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mercoledì 5 maggio 2021

Di papaveri, Marte e bellezza

                     





I papaveri, alti, belli, rossi. Li vedo nelle campagne salentine, passeggiando in stradine, immerso nel profumo dell’erba tagliata, dei pini marittimi, della primavera ormai inoltrata che avvolge.

E arrivano ricordi di corse in bicicletta fra i campi di grano lassù, nelle campagne solerine.

Eravamo piccoli allora, era un secolo fa, forse due. Campi di grano infiniti gialli come il sole, in mezzo macchie rosse e azzurre. Papaveri e fiordalisi a profusione, a colorare il mondo fatto di corse, rincorse, e poi noi seduti a terra a raccontarci i problemi dei bimbi neppure ancora adolescenti o a scoprire il cammino delle formiche in fila indiana.  

E le more di gelso raccolte seduti sui rami degli alberi che avevamo scalato coraggiosamente. “Mi piacciono le bianche” “a me le nere”. Poco importava, bastava scegliere l’albero giusto,  i gelsi erano ovunque in quella campagna. Un tempo servivano per delimitare gli appezzamenti e soprattutto per procurare il nutrimento per i bachi da seta che divoravamo le loro foglie.

Però quando noi eravamo su quegli alberi di bachi non se ne allevavano più.

Poi tagliarono anche quelli per fare spazio a mietitrebbie alte come palazzi.

Ed erano già ricordi le feste della trebbiatura nelle aie, con un sacco di persone al lavoro, con noi bimbi a tagliare fili di ferro che servivano per legare le balle di paglia, con il panino di metà mattinata portato dalla signora. Vino per loro, acqua per noi, a volte gazzosa.

Poi, poco alla volta, se ne sono andati i papaveri e i fiordalisi. Distrutti da diserbanti che dicono “intelligenti”, quelli che selezionano lo sterminio. Rimane solo il grano, è biondo e ariano.

 Ora i campi sono solo verdi prima, gialli dopo. E neppure si trebbia più. Ora quelle astronavi immense  fanno tutto, mietono, trebbiano  e sputano nel campo quelle cose con un nome orribile “rotoballe”.

Bastano un po’ di papaveri per tornare indietro nel tempo. “Ah quando i mulini erano bianchi” “Si, però la gente mangiava pane nero”, beh, è vero. Saranno belli i papaveri e i fiordalisi nel grano , però occorre produrre in fretta e bene, soprattutto occorre risparmiare perché poi arriva il grano canadese e ci fa concorrenza.

Però il bello è indispensabile.

«Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore». Diceva Peppino Impastato.

Eh lo so, sembrano discorsi da vecchio disilluso e forse stanco.

“Siamo nel 2021, fattene una ragione, andiamo di Marte, facciamo tutto con una banale stampante 3D, abbiamo i computer e facebook.”  Eggià, andiamo su Marte perché dobbiamo scoprire se qualche milione di anni fa lassù c’era acqua, perbacco questa è evoluzione della specie. Dalle caverne a Marte come niente fosse.

“Scusate se interrompo il sogno marziano, però a pochissime ore di volo da qui ci sta un continente dove metà della popolazione muore di sete perché non ha acqua, forse ci sarebbe una priorità,  che facciamo? Diciamo loro di bere champagne?”

E poi, diciamolo, su Marte non ci sta uno straccio di petalo di papavero, vale la pena?

Ah la vecchiaia, si diventa rompipalle in un attimo. 

Mica siamo proiettati nel futuro noi del secolo scorso. Addirittura non vogliamo il ponte sullo stretto perché forse la cementificazione dovrebbe essere quanto meno rallentata, perché non serve, perché è uno scempio che va a intaccare quella bellezza (ecccola che ritorna) che ha fatto di questi luoghi un unicum irripetibile ed emozionante.Ma già, noi siamo vecchi e antichi. Come i poeti che ancora stanno a scrivere versi per guardarsi dentro e proiettarsi fuori. Come il pittore che davanti ad una tela bianca già vede i gesti, i tratti, l’opera compiuta e poi ci si accorge di essere di fronte ad un’emozione. Tutti orpelli inutili ai tempi dei social dove tutti sanno tutto.Noi siamo così, un po’ fuori di testa che andiamo a camminare emozionandoci in mezzo al silenzio di un bosco o al rumore del mare che parla, sussurra, urla. Un mare che sputa fuori corpi che quelli che cercano acqua su Marte non conoscono e quelli che vogliono il ponte non vogliono neppure vedere.

 Ma questa è altra storia.  

 

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