Le Pasque quindi. Queste ultime due mi rendono più simpatica
la Pasqua ebraica. La “Pasah” che significa, letteralmente “andare oltre”. E
che festeggia la liberazione degli ebrei e il passaggio, guidati da Mosè, del Mar
Rosso.
Così diversa dalla cristiana “panthein” che in greco
significa “soffrire”, e nella tradizione è la passione del Cristo e la
resurrezione.
Sentiamo come non mai il desiderio di oltrepassare, andare
oltre questo anno maledetto fatto di zone rosse gialle arancioni. Un anno in
cui si è fermato il tempo e si sono bloccati i rapporti sociali, dalla piccola
gioia di un caffè seduti al tavolino di un bar, alle evasioni in pizzeria o al
cinema. Per i ragazzi si è fermata anche la scuola e la possibilità di
socializzare che in adolescenza e preadolescenza è vitale, educativa, forma le
persone e crea rapporti sociali.
Siamo al punto in cui un incontro casuale per strada si
traduce in un saluto e poche parole “a distanza di sicurezza” perché lui si
annida in un respiro. Quasi come un alito, lieve e assassino.
Ben venga allora la Pasah con il passaggio dei nostri mari
guidati da chi sa di scienza e ricerca, non certo da politicanti d’accatto che
inciampano nelle regole e nella lingua italiana.
E, in fondo, ben venga la resurrezione. Collettiva però, non
del solo figlio di Dio. E ancora ricadiamo, una resurrezione che deve essere Liberazione.
Ci deve liberare dal virus e dai pregiudizi, dalle parole insensate e (magari)
pure dalle scemenze del web che intasano menti e buon senso. E allora ancora,
buona Pasah a tutti noi. Ne abbiamo bisogno.