Gialli, arancioni, rossi, bianchi… Siamo diventati da pandemici e multicolor. O forse siamo multipandemici. In era di crisi di governo non male trovarci belli colorati. Però arrivano le altre crisi, quelle da astinenza di pizzeria, di abbracci. Siamo diventati popolo di lontani che si prendono a gomitate anziché darsi la mano. In realtà ne vedo pochi, ormai ci si saluta a gesti mantenendo debite distanze.
Quando riconosci l’altro. Già, perché le mascherine, oltre
ad appannare gli occhiali e farti camminare nella nebbia fitta, ti costringono
(finalmente) a guardare l’altro negli occhi, così ti accorgi di non saper più riconoscere
le persone. Lo sguardo, che è specchio dell’anima come dice qualcuno, in epoca precovid, era diventato spesso solo
un orpello. Guardare dritto negli occhi significa scrutarsi dentro, cercare
l’anima dell’altro, o capire come sei nello sguardo dell’altro. Specchi,
riflessi, lampi. Forse per questo spesso si tende ad evitarlo. La mascherina
però ti costringe, e neppure sai se l’altro ti sta sorridendo oppure (come dice
una mia amica) ti fa la linguaccia
quando ti incrocia. Ti costringe a farlo, così scopri, scruti, accarezzi con lo
sguardo. Occhi che sorridono, occhi tristi, grandi, piccoli, chiari, neri come
la notte. Occhi…
Siamo in un passaggio epocale, il millennio si dividerà in
pre covid e post covid.
Però qualche lusso possiamo consentircelo. Visto che siamo
gialli, possiamo addirittura andare al bar a bere un caffè in una vera tazzina.
Quando eravamo arancioni si doveva
prendere il caffè al banco, pagare, e uscire sul marciapiedi a berlo in un
bicchierino di plastica, aumentando a dismisura la plastica da riciclare, e se
era troppo caldo rischiando ustioni alle dita.
Ora entriamo, però rigorosamente con mascherina, richiamati
in caso contrario e additati alla folla come (quasi) untori. Il tutto fino al
bancone, poi o bevi il caffè o tieni la mascherina, quando paghi 90 centesimi
non sei più un untore.
Gialli o arancioni o rossi poco importa, i teatri e i cinema
e i musei sono chiusi rigorosamente. Facciamo a meno di arte e di cultura? Non
si può, non si deve. O meglio, non si potrebbe, non si dovrebbe. Dobbiamo per forza ri/pensare alla vita in
pandemia, rileggere libri, riflettere su come fruire arte, teatro, danza,
musica, poesia. Le dirette facebook, le riunioni on line, gli auguri ai figli
da lontano, gli aperitivi in video chiamata (che i più raffinati chiamano
call), tutte panacee che fanno quasi il paio con la mascherina che nasconde,
cela, lascia immaginare un sorriso. Fingiamo di essere felici.
Intanto la vita scorre anche per le strade, quando siamo
gialli o arancioni, non cessano i clacson, neppure le sirene delle ambulanze. Solo
il mare è sempre là con il suo movimento lento o violento, con i suoi suoni che
accompagnano i pensieri e le emozioni. E sono là gli ulivi, sofferenti per
xilella o rigogliosamente fieri con i loro secoli di vita. Pensieri che si
avvoltolano proprio in questo inizio anno in cui, ormai, scopro di non essere
più neppure anziano, ma vecchio, eggià, quando il futuro è oggi.
Buona pandemia a tutti.