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giovedì 13 settembre 2018

Un tramonto, la luna, Guccini





Succede, un giorno di settembre succede. Vai a vedere il mare, in auto musica in sottofondo ai pensieri che vagano. Solo con il cane che ti prima guarda fuori dal finestrino,
poi ti cammina a fianco. Succede che quella musica e le parole di Guccini ti portano lontano nel tempo e nei tempi. Il tramonto è rosso arancio come non lo ricordavo, la luna è una esile falce che si staglia nel cielo dalla parte in cui è già scuro. Il mix è travolgente. Parole, musica, sole che tramonta, la luna  (gobba a ponente luna crescente).
Malefico Guccini che mi porta lontano, indietro, quando parlavamo ore lunghissime in estate, seduti sugli scalini della signora che probabilmente origliava da dietro le persiane. Ma si sa, in paese si origlia. Il pettegolezzo è l’anima dei piccoli paesi. Tutti sanno tutto, o pensano di sapere tutto. “Quei due si stanno separando, l’ho capito perché non vedo la biancheria stesa”. “Ahi ahi ahi, stendi subito le lenzuola per carità, quelle matrimoniali però”.
Senza il pettegolezzo il paese sarebbe una città neppure divertente, dove ognuno si fa i fatti suoi e non ci si conosce neppure con quelli del piano di sopra e quando ti vedi in ascensore parli del tempo o di banalità, sempre le stesse. Mai che uno chieda, che so: “sei felice?” Eppure ce ne sarebbe bisogno di sentirselo chiedere, anche solo per sfogarsi. Come succede a volte in treno, quando durante un viaggio che dura qualche ora va a finire che si parla con un perfetto sconosciuto di cose intime, giusto per parlarne con sé stessi.
Succede che i ricordi si affastellano come quando la giornata inizia aprendo un social, e Paolo ha pubblicato una foto del quotidiano Lotta Continua egli anni ‘70, e vedi che c’è Elio lì nella foto, un
po’ indietro, in secondo piano, però è lui. Con i suoi baffi, con la sua sigaretta che pare sempre la st essa.  Una foto, un tramonto rosso arancio, la falce di luna, Guccini che canta di come eravamo quando si credeva di essere onnipotenti. 
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Succede che ti siedi al tavolino del chiosco davanti al mare, con il tramonto rosso e la falce di luna e Guccini nella testa e senti i ragazzi al tavolino accanto parlare di fidanzate e di moto. Sono belli i
ragazzi che sognano e forse si sentono onnipotenti. “Non fumo mai in casa con la mia compagna, lei non fuma, quindi rispetto la sua scelta”… Il vizio di origliare e di ascoltare il vissuto degli altri in treno non si perde forse mai. In fondo siamo in un grande paese.
Succede che ti prenda una strana nostalgia, saudaji, nostalgia del futuro, come diceva qualcuno. Quel futuro che i ragazzi onnipotenti hanno davanti. Con le loro findanzate che non fumano, le loro moto,
i loro social network che noi non avevamo e che adesso servono ad alcuni ministri per spiegarci come si governa. In 160 caratteri o giù di lì. “Oggi faccio gli auguri alla mia fidanzata che inizia a lavorare e tengo 150 persone a marcire in mare”. “Oggi risolvo il problema dell’ILVA, poi dico che il museo
di Taranto è una merda e mangerò pasta con le cozze”.
Eppure quando eravamo onnipotenti discutevamo ore ed ore  senza social.
E dov’è finto il futuro ora? Quando ci incontriamo magari per caso, scopriamo di essere tutti pensionati, quindi vecchi. E sappiamo, anche se non lo ammetteremo neppure sotto tortura, che l’aspettativa di vita è ridotta all’osso. E magari dobbiamo curarci strambe malattie che ti tolgono il
delirio di onnipotenza e ti portano nel regno degli umani. Il futuro sta in quel tramonto rosso arancio e in quella falce di luna sul mare. Il futuro sta nei pensieri del passato che ti cullano. Nel riconsiderare gli errori fatti e nel rendersi conto i non saperli riparare. Le lacrime di due bimbi che ti rimangono dentro sempre e ti stringono in un groppo il cuore quando ci ripensi. E ci ripensi spesso.
“Un prosecco per favore” dico alla ragazza del chiosco. Lo bevo lentamente, con il cane accanto, con i ragazzi delle moto e delle fidanzate non fumatrici accanto, con il tramonto e la falce di luna.  E con il mare placido che sembra un lago, con onde piccole, eterne anche loro. Le onde che corrodono lentamente la costa.
Ho incontrato il mio amico Nando “ci prendiamo una spremuta? Sono buone qui”. E abbiamo parlato di ambiente, di mare, di lavoro, di strambe malattie che un tempo, quando eravamo onnipotenti, erano degli altri. Mai a noi, per carità, sempre agli altri succedono le cose.
Poi a casa. Vediamo che c’è in TV. E domani è il compleanno Francesca, lei sta là a Genova, la chiamerò. Sarà bello sentirla. Ed è sempre una piccola emozione. In fondo ci amiamo.


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