"Limbico”, così si chiama il sistema che regola la memoria
olfattiva. Preferisco però chiamarlo più poeticamente Sindrome di Proust. Nella Ricerca del tempo perduto, il profumo di
una madeleine lo riporta all’antico, a ricordare, a navigare con la memoria.
Attimi, flash.
Profumi delicati di fiori in primavera, che irrompono tristi
in novembre, quando appartenevano ai cimiteri che si visitavano. Prima di farne
luoghi che non visito più, neppure nei giorni dedicati ai morti, perché i
ricordi sono dentro di te, solo lì.
Altri profumi, altri ricordi. Odore di pulito quando
qualcuno aveva passato la cera e in estate c’era penombra nelle camere e mi
aggiravo in silenzio per sentire il piacere, per odorare, quasi fosse una
droga. E da sotto mia madre che diceva di scendere e non sporcare altrimenti
erano sberle (per altro mai arrivate nonostante ripetute minacce, da allora
capivi che si potevano violare alcuni ordini, solo con cautela però). E poi
altri profumi, la vita scorre, quello di fumo di sigarette, del bar sport
durante partite a scopone o nel mezzo di animate conversazioni. Politica, donne
e calcio. E il profumo del caffè di Giuseppe in sottofondo.
E ancora, la vita prosegue, l’inchiostro del ciclostile, la
colla per manifesti affissi di corsa, la notte. Profumi di voglia di un mondo
diverso, più equo. Sogni che si scontravano con un settarismo un po’ becero che
tuttavia fa parte ancora oggi dell’attualità.
Intanto, fra una riunione, un corteo, uno sciopero “operai
studenti uniti nella lotta” ma con pochissimi operai e molti studenti, in casa,
rientrando, altri profumi rassicuravano: il ragù della mamma. Inebriante.
Allora non sapevo che non era solo mangiare per sopravvivere, ma che mi avrebbe
accompagnato fino ai 70 anni, che improvviso, imprevisto, impudico, si sarebbe
ripresentato un giorno di gennaio, mentre fuori una tramontana gelida tagliava
i pensieri e congelava le mani.
Profumi… Odori… sensazioni… emozioni… Turbinii di sguardi al
passato e al futuro (che ormai è oggi) da bere a piccoli sorsi.
lasciano a volte uscire confuse
parole;
l’uomo vi passa attraverso foreste di
simboli
che l’osservano con sguardi familiari.
Come echi lunghi che da lontano si fondono
in una tenebrosa e profonda unità
vasta quanto la notte e quanto la
luce,
i profumi, i colori e i suoni si rispondono.
dolci come oboi, verdi come praterie
– e altri corrotti, ricchi e
trionfanti,
che hanno l’espansione delle cose infinite,
come l’ambra, il muschio, il benzoino
e l’incenso
che cantano gli abbandoni dello
spirito e dei sensi.
(C. Boudelaire)