Pensieri pubblicati su Spagine.it il 4 dicembre
scorso .
Ascoltavo Il violinista sul tetto
magistralmente cantata da Roberto Vecchioni e Teresa De Sio dopo aver letto Tornare
alla poesia civile di Mauro Marino.
E’ stato un continuum di pensieri e
riflessioni. Vecchioni ha accompagnato miei tempi apparentemente lontani, ma si
sa, negli anziani il passato è poco più dell’oggi. Un po’ triste, un po’
“professore”, aveva lo spudorato vizio di dire le cose che io pensavo. Ovviamente
era solo un pensiero trasversale a generazioni simili, con simili esperienze,
sogni, speranze, disillusioni e delusioni cocenti.
Con Mauro invece la storia è diversa, prima di precipitare
in Salento dal brumoso nord non lo conoscevo proprio, con il tempo e con una
frequentazione neppure troppo intensa è stato per me maestro insostituibile. Mi
ha insegnato, a sua insaputa forse, uno sguardo meno sospettoso sulla poesia e
sui poeti, mi ha fatto conoscere la pacata serenità di pensiero, pur in una coerenza spinta oltre l’oltre, come si
conviene alle persone per bene e sicure del proprio pensiero e dei propri
dubbi.
Insomma, a modo loro due persone, due artisti (poeti) che mi
hanno accompagnato in persorsi di ri/conoscenza, pur non essendo riusciti a
dirimere dubbi e disilluse storie personali, sociali, politiche. Dove il
personale e il politico, come si diceva un tempo lontano, sono fusi. Coerenza
anche questa? Forse, o forse solo confusione.
In periodo di pandemia poi certi pensieri avvolgono e la
vita dietro le mascherine è, se possibile, ancora più nuda. In fretta abbiamo
imparato a camminare per strada riconoscendo l’altro non per un sorriso, ma per
lo sguardo, gli occhi parlano, il resto è celato. Un nuovo modo di leggere i
sorrisi nascosti e le ansie celate.
Il fatto è che sento che molti di noi di quel tempo andato
in cui il personale era politico e il politico era il tutto, come il tutto era
la sicura speranza (ossimoro) che il mondo sarebbe stato migliore e che così
com’è non poteva funzionare, si sono trovati dai grandi sogni che erano
necessità a fare “i violinisti sul tetto”, dopo una lunga serie di sogni
rivoluzionari, di cambiamento del mondo, ancora si trovano ancorati a quel
destino che è:
Stare sopra il tetto a
sonà il violino,
Dillo a babbo, dillo
alle sorelle
Se nessuno sente, sòno
per le stelle;
Dillo a babbo, dillo
alle sorelle
Sòno per me solo, sòno
per le stelle.
Eh si, perché pare di essere i soliti rompipalle legati ad
un passato remoto quando diciamo che non siamo in grado di comprendere che quei
maledetti ventisei miliardi di euro bruciati per spese militari potrebbero
essere utilizzati per costruire reparti per combattere il covid o banchi per le
scuole, con o senza rotelle poco importa, basta che siano scuole che non
cascano al primo alito di vento. Macchè, stiamo su un tetto a suonare il
violino e se nessuno sente chi se ne frega “suono per me solo, suono per le
stelle”.
No, non siamo in grado di comprendere come mai un governo
intero, non certo un solo ministro, forse il più indecente, certo, ma non da
solo, possa tenere in mare pochi immigrati rischiando di farli crepare nel
cimitero più grande del mondo che è il mare nostrum.
Certo, siamo solo piccoli ed inutili violinisti sul tetto,
pieni di nostalgia per quando gli anni erano meno, i capelli erano neri, i
pugni erano alzati e pensavamo di fare una rivoluzione che era solo nel
desiderio di pochi illusi. Siamo sul tetto e mica possiamo comprendere la
politica “alta”, quella che porta al dialogo con pari dignità un ministro e un
condannato in via definitiva e con decine di procedimenti in corso.
Per questo leggo Mauro che scrive della necessità (forse per
scendere dal tetto?) di
Tornare alla poesia
civile
se mai ce ne fossimo
distaccati.
Se avessimo mai
pensato che
la poesia è cosa
estranea
alla realtà.
Tornare alla parola
politica
allo sprezzo se
necessario
al calibro delle
parole utili
alla necessità.
Alla carne, al dettato
della terra.
Nell’angolo storto del
sentire
trovare il giusto
ritmo
il respiro per la
corsa.
Che sia generosa
nell’accogliere
attenta nel salto
nell’accompagnare il
senso
alla certezza della
voce.
Insomma, Mauro che frusta i violinisti sul tetto, e dice di
riprendersi in mano la poesia, e trasformarla da sogno in necessità per
cambiare.
Leggo in queste pagine acute riflessioni di Marcello Buttazzo,
che critica, guarda e non nasconde stupore per le cose del mondo. Marcello,
anche lui poeta capace di suonare il violino sul tetto, ma di scendere a terra
quando scrive altro. Sta in mezzo agli accadimenti come Mauro. Ma tutti, forse,
abbiamo in comune l’appartenere a quelle persone che veramente non comprendono
troppe cose. Neppure la caparbia tenacia, non invidiabile, di chi non ha mai
dubbi sul come fare a risolvere ogni cosa. Dal rubinetto che perde alla crisi
medioorientale alle beghe di governi locali, alle pandemie.
Quelli che parlano di filosofia con fare deciso e credono di
avere una ricetta pronta per tutto. Questi sono violinisti sul tetto peggiori,
hanno violini scordati e con corde rotte, e forse neppure sanno leggere lo
spartito.
Perché il dubbio è la strada che consente di suonare e fra
un’aria e l’altra tentare di guardare sotto, e scoprire, magari, che oltre le
stelle sopra, ci stanno due ragazzini che hanno sentito le note e che si
fermano ad ascoltare e si siedono in terra, pantaloncini corti, magliette a
righe, e , chissà, forse un altro poeta potrà scrivere un giorno che “il mondo
salvato dai ragazzini” è una realtà.
Ringrazio Mauro, Roberto e ovviamente l’amico Marcello. Ah,
grazie anche a Elsa Morante.