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giovedì 6 giugno 2024

ELIO un ricordo nel Quaderno dell'Istituto Storico della Resistenza di Alessandria

 





Presentazione del 74° Quaderno di storia contemporanea

5 JUNE 2024

Martedì 11 giugno, alle ore 18, nei locali del nostro istituto, presenteremo il 74° Quaderno di storia contemporanea. Intitolato America Latina. Laboratorio politico questo numero della nostra rivista compie un viaggio nel mondo ibero-americano soffermandosi sui processi politici che lo hanno interessato nell’ultimo mezzo secolo, registrandone, a diversi livelli, anche gli echi nel nostro paese. All’incontro, coordinato da Cesare Panizza, parteciperanno Alessandro Guida (Università di Napoli L’Orientale) e Deborah Besseghini (Università di Torino) entrambi fra gli autori dei saggi che compongono il numero.


A seguire il piccolo testo che ISRAL mi ha permesso di pubblicare nel quaderno. Un ricordo di Elio. 


Luglio 1980

Carissima Caterina

Come mi risulta difficile scriverti ora. Dopo l’ultima telefonata lunga e troppo breve, non sono più riuscito a scrivere una sola parola. Non usciva nulla.

Quello che devo dirti, insomma, è un arrivederci, un saluto, però differente da altri saluti, perché differente è la partenza, differente il punto di arrivo di questo nuovo, breve viaggio. Differenti sono le prospettive e la qualità della vita che mi aspettano.È difficile scrivere, perché la possibilità della morte, anche se deve essere presente, non la considero un valore astratto, ma un incidente nel cammino della vita.

Con quali parole dunque salutarti? Con quali frasi prepararti ad essere serena, anche se nel corso della lotta questo arrivederci dovesse trasformarsi in un addio?

Odio la retorica, il fatalismo, Amo la vita reale.

Tu hai saputo sempre leggere il futuro attraverso il mio lavoro e la mia lotta di rivoluzionario, non c’è bisogno di spiegazioni, sono inutili le analisi. Tu sai che sono sempre stato coerente con i miei principi, attraverso una catena di errori grandi e piccoli. Però fedele, nella sostanza, alla dignità del rivoluzionario e del ribelle. Non poteva che andare così, se non altro perché così è andata, attraverso un susseguirsi di analisi, lotte, e di nuovo analisi. Con occhi, mente e cuore rivolti ed attenti ai destini dell’umanità oppressa, alla lotta contro i tiranni, sanguinari o in doppio petto che siano.Vado a prendere il mio posto di fianco ad un popolo che lotta, vado in prima linea,

perché non ci sono seconde linee in una dittatura sanguinaria. Non esistono spazi per mediazioni.

Carissima, non scrivo a Michele, Consiglia (i figli di Caterina n.d.r.), Gianni, Antonio. Quando passerai loro la notizia fallo con orgoglio. Rispetta e difendi le mie scelte di vita, i valori morali, spirituali, politici e sociali che esse contengono senza concedere nulla al romanticismo ed all’avventurismo […]

Elio

Questa lettera è l’ultima che Elio scrisse a Caterina, sua compagna, dal Nicaragua prima di trasferirsi in Salvador in appoggio al FLMN dove trovò la morte.

La sua è solo una storia, forse minore, di quei tempi “formidabili”, come li chiama Mario Capanna, che iniziò alla fine degli anni ’60 e durò un lungo decennio. Dalle proteste per la guerra infame in Vietnam, alle rivendicazioni di diritti che ora sembrano scontati, cito le assemblee a scuola, il bisogno di capire la condizione del lavoro nelle fabbriche, il divorzio, il diritto per le donne di abortire e via dicendo, ma che subito si scontrò, nel ’69, con la strage di piazza Fontana che, si dice, “ci fece perdere l’innocenza”, e ancora stragi su treni e in stazioni e via via fino al declino ad un altro terrorismo detto “rosso”.

In questo percorso i ragazzi di allora vedevano e vivevano la politica in maniera “romantica”, volevano banalmente un mondo giusto, equo. E questo romanticismo era in qualche modo un limite, la vita reale era altra. Commettemmo errori di valutazione, guardavamo alla rivoluzione culturale cinese come un giusto passaggio verso il socialismo, salvo poi sapere che fu carneficina. Si guardava Cuba con slancio emotivo, mentre anche lì si reprimevano gli omosessuali. Guevara Ernesto detto il Che si salvò da tutto questo andando a combattere in Bolivia e morendo troppo giovane, forse anche per questo divenne mito. Il guevarismo che teorizzava la lotta armata per la liberazione del terzo mondo fu una delle molle che portarono Elio in Salvador.

Non a caso quella lettera di Elio riecheggia quella che Che Guevara scrisse a Fidel prima di trasferirsi in Bolivia:

[…] Altre sierras nel mondo reclamano il contributo delle mie modeste forze. io posso fare quello che a te è negato per le responsabilità che hai alla testa di Cuba, ed è arrivata l’ora di separarci. Lo faccio con un misto di allegria e di dolore; lascio qui gli esseri che amo, e lascio un popolo che mi ha accettato come figlio; tutto ciò rinascerà nel mio spirito; sui nuovi campi di battaglia porterò la fede che mi hai inculcato, lo spirito rivoluzionario del mio popolo, la sensazione di compiere il più sacro dei doveri: lottare contro l’imperialismo dovunque esso sia; questo riconforta e guarisce in abbondanza di qualunque lacerazione. Aurelio Ferraris, detto Elio, da Solero, era nato il 10 aprile 1945. Pochi giorni dopo l’ultimo feroce bombardamento di Alessandria.

Si mostrò da subito un neonato molto vivace, per questo nostra madre amava dire che la colpa era dei bombardamenti e della guerra. Lui era proprio così, vivace e ostile alle costrizioni, passò con la stessa vivacità la sua esperienza scolastica fino al diploma, anche con il cambio di collegi da cui si faceva regolarmente cacciare. Neppure il servizio militare lo domò, rischiò infatti più volte il carcere per insubordinazione. «Perché devo attraversare il cortile di corsa se non sono in esercitazione? Fatelo voi». Finì prima la ferma per vari motivi, chi lo congedò lo fece per evitargli problemi seri. 

I militanti dei movimenti del ’68, da quello studentesco in avanti, ad Alessandria in particolare, provenivano da famiglie di sinistra, oppure dagli scout, o ancora dal cristianesimo sociale, e si formarono soprattutto nelle università. Non scordiamo che ci fu il Concilio Vaticano Secondo che contribuì alla formazione di una critica anche in  ambito cattolico. In centro America nacque la teologia della Liberazione che vedeva molti sacerdoti schierarsi contro le dittature. Insomma, fu un periodo denso e intenso di discussioni.

Nella nostra famiglia non c’era nulla di tutto ciò. Onesto artigiano il padre con il sogno di creare una grande industria, commerciante la madre. Mai fascisti convinti durante il ventennio, neppure di sinistra dopo, neppure partigiani. Dal dopoguerra votavano PSDI «perché Saragat è persona seria».

Così Elio di sei anni più grande di me, si formò sue convinzioni che lo portarono, alle elezioni del 1968, le prime alle quali venne ammesso (la maggiore età era a 21 anniall’epoca), a votare PLI perché «per guidare una nazione sono necessarie persone che sappiano guidare aziende» il PLI, era il partito giusto, quello di una borghesia sedicente illuminata. Potremmo definirlo un pensiero pre berlusconiano?

Fra il 68 e il 69 a Solero il centro delle discussioni non era la Casa Del Popolo, all’epoca roccaforte del PCI locale, fedeli alla linea e con la foto di Stalin non più appesa in sezione, ma neppure distrutta, stava riposta in una libreria, era il circolo ACLI, dove il sabato sera tornavano universitari da Torino e si infiammavano discussioni infinite. Angela, Gastone, Franco passavano ore, nottate a discutere con quel borghesuccio che votava Liberale, si diceva dei movimenti degli studenti, della necessità di cambiare l’esistente.

Intanto il clima si faceva vivace anche a Solero, oltre agli universitari si avvicinavano studenti medi e rarissimi operai a dire del Vietnam, di guerre ingiuste, e di concetti nuovi: Imperialismo, internazionalismo. Nel resto d’Italia e in Europa i movimenti pervadevano le cronache e le discussioni. 

Elio iniziò a leggere, informarsi. Si organizzavano volantinaggi ogni domenica in paese, ed ogni sabato riunione in una ex stalla eletta a sede di Lotta Continua che scegliemmo come movimento. Dal fortino del PCI molti silenzi e velate critiche. Poi per lui arrivò quella trasferta ad Altamura, il lavoro da geometra e l’organizzazione anche lì di una sede di Lotta Continua. Dopo pochi mesi l’abbandono del lavoro e l’inizio della militanza “a tempo pieno” per un’organizzazione che non aveva quattrini e pagava poco e male i suoi funzionari. Poi il trasferimento a Molfetta dove conobbe la sua compagna Caterina, e anche lì il lavoro politico con i pescatori, davanti a scuole, fabbriche, in appoggio ad occupazioni di case per senza tetto. Furono anni intensi e densi, fino al congresso di Rimini e allo scioglimento di Lotta Continua. Quella militanza fu però dirimente nella sua vita, totalizzante. Dopo quel congresso Elio si trovò improvvisamente in un’apnea politica, sociale, personale. Ebbe chiamate da partiti e sindacati, ma gli sembrava una svendita del suo passato. Anni cupi in cui avrebbero potuto suonare sirene devastanti della lotta armata in Italia, tempi in cui l’eroina mieteva vittime a grappoli fra i “reduci” dei movimenti. Tempi in cui venne fondato Reporter, un quotidiano con firme già di Lotta Continua, sponsorizzato dal PSI di Craxi e Martelli, ebbe però vita breve e spalancò le porte dei rampanti giornalisti verso la neonata Mediaset. Berlusconi, su imput di Craxi, assorbì la situazione debitoria del giornale, ad alcuni sembrava un capitalista illuminato, vicino alla Milano da bere e contiguo al craxismo.

Nessuna di queste poteva essere un’opportunità per Elio. Non certo la devastazione di vite con persone gambizzate su un marciapiedi, o, peggio, ammazzate per assurde visioni dell’essere comunisti. O il tunnel che vide precipitare molti amici e compagni nella polvere bianca.

Decise così, raccogliendo un po' di soldi per pagarsi il viaggio, di andare in Brasile. Ricordo il suo ultimo soggiorno a Solero, le lunghe chiacchierate fino a notte, ricordo una frase «vado, tento di capire come funzionano le cose lì, magari di scrivere un libro, massimo sei mesi e torno.»

Così lo accompagnammo, Giancarlo ed io, alla stazione di Alessandria. Treno locale per Voghera, poi Milano Linate, poi la partenza. Ci salutammo nelle nebbie della stazione un giorno di novembre. Un treno locale destinazione Salvador.

Da San Paulo scriveva molto e si leggeva, neppure molto fra le righe, una inquietudine mai finita “[…] Uno dei motivi fondamentali per cui lascio l’Italia è quello di bruciare ogni possibilità di svendermi a un sindacato o a un partito che vogliono comprarmi in terra di Puglia. La qualità della mia vita è legata alle mie idee e alla possibilità di farle vivere in azioni concrete che si sviluppino nel tempo, all’interno di un processo di trasformazione mia, dei miei rapporti, della realtà con la quale mi confronto […]”.

Là lavorò per qualche tempo per una rivista, Istoè. Intanto girovagava per capire e vedere. Molte sue lettere che raccolsi a fatica raccontavano esperienze, dicevano di interviste a Basaglia nel corso di un suo giro in Brasile, ad un sindacalista, Lula, poi diventato presidente, delle lotte dei proletari sud americani.

In quel periodo scrisse molto, una lettera a Caterina da Porto Suares in Bolivia, datata 2 febbraio 1979 diceva:

Sono stato in Araguaia, forse non sai cos’è, nel 73 ci su un massacro di compagni, 70 guerriglieri. Due anni di guerra, la gente ne porta ancora le cicatrici, bambine  violentate si portano appresso una vergogna incolpevole. Di quel massacro il mondo non ha saputo, nemmeno i brasiliani. Erano 25000 militari contro un manipolo di guerriglieri. Ora alcuni sopravvissuti sono qui con i servizi di sicurezza alle costole e la voglia di tornare. …

Poi venne inviato, sempre con pochissimi soldi, a vedere cosa accadeva in Nicaragua dove pareva che i sandinisti stessero avanzando. “Non credo molto a questi sandinisti” diceva in una lettera. Riuscì in qualche modo a entrare in Nicaragua senza visto sul passaporto, evidente ingresso non ufficiale, proprio nei giorni in cui il dittatore Somoza fuggiva con la cassa. In pochissimo tempo prese i contatti che lo proiettarono nel cuore del nuovo governo sandinista, prima come vigilanza contro i cecchini controrivoluzionari, in quel periodo mi scriveva:

[…] Mi rendo conto di essere condizionato moltissimo dalla vita che sto facendo […]L’ambiente che mi circonda è pieno di violenza ed io ci devo sopravvivere, anzi, ci devo vivere ed andare avanti, cambiare e capire, farmi largo con astuzia e onestà tentare strade che quasi mai so dove portano. Questa situazione rende duro il modo di comunicare. Sto lottando anche per impedire che questa guerra di guerriglia rovesciata (perché noi abbiamo il potere e i guerriglieri terroristi sono gli ex padroni) non militarizzi la parte più bella ed importante di me. Mi chiedo se ciò che sto facendo lascerà un segno. E quale segno lascerà. Mi chiedo se le espressioni del mio carattere che ora sento profondamente modificate, sono la reazione a questa guerra infame e vigliacca che sto facendo, oppure sto andando in una direzione senza ritorno. E’ guerra infame perché si combatte di notte. La controrivoluzione esce allo scoperto quando il buio si alza. Sono cecchini che colpiscono a sangue freddo. In stile terrorista. Capisco ora cosa provano i poliziotti contro le BR in Italia. Ora io sono il poliziotto. Odio questa situazione perché mi costringe a pensare che ogni notte potrebbe essere l’ultima. E perché è contro la volontà di autodeterminazione di un popolo… Ci obbligano a guardare nel buio ore intere. Possiamo rispondere al fuoco solo se vediamo la fiammata del loro sparo. Nessun compagno al mondo ammazza in questo modo. Le BR però lo fanno. Ma ora non voglio parlare delle BR…

Poi lavorò come geometra per la riforma agraria, in quel periodo scrisse in una lettera ai nostri genitori :

[…]Carissimi mamma e papà, mi ha fatto un gran piacere ricevere vostre notizie, da molto tempo non ci leggevamo. Ora lavoro per la riforma agraria, dopo la rivoluzione di luglio questo è il ministero più importante […] Lavoro sempre nelle campagne, sulle colline e montagne di questo paese tropicale. Misuro grandi aziende agricole, piantagioni di caffè e allevamenti che erano della borghesia locale ed ora sono del governo e vengono condotte dai contadini in cooperativa. E’ un lavoro importante perché segna il passaggio da un’epoca di miserie e di condizioni sub umane di vita per la gente che lavora, a un’altra nella quale il popolo potrà avere un futuro di tranquillità e benessere. Hanno pagato con 40.000 morti, la cui età media era di sedici anni, tutto questo la conquista della libertà. Se lo meritano. Io vengo considerato cittadino nicaraguense a tutti gli effetti e mi trattano molto bene. Vivo in una grande casa che era di un deputato del vecchio regime, sono assieme ad altri ragazzi che non vedo mai perché sono sempre fuori per lavoro. Torno la domenica. Ho un salario fisso di 300.000 re italiane circa […

Parole che volevano essere rassicuranti per gli anziani genitori, ma di altro tenore erano le lettere che scriveva a me e soprattutto alla sua compagna. Lettere in cui parlava della necessità di internazionalismo e di lotta armata contro le dittature. Il centro America era il brodo di coltura di regimi finanziati e istruiti dagli USA, il mito di Ernesto Guevara De La Cerna detto il CHE e della necessità di liberazione dei popoli oppressi era sempre più vivo, presente.

Scriveva in una lettera a Caterina:

[…] L’internazionalismo è una necessità assoluta. Non solo un fatto politico, una questione che riguarda i movimenti operai e i rivoluzionari. Coinvolge tutti gli esseri umani della terra. Questo vale anche per coloro che non se ne rendono conto, borghesi o operai che siano. Se un minatore cileno estrae rame dalla miniera, tu puoi, di conseguenza, usare l’energia elettrica e gli elettrodomestici costruiti con il rame. La relazione fra te e il minatore cileno esiste, anche se la si tiene sommersa. La modificazione di questa relazione dipende dalla modificazione delle relazioni fra il minatore e l’imperialismo americano che lo sfrutta; dalle modificazioni fra te e il sistema che tu stesso alimenti e che permette all’imperialismo di far crepare di fatica il minatore […] Fare una rivoluzione in Nicaragua o in Salvador significa semplicemente cambiare un pezzo di mondo che a sua volta cambia tutte le relazioni esistenti al mondo: fra gli stati, fra i proletari, fra i borghesi. Di poco, ma li cambia.Furono giorni intensi, mentre in Italia si viveva il reflusso, lui rimaneva ancorato a quel periodo che, riassume Marilena Salvarezza nel sito wwwdallapartedeltorto.it :

Nostra patria è il mondo intero

Tutto ciò che accadeva nel mondo, in Sud America, nel Vietnam, in Polonia, negli USA, dovunque ci fosse una dittatura, una repressione, una guerra voluta dal capitalismo, un’ingiustizia sociale ci riguardava. Quando accadeva qualcosa lo sentivamo risuonare in noi. L’identità si costruiva nell’incontro con gli eventi, in un andirivieni continuo tra esterno e interno, noi tra noi e gli altri “oppressi“. L’autobiografia sociale prevaleva su quella individuale mettendo la sordina anche a disagi che poi torneranno a presentare il conto e determineranno le diverse evoluzioni dei singoli. Il bisogno fusionale portava a una negazione delle differenze di classe e di genere in primo luogo, come se il movimento stesso fosse la garanzia dell’essere eguali di fronte all’impegno[…]Insomma, il mondo stava camminando, in Italia guardavamo le macerie di un ’68 durato un decennio, in Europa e nel mondo iniziava una devastazione non solo economica, ma culturale chiamata globalizzazione, poi c’era l’altro imperialismo, quello URSS che da sempre avevamo guardato con sospetto, soprattutto, per la nostra generazione, dopo i fatti di Praga, insomma, la restaurazione del capitalismo, anche se arrivò un raggio di speranza nel 1974 con la rivoluzione dei garofani portoghese e l’incruenta rivoluzione e creazione di una Democrazia.

Ma Elio era ormai lontano e proiettato in un modo dove la repressione, la tortura dei dissidenti, eserciti feroci che massacravano il Vescovo di San Salvador Oscar Romero mentre diceva un’omelia ai suoi fedeli, lo facevano volare verso scelte più importanti e che purtroppo si rivelarono definitive.

Fra le molte lettere ce n’è una inviata ai figli di Caterina, allora preadolescenti, in cui scriveva:

[…]Posso dirvi che se si toglie a un bimbo la possibilità di avere le cose che sogna, non sarà una persona contenta, ma triste che non può vivere la cosa più bella: sognare e vivere la fantasia delle idee. E l’unica cosa che ho imparato è il mestiere di rivoluzionario. Se non lo faccio, la mia vita diventa triste e, poco a poco, muore anche l’amore… Vi dico ora queste perché prima non avevo le idee chiare. Negli ultimi mesi, quando ero in Italia, tutto ciò che ero riuscito a capire di fronte alla confusione delle idee, della difficile situazione, tutta piena di ricatti, di trap- pole, di rapporti un tempo belli e sinceri, poi trasformati in ambigui e brutti […] mi erano rimaste solo due possibilità di scelta: rinunciare a fare il rivoluzionario, oppure scap- pare lontano, senza sapere dove e perché. Se non avessi avuto alle spalle voi e tutto quel che ho fatto, mi sarei ven- duto a chi offriva lavoro e in cambio mi chiedeva di smettere di sognare, di lottare, di cambiare il mondo. Mi chiedeva la parte migliore della mia vita. Così sono partito, perché sono convinto che non si può amare quando ci si sente sconfitti, non si può essere sinceri, onesti. Non si possono trattare i bambini con onestà e tolleranza quando non si sogna più […] Non mi sento di accettare il mondo così assurdamente diviso e organizzato. Non è giusto che milioni di bambini muoiano di fame. Non è accettabile una vita che ignora tutto ciò. Ci sono tanti modi di cambiare il mondo e tutti quelli onesti e sinceri sono validi. Io ne conosco uno solo: trasformare in pratica le cose che ho. Se non riesco, se incontro ricatti, ostacoli, se la necessità di procurarmi la sussistenza dovessero diventare troppo grandi, al punto di impedirmi di fare ciò che penso, allora non sceglierò il compromesso, non accetterò il ricatto. Credo, miei cari, che fuggirò un’altra volta.Dove e come non so, ma non sarà un ritorno[...]

Accanto a riflessioni che denotavano stanchezza e tensione, come quando scriveva:

[…] Avremmo dovuto pensare di meno, essere più rozzi nella lotta politica e venderci poi al prezzo accettabile che ci lasciasse almeno lo spazio per gli anni che vengono. Mi chiedo quanto sia possibile accettare di vivere nella normalità quando tutto attorno è anormale. Mi chiedo quali sono i meccanismi mentali, la formazione del pensiero che permette di veder nascere e morire il sole tutti i giorni, dalla stessa inclinazione, nello stesso luogo, e le cose, le situazioni che si girano attorno in un vortice assurdo di inutilità e di anormalità, e non chiedersi e rispondersi, non so, il perché di tutto ciò. Il senso finale. La logica che dovrebbe dare un senso, almeno uno, che non sia la mera sopravvivenza, al giorno che è passato, alle cose che abbiamo fatto. Non so cosa darei per diventare l’ultimo idiota che dà un senso all’amore, al lavoro, al sabato sera. Comunque è solo questione di tempo. Anche i pazzi, i disadattati, i superbi hanno il limite della stanchezza, delle sconfitte, della presunzione. Abbiamo tentato di cambiare le cose per cambiare noi stessi. I più fortunati hanno cambiato sé stessi. Le cose sono rimaste come erano. Non c’è errore più fatale. Il problema è trovare quella maledetta posizione del cambio per ingranare la retromarcia. Non dovrebbe essere difficile […] Camminare con il tempo e sbandare con esso. E accelerare e fermarsi. Come i cavalli del circo. Non avere l’angoscia per i prossimi decenni e la voglia di andare e della febbre del sabato sera garantito a tutti e da tutto perché tutto è a posto, in ordine […]

Nello stesso periodo proseguiva lo studio del marxismo, della filosofia sociale, e ci stava l’addestramento militare per un “impegno superiore”, c’era necessità, diceva, di combattenti con una formazione politica, etica, filosofica che seguissero e guidassero altri combattenti generosi, ma senza un retroterra culturale adeguato.

Il percorso non è stato breve, in una lettera inviata a me scriveva :

[…]Mi sono licenziato dalla riforma agraria e qualche tempo fa mi hanno offerto lavoro come giornalista nel periodico del fronte sandinista. Praticamente si è aperta la possibilità di entrare nel cuore del processo rivoluzionario […] Non mi sono licenziato per fare il giornalista. Volevo andarmene dal Nicaragua, volevo continuare a un livello superiore il mio impegno internazionalista rivoluzionario. In altri luoghi dove la lotta necessita di compagni. Questa proposta di lavoro, che farebbe felice qualsiasi compagno, cade nel mezzo di un periodo in cui la mia testa si è già spostata su nuovi livelli di impegno. Sono indeciso, stanco, confuso e abbastanza depresso. Tutto si risolverà, ne sono sicuro […]

Questo percorso lo portò alla decisione finale: un nuovo viaggio che lo condusse in Salvador a combattere contro una dittatura sanguinaria, poi lunghi silenzi rotti solo, anni dopo, da una busta recapitatami che conteneva i suoi documenti : passaporto, patente italiana, documenti nicaraguensi ed un biglietto sibillino che diceva:

Carissimo

Sono venuto in possesso di alcune informazioni riguardanti il compagno Elio e di alcuni effetti personali che ti invio. La situazione è questa: Il compagno risulta, purtroppo, caduto durante la guerra civile in Salvador. La notizia è confermata, sia pure in via ufficiosa, da settori militari del Nicaragua Non è stato possibile ottenere l’ubicazione precisa del luogo dove sarebbe caduto e dove riposa il corpo Non mi hanno voluto fornire particolari, l’unica precisazione è che Elio era impegnato in appoggio al FLMN

Ti preciso che non sarà possibile sapere altro. Anzi, eventuali richieste ufficiali avranno come risposta dei “non so”. Questo dovuto al fatto che potrebbe essere “imbarazzante” a livello politico/diplomatico[…]

Si presume che dietro ai motivi politico/diplomatico ci fossero truppe addestrate dal liberato Nicaragua e inviate in appoggio ai guerriglieri salvadoregni.

Ciao Elio.


sabato 10 febbraio 2024

Sei mesi dal trapianto

Eccoci arrivati ai primi sei mesi dal trapianto. Sono stati mesi intensi, densi. Intanto la fine della dialisi, che è buona cosa, poi una ripresa lenta, fatta di alti e bassi, come l’umore. Fatta anche di un ricovero per “sospetto rigetto” che poi è rimasto, al momento, solo sospetto. Il tutto grazie alla supervisione di medici capaci. In questi mesi la strada Lecce Bari l’abbiamo percorsa mille volte e altre mille, quasi pendolari del policlinico. Ed ho imparato a conoscere amici di ricovero, a ritrovarli nelle visite periodiche, e come si fa fra vecchi amici ci si racconta del come va, si parla di creatinina con la disinvoltura con cui prima parlavi di uno spritz.

Cambia la vita dopo un trapianto o tutto torna normale come prima? Macchè, tutto cambia i tempi si dilatano, la lentezza prende il sopravvento, il tempo è scandito dalle 15 pillole giornaliere, ad ore diverse, ai controlli della pressione che si muove in modo bizzarro e che le pillole non riescono a domare, alla misura di quanto si beve e via dicendo. Più avanti forse cambieranno le cose, al momento così è.

Si esce sempre con la mascherina in tasca, se si frequentano luoghi troppo affollati la si indossa. Un trapiantato ha pochissime difese immunitarie, una banale infezione come un raffreddore può diventare un problema, il cane che ti accompagna da un decennio può diventare un problema, insomma, occorre guardarsi attorno e riguardarsi. In più c’è il problema del peso che ti è rimasto addosso e che devi smaltire. In più ci sono tutte le inezie legate all’età che incombe e non perdona. Anche per questo la ripresa è lenta, costante forse, ma lenta.

In tutto ciò la voglia di rinascita è grande, e grande rimane il ringraziamento per i familiari della mia donatrice. I primi sei mesi l’abbiamo sfangata, ora proseguiamo verso una normalità ritrovata.  Auguri, i migliori, a tutti gli amici trovati in questo percorso,

soprattutto ai giovani e giovanissimi, e non sono pochi, che hanno dovuto affrontare questa strada. E auguri a che sta in dialisi e aspetta il suono del telefono e una voce che dice "c'è un donatore per lei".


Centro nazionale trapianti


Ogni cittadino maggiorenne può esprimere il proprio consenso o dissenso finalizzato alla donazione di organi e tessuti dopo la morte attraverso una delle seguenti modalità:

Schema

  • presso gli uffici anagrafe dei Comuni al momento del rilascio o rinnovo della carta d’identità (in questo video maggiori informazioni)
  • compilando il modulo dell'AIDO - Associazione Italiana per la donazione di organi, tessuti e cellule
    • online, se si è in possesso della SPID o della firma digitale
    • presso una delle sedi dell'associazione
  • firmando il modulo presso la propria Azienda Sanitaria Locale (ASL) di riferimento
  • compilando il tesserino del CNT o il tesserino blu del Ministero della Salute, oppure una delle donor card distribuite dalle associazioni di settore; in questo caso è necessario stampare la tessera e conservarla tra i propri documenti personali. Inoltre è opportuno comunicare la propria decisione ai familiari
  • riportando la propria volontà su un foglio bianco, comprensivo di data e firma; anche in questo caso è necessario custodire questa dichiarazione tra i propri documenti personali

venerdì 12 gennaio 2024

minacce e insulti via web agli amministratori leccesi

 «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli»(U. Eco)

 Aveva ragione solo in parte, Umberto Eco, quello che si sta palesando in questi giorni in una piccola città, in fondo all’Italia, è peggio, non si tratta solo di imbecilli, siamo di fronte ad atti di vera e propria criminalità da denunciare immediatamente alle autorità giudiziarie.

Lecce, alcuni peones di chissà chi, rivolgono sui social pesanti insulti sessisti pieni di livore all’assessore Rita Miglietta, salvo poi cancellare le porcate scritte. Per fortuna qualcuno ha fatto e ripubblicato lo screenshot della conversazione fra incivili e si auspica che un’azione giudiziaria vada a buon fine. Se il non sapere o l’errore sono emendabili, la volontà di provocare anche reazioni violente in interlocutori che vogliano assurgere pure loro al ruolo di peones di qualcuno sembra palese.

Passano pochi giorni e due personaggi, uno un pittore di discutibile levatura artistica, che pare viva a milano, e una sua interlocutrice, pubblicano post sulla necessità di opporsi al sindaco in persona con proiettili veri. Pure questo sembra un invito a reagire con violenza anziché con la politica e la critica che, condivisibile o meno, rimane la via maestra per spronare un’amministrazione a fare meglio.

Avesse ragione Eco e si trattasse solo di imbecilli la cosa morirebbe lì, qui siamo invece oltre il confine, qui si tratta invece di persone, quelle che si chiamavano quaquaraqua, probabilmente con seri problemi sessuali, che forse si divertono leggendo di stupri e femminicidi, sicuramente invitano altri alla violenza verbale e probabilente non solo.

Il secondo caso non è meglio o peggio del primo, è ugualmente criminale e da denunciare alle autorità. In un dibattito civile non deve esserci posto per queste porcate.

In entrambi i casi, oltre alla minaccia, esiste la volontà, magari non espressa ma sottesa, di istigare non al dibattito, piuttosto ad una violenza più estesa e diretta.

lunedì 1 gennaio 2024

Buon nuovo anno Sanità Pubblica

 I trapianti nel 2022

Gli interventi eseguiti sono stati: 2.038 di rene, 1.474 di fegato, 254 di cuore, 138 di polmone e 38 di pancreas. I dati relativi ai trapianti di rene e fegato si riferiscono agli interventi realizzati da donatore deceduto e vivente. I donatori del 2022 sono stati complessivamente 1.830. (Ministero della salute)

 

https://www.ansa.it/emiliaromagna/notizie/2023/12/31/bimba-piuma-salvata-a-bologna-pesava-solo-otto-etti_660271a9-e535-44fe-831f-d698ddc82057.html

 

Sono solo due delle centinaia di notizie che scaldano il cuore. Succede tutto ciò nonostante qualcuno ai piani alti si ostini pervicacemente a considerare la sanità pubblica uno scempio e spreco di risorse. Così hanno depotenziato i medici di medicina generale (già medici condotti, già medici di base), hanno ridotto all’osso il personale ospedaliero e le forniture (Nel più importante ospedale di Puglia mi si dice «dobbiamo usare fialette pediatriche per i prelievi perché non ci forniscono altro»).  Medici e infermieri che fanno doppi turni per sopperire alle mancanze e per aver cura dei pazienti. Pronto soccorsi al limite che esplodono per il troppo lavoro e la cronica mancanza di personale. Neolaureati sottopagati che giustamente fuggono fuori Italia, e potremmo continuare con una litania infinita. Nonostante tutto ciò la cura esiste, ed esistono le eccellenze, e, al momento, sia pure depotenziata, esiste ancora una parte di sanità pubblica, esiste e resiste. Quella sanità che ci ha messo ai primi posti al mondo per assistenza.

Nonostante ciò qualcuno pensa mediocremente al suo piccolo orticello di voti comprati con promesse di inutili (e dannosi per l’ambiente) ponti. Nonostante ciò il PIL prosegue a fare il suo lavoro di fumo negli occhi, un paziente è spesa, vendere armi a paesi in guerra è incasso. Nonostante ciò non possiamo che augurarci un nuovo anno urlando “resistere, resistere, resistere”.

 

 

venerdì 15 dicembre 2023

Gli anni delle stragi, Pinelli e gli altri

Era il 1969, era il 15 dicembre. Solo tre giorni prima una maledetta bomba aveva squarciato una banca e un’intera generazione che cascò dalla rivendicazione di libero pensiero e di diritti ora giudicati elementari, quali le assemblee a scuola, il dialogo fra studenti e operai, possibilità di esprimersi liberamente con le parole, con l’abbigliamento, con la musica, all’inconcepibile sensazione di essere in una guerra subdola, fatta di bombe fra la gente,  di tentati colpi di stato. Con la superpotenza detta faro delle democrazie, che foraggiava golpisti in centro sud America come in Italia e Grecia.

Quel 12 dicembre, si dice, “perdemmo l‘innocenza”. Lo squarcio era fatto.



E il 15 dicembre un ferroviere anarchico, uomo pacato, venne prelevato da casa, però sulle gazzelle non c’era posto e Calabresi, il commissario poi assassinato da ignoti criminali, gli disse “vieni col tuo motorino”. Lui sapeva che non sarebbe fuggito, perché Pino Pinelli era uomo di parola, e andò in commissariato, ne uscì solo dalla finestra del quarto piano. Nonostante una sentenza ignobile che parlò di malore attivo, il sospetto, per noi la certezza, che mani insanguinate lo spinsero giù è ancora viva, vera. Giuseppe Pinelli, detto Pino, è uno, solo uno,  dei caduti per un ideale di libertà. Altri lo seguiranno negli anni successivi.

 

Le stragi neofasciste in Italia (1969-1980)

12 dicembre 1969: strage di piazza Fontana, Milano. 17 vittime22

luglio 1970. Strage presso la stazione di Gioia Tauro (Reggio Calabria). 6 vittime

31 maggio 1972: strage di Peteano. 3 vittime

17 maggio 1973: strage di via Fatebenefratelli, Milano. 4 vittime

28 maggio 1974: strage di piazza della Loggia, Brescia. 8 vittime

4 agosto 1974: strage sul treno Italicus, vicino Bologna. 12 vittime

2 agosto 1980: strage alla stazione di Bologna. 85 vittime

Totale: 135 vittime.

 

L’impunità è stata altissima, dovuta in particolare alle connivenze e ai depistaggi messi in atto da una parte delle forze di sicurezza dello stato (Servizi segreti, Ufficio Affari

Riservati del Min. Interno e uffici politici della Pubblica Sicurezza, Carabinieri), a beneficio dei responsabili delle stragi.

 

Inoltre, sempre con connivenze all’interno degli apparati statali e con i placet di Washington, ci sono stati tentatici di golpisti:

 

“Piano Solo” (Gen. De Lorenzo) 1964

Golpe Borghese 8 dicembre 1970

“Rosa dei venti” 1971-1973

Golpe “bianco” (Edgardo Sogno) estate 1974

 

In tutto questo i ragazzi di allora hanno vissuto, nonostante tutto questo sono stati anni di fermento democratico, sono sbocciati diritti come il divorzio, come la libertà delle donne di decidere del proprio destino, come lo statuto dei lavoratori.

Oggi qualcuno vuole cassare quelle conquiste, se non tutte, almeno una buona parte. Rimaniamo noi e rimane il nostro dovere di portare avanti la memoria e rileggere la storia recente, con caparbietà.

Noi il 12 dicembre e il 15 dicembre 1969 lo ricordiamo non con nostalgia, ma con rabbia. Hanno tentato di annichilire una generazione. Anche qui sta la grandezza della Democrazia, quella che contiene gli anticorpi a tutto ciò.

giovedì 28 settembre 2023

Su trapianto organi e importanza del donare

 Ringrazio Lecceprima per avere accolto queste mie righe sul trapianto di rene, ma soprattutto sull'importanza della donazione di organi. 

Millecinquecentosessanta sono i buchi fatti in cinque anni di dialisi. Tre volte a settimana, ogni volta due buchi, arteria e vena. Ogni seduta 4 ore. Tremilacentoventi ore. Il reparto dialisi diventa quasi casa, e gli angeli della dialisi, le infermiere e gli infermieri con i quali c’è frequentazione, con loro si scherza, e si parla dei figli, della scuola, delle vacanze, questi angeli sono presenti, attenti. Con i pazienti sono sempre positivi nonostante i problemi ormai atavici della sanità che qualcuno vuole privatizzare in toto, che altri vogliono devolvere alle regioni perché facciano scempio di un servizio che eticamente deve essere orizzontale, uguale per tutti, ma che vogliono ad ogni costo verticalizzare, se hai soldi ti curi. In questi anni, fra un buco e l’altro, ho visto doppi turni sfiancanti, riposi negati ed altre oscenità per carenza di personale. Ma loro erano sempre lì, con un sorriso ed una professionalità degna di considerazione, stipendi e riconoscimenti più elevati.

Dietro ogni dializzato ci sta una famiglia legata a filo doppio ai turni di dialisi, alla difficoltà di muoversi senza prevedere un posto dialisi altrove, ma ci sta la speranza che a volte sembra miraggio, il trapianto.

I donatori non sono in eccesso purtroppo, anzi. Veramente non comprendo quale perversione faccia dire no a chi rinnova la carta d’identità e riceve la domanda di rito “vuole essere donatore di organi?” Certo, se il parlamento definisse una volta per tutte il silenzio assenso (se non dici no motivato all’espianto sei donatore d’ufficio), legge approvata 20 anni fa ma ancora, colpevolmente, mancano i decreti attuativi, le cose sarebbero forse migliori.

Però ogni tanto succede, la campana ha suonato, nel bene questa volta, anche per me.

Era l’8 agosto, una giornata intensa, alle cinque del mattino a Brindisi ad accompagnare mio figlio che partiva, poi Lecce tutto il giorno per incombenze, poi Castro per cenare e dormire. Solo che alle 21,30 squilla il telefono, 080, Bari, “buona sera ,chiamo dal centro trapianti, c’è una donazione di reni, donatrice 77 enne reni in perfetto stato, lei è il primo in lista”. Mi sono preso un’ora di tempo però non potevo esimermi, dopo tre chiamate nell’anno andate male per vari motivi. Così nella notte si va a Bari, dal momento del ricovero ci si mette nelle mani del personale sanitario, poi la barella, la sala operatoria, la bella anestesista che mi dice “ora le faccio una preanestesia” . Mi sono svegliato otto ore dopo già trapiantato e in terapia intensiva per controlli costanti dei valori. Tutto bene insomma, il rene funziona egregiamente, poi il decorso post operatorio, poi le dimissioni dopo 13 giorni di degenza.

Dopo la terapia intensiva sono stato in una camera a due letti con una persona meravigliosa. Francesco ha appena compiuto 29 anni. Subì un primo trapianto di rene a 5 anni, durò fino ai suoi 24 poi il rene si spense, dopo 5 anni di dialisi altro trapianto donato da un angelo speciale, sua mamma, trapianto da vivente.  E’ ricoverato da oltre un mese Francesco, si sommano problemi su problemi, nonostante ciò è sempre positivo, sorridente, con la battuta pronta, invidiabile indole. Da “veterano” mi ha aiutato molto a capire come funziona il tutto ed era sempre disponibile ad aiutarmi in ogni cosa.

Poi ho conosciuto altri trapiantati, giovani, quarantenni o giù di li. In Italia ci sono 7073 pazienti in lista d’attesa solo per il rene, molti i giovani, per questo non si comprende la perversione dei no. Portarsi gli organi in una bara è uno schiaffo a chi soffre e potrebbe elevare la qualità della sua vita, ne parla anche Papa Francesco quando dice “«La donazione degli organi risponde ad una necessità sociale perché, nonostante lo sviluppo di molte cure mediche, il fabbisogno di organi rimane ancora grande». Quindi nessun alibi, né per i credenti, né per chi credente non è. L’accanimento del no è veramente incomprensibile.

Il giorno dopo il trapianto, ancora un po' acciaccato, leggo su Lecceprima di una donatrice settantasettenne di Lecce, è stata sicuramente il mio passaporto verso la rinascita. A quel punto si affollano mille pensieri nella testa, si rincorono emozioni e gratitudine, sicuramente non chiederò chi era la mia donatrice, questione di etica, però  ho un debito infinito. E il contraccolpo psicologico presenta il conto, è inevitabile, alla gioia per l’operazione riuscita si sostituisce un senso di velata malinconia immaginando gli occhi, i gesti della mia donatrice, immaginando, se possibile, i suoi sogni. E di solidarietà con il lutto dei familiari. Un dono di organi, tutto sommato, è anche un modo per continuare a vivere, per vincere anche quella che Guccini chiamò “il manto della grande consolatrice”.

Ora ho il dovere di trattare bene questo organo che mi ha permesso di liberarmi dalla dialisi, ma anche per rispetto della mia donatrice e dei suoi familiari.

Il fratello di Francesco venne a trovarlo e ci portò due creme caffè. Il barista, visto che erano per l’ospedale, chiese “per una nascita?” “No, per una rinascita”. Sintesi efficace e vera.

 


 

mercoledì 12 luglio 2023

Lecce- primarie si primarie no, la terra dei cachi

 

Sono rimasto stupito leggendo le dichiarazioni di alcuni esponenti del centro sinistra leccese a proposito di primarie per le prossime elezioni amministrative.

In un periodo in cui sia a livello locale che nazionale, la destra, anche estrema, sembra prendere il cucuzzaro intero, cercare motivi di ulteriore divisione nel centro sinistra ha il sapore amaro del “facciamoci del male”.

Certo non si tratta di accettare tutto quel che viene, occorre un dialogo sereno e pacato sulle virtù dell’amministrazione targata Salvemini, ma anche, anzi, soprattutto, sui suoi limiti. Occorre superarli, andare avanti non con trattative da mercato di poltrone o seggiolini, ma con le competenze da mettere in campo per il bene della città e del centro sinistra tutto, per provare a farlo rinascere in modo virtuoso.

Temo che, a fronte di primarie forzose, molti elettori sarebbero quanto meno disorientati. O si dice chiaramente che l’attuale amministrazione non merita la ricandidatura e se ne elencano i motivi, oppure sembra una storia di ripicche per vedere chi è più puro di chi. Antiche storie già viste e mai digerite, che allontanano dalla politica alta, se ancora esiste.  Ritengo eventuali primarie, nei fatti, una sconfitta. Rappresenterebbero una bocciatura tout court dell’amministrazione uscente e un assist a chi vuole azzannare tutto ciò che non è destra. Insomma, un modo di offrire la città e il suo governo a chi amava dire “a Lecce cumandamu nui” ed ha lasciato la città in preda al predissesto.

Il momento è ancora interlocutorio fra le mille anime del centro sinistra apparentemente mai così frantumato e disorientato, si dovrebbe optare per un dialogo aperto. Il cammino per ridare vita ad una città depressa da decenni di voti di scambio e mazzette e amministrazioni che badavano al tornaconto immediato e non alla programmazione di un futuro dignitoso è ancora lungo, tortuoso, pieno di buche da rattoppare e filosofie di vita da cambiare globalmente, tuttavia in questi anni si sono visti passi avanti, magari timidi in alcuni casi, o eccessivi in altri, ma si sono visti. Ora giocare al tiro a segno sarebbe segno di debolezza, non certo di forza. Le primarie non solo non sono necessarie, rischiano di essere dannose e di funzionare da boomerang verso chi le indice. Occorre rafforzare l’amministrazione uscente e farsi carico, ogni partito, formazione, lista, di candidare i migliori. Far parte di una coalizione significa anche controllare il pilota per arrivare a scelte ampiamente condivise. Certo, non è il sol dell’avvenir all’orizzonte, però quanto meno siamo in presenza di onestà e dignità. E non è poco.

 

giovedì 27 aprile 2023

Mario Perrotta . S/Calvino e la libertà

 



“Gira, il mondo gira/ Nello spazio senza fine/ Con gli amori appena nati/ Con gli amori già finiti/ Con la gioia e col dolore/ Della gente come me…”

Inizia così, con le parole di Jimmy Fontana in una meravigliosa canzone, Il Mondo (arrangiata, noblesse oblige, da Ennio Morricone nel 1965) il secolo scorso.

Lui, Mario Perrotta, il meraviglioso affabulatore, in due ore di intenso monologo,   porta lo spettatore nei meandri del lavoro di Italo Calvino, intitolato, appunto, S/Calvino o della libertà. Un viaggio in cui lui  scompone, disarticola, scalvinizza, appunto, i concetti di libertà di Calvino per consegnare allo spettatore una sua visione di libertà.

Sintetizzando in un passaggio di una sua intervista, dice «Indago le opere di Calvino e, intanto, ho in mente una parola fragile: libertà. Un omaggio personalissimo a un autore che ha saputo modellare, e fortemente, la mia visione delle cose del mondo…»

Lui è in scena solo, come sempre, seduto, indossa una giacca di lamè brillante, solo con un microfono, lui è lo scrutatore de “la giornata di uno scrutatore”, ci racconta Palomar, il barone rampante e altre opere dello scrittore, un mondo visto con gli occhi dei ricoverati del Cottolengo, ci racconta di quella libertà che permette loro di vedere il mondo con occhi diversi, disincantati nella monotonia che circonda gli umani “normali”.

 

“Oh mondo

Soltanto adesso io ti guardo

Nel tuo silenzio io mi perdo

E sono niente accanto a te…”

 

E quella libertà che deve diventare da individuale a collettiva è in tutto il monologo di Mario, scomporre il pensiero di Calvino e ricomporlo nella sua ricerca fra città invisibili, cavalieri inesistenti,  e  altre figure che corrono e scorrono in tutto il dialogo monologo. Astrazione, realismo eccessivo di un mondo visto con lo sguardo mai rassegnato e disincantato dell’elettore che forse diventa consapevole dei suoi limiti ma soprattutto mostra la sua grandezza, il disincanto.

Vogliamo bene a Mario Perrotta da quando, guardato quasi con sufficienza dalla sua città, andava per teatri e vinceva premi UBU e non solo, erano altri tempi, per fortuna oggi Lecce riconosce il merito di un artista che meriterebbe veramente di essere coinvolto nella vita aritstica e culturale della città in modo più incisivo e continuativo.  

 

 

Mario Perrotta:

2022 Premio Ubu come Migliore nuovo testo / Scrittura drammaturgica per Dei figli

 2022 Dalila Cozzolino finalista ai Premi Ubu come Miglior Attrice Under 35 per Dei figli

 2019 Finalista ai Premi Ubu come Miglior nuovo testo per In nome del padre

 2018 Miglior spettacolo straniero allo United Solo Festival di New York con A Kiss (versione inglese di Un bès)

2017 Finalista ai Premi Ubu come Migliore progetto artistico con Versoterra

2017 Paola Roscioli Finalista ai Premi Ubu come Migliore Attrice con Lireta – a chi viene dal mare

2017 Premio Internazionale “Pugliesi nel mondo”

2015 Premio Ubu come miglior progetto artistico e organizzativo per l’intero Progetto Ligabue

2015 Premio della Critica/Associazione Nazionale Critici di Teatro per l’intero Progetto Ligabue

2015 Finalista ai Premi Ubu come Migliore drammaturgia con Milite Ignoto

2014 Premio Hystrio-Twister come miglior spettacolo dell’anno a giudizio del pubblico per Un bès – Antonio Ligabue

2013 Premio Ubu come Miglior attore protagonista per Un bès – Antonio Ligabue

2011 Premio Ubu speciale per Trilogia sull’individuo sociale

2009 Premio Hystrio alla drammaturgia per Odissea

2008 Finalista ai Premi Ubu come Migliore attore protagonista con Odissea

2008 Premio Città del diario assegnato dall’Archivio Diaristico Nazionale

2007 Jury Special Award alla TRT International Radio Competition per Emigranti Esprèss

2004 Finalista ai Premi Ubu come Migliore novità drammaturgica con Italiani Cìncali

2003 Targa della Camera dei Deputati per Italiani Cìncali

 

 

 

 

 

 


martedì 11 aprile 2023

Di Faugno, Macaia e lupa di mare

 Succede, nelle città di mare e di entroterra, di essere avvolti da una cappa calda, umida, che rende l’aria difficile da respirare e i movimenti lenti, succede che gli abiti si appiccicano alla pelle, succede che in una giornata di sole stendi la biancheria e non asciuga. Allora i pensieri diventano molli, i ricordi si attorcigliano a quella sensazione caldo umida. Anche gli amori sono lenti come i pensieri, come le cose della vita quotidiana.

Neppure la rabbia per il mondo che gira a rovescio mostra la sua irruente forza.

E vicino al mare o nelle campagne assolate  tutto questo ha un nome.

In Salento questa sensazione si chiama Faugno. Deriva, pare, da Favonio, il vento che arriva da sud o da ovest, insistente, fiero, lento. Un vento che ti fa sentire bagnato.

In Liguria il suo nome è Macaia,  (dal greco malakia, languore, o dal latino malacia, bonaccia di mare). Ne canta Conte in Genova per noi “Macaia, scimmia di luce e di follia…” Quella Genova che (per noi del basso piemonte) era la meta e la partenza. Arrivavano navi, c’era il mare che non sta fermo mai, c’era via del Campo con tutte le sue meraviglie, e c’era, a volte, la Macaia con il suo folle e umido umore.

Con il faugno e la macaia la vita rallenta, “usciamo dopo, quando rinfresca”.  

Era spesso ben accompagnata dalla Caligo,  che in Salento e in Sicilia si chiama Lupa di mare.

La Caligo è quella nebbia sul mare che si forma per l’aria fredda che incontra la superficie più fredda del mare, però noi siamo più legati alla leggenda che dice come la nebbia che non tocca terra   accompagna le anime verso la loro pace. Le preleva da terra, le avvolge e le accompagna verso la luce. Un altro modo per guadagnarsi l’immortalità.

Molto leggendaria anche la Lupa di mare, avvolge e nasconde acque, il suo nome pare derivi dalla Brogna, una grande conchiglia che usavano i marinai per segnalare la presenza dell’imbarcazione. Il suono emesso somigliava all’ululato di un lupo. Insomma, evocativi fenomeni metereologici che si ammantano di mistero.

Mani protese dal profondo sud all’estremo nord, tamburelli e organetti, Paolo Conte e lu rusciu te lu mare si incontrano a raccontare fole.

 

domenica 2 aprile 2023

Al mio amico Mauro

 

Mi arrendo

Sì, basta così,

mi sento estraneo

in ogni cosa, in ogni capitare.

Non ho mai avuto armi

la mia realtà è altra.

Conosco lunghi silenzi.

Mormoro, ripasso versi

fino ad annientarli.

Il fallimento assedia

esserne consapevoli

è desolante.

Amaro sì, ma così

m’appare il tempo

l’andatura della Storia

e la mia storia personale

inceppata nella retorica

dei falsi sapienti, della cultura,

della poesia, di un arte

ininfluente

senza destino

esercizio narcisistico

di attori in un mondo senza mondo

di patrie illuse della loro unicità.

Voglio adesso coltivare

l’ignoranza, il non esserci,

la non disponibilità.

Voglio assentarmi,

rispondere “impreparato”

come un tempo a scuola, quando preferivo la fuga

al banco.

 

Così scrive il mio carissimo amico e maestro di bellezza, Mauro Marino. Versi che si portano appresso bagagli di sforzi per capire, scrivere versi, studiare parole, arrotolarle, farle vivere in ogni momento. “Con la cultura non si mangia” diceva un pessimo ministro dell’economia un tempo. Però di cultura si vive, si deve vivere, pur se arduo farlo. In un mondo dominato dalle verità incredibili (nel senso vero del termine, non credibili), guerre, polverizzazione di vite umane e di città intere per poter conquistare hainoi, hailoro, macerie e dire “ho vinto”. Con un’economia che scorda chi ha poco a vantaggio di chi molto possiede. In queste contraddizioni che senso ha fare poesia? Che senso ha creare cultura? Dove creare è vivere ogni giorno il giorno che arriva, guardare emozioni e rabbia come si guarda negli occhi un bimbo che gioca sereno.

Sono arrivato, purtroppo, in un tempo che ha molto passato alle spalle e pochissimo futuro. L’età incombe prepotente e fiera, al punto che anche uno sguardo porta commozione, si sa, i vecchi hanno la lacrima facile. Mauro si arrende? Non ci credo molto, forse è solo scoramento temporaneo, auspico e spero, io, noi, in tanti, abbiamo necessità della sua pacatezza e della sua capacità di trasformare parole in versi, pensieri in atti, della sua tenacia nel creare cultura, pur se disconosciuta da un mondo raffazzonato di esperti in tutto e capaci in pochissimo.

“Coltivare l’ignoranza, il non esserci…” Macchè Mauro, non è credibile tutto ciò, forse purtroppo non è credibile, sicuramente per fortuna. Contraddizioni si inseguono nel mondo dei non luoghi dove qualcuno arriva a negare la storia e altri a rivendicare il non rivendicabile. Abbiamo trascorso tempi di forte e fiera tensione rivendicativa, poi la storia è andata come sappiamo. Tuttavia ancora qui stiamo, a guardare gli accadimenti, a sperare in lampi di luce, le parole, poesia o altro, sono la forza, il creare cultura, nonostante tutto, è vitale.

A presto Mauro, ci si incontra magari per caso, ma non ci si scorda dell’altro, degli altri, del mondo attorno.