, abbia un
siffatto sindaco…” Colpevole, secondo Cossiga, di aver ecceduto con la pietas.
Meglio tenere donne, bambini e uomini al sole dell’agosto pugliese di un campo
di calcio. Il sindaco, non ricevuto da quel presidente, rispose dicendo: “…Anche
quando Adamo fu cacciato dall' Eden sapeva di che cosa doveva rispondere.
Quando saprò di cosa dovrò chiedere scusa, se effettivamente valuterò
riprovevole questo mio comportamento sul piano morale e giuridico, chiederò
scusa…”
I pugliesi hanno fatto grandissimi gesti di solidarietà in
quei giorni, il governo italiano si è dimostrato peggiore dei peggiori. Poi ci
furono i respingimenti, poi la storia cambiò per sempre. Gli immigrati in
Italia erano all’epoca 300.000, ai giorni nostri superano i 4 milioni. E siamo,
contro ogni pietas, contro ogni convenzione, il paese che ha l’infamia del reato
di clandestinità. L’hanno voluto quelli che compravano lauree in Albania.
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