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lunedì 21 dicembre 2020

"il mondo salvato dai ragazzini" sia realtà

 

Pensieri pubblicati su Spagine.it il 4 dicembre scorso .

 

Ascoltavo Il violinista sul tetto magistralmente cantata da Roberto Vecchioni e Teresa De Sio dopo aver letto Tornare alla poesia civile  di Mauro Marino. E’  stato un continuum di pensieri e riflessioni. Vecchioni ha accompagnato miei tempi apparentemente lontani, ma si sa, negli anziani il passato è poco più dell’oggi. Un po’ triste, un po’ “professore”, aveva lo spudorato vizio di dire le cose che io pensavo. Ovviamente era solo un pensiero trasversale a generazioni simili, con simili esperienze, sogni, speranze, disillusioni e delusioni cocenti.

Con Mauro invece la storia è diversa, prima di precipitare in Salento dal brumoso nord non lo conoscevo proprio, con il tempo e con una frequentazione neppure troppo intensa è stato per me maestro insostituibile. Mi ha insegnato, a sua insaputa forse, uno sguardo meno sospettoso sulla poesia e sui poeti, mi ha fatto conoscere la pacata serenità di pensiero, pur in una  coerenza spinta oltre l’oltre, come si conviene alle persone per bene e sicure del proprio pensiero e dei propri dubbi.

Insomma, a modo loro due persone, due artisti (poeti) che mi hanno accompagnato in persorsi di ri/conoscenza, pur non essendo riusciti a dirimere dubbi e disilluse storie personali, sociali, politiche. Dove il personale e il politico, come si diceva un tempo lontano, sono fusi. Coerenza anche questa? Forse, o forse solo confusione.

In periodo di pandemia poi certi pensieri avvolgono e la vita dietro le mascherine è, se possibile, ancora più nuda. In fretta abbiamo imparato a camminare per strada riconoscendo l’altro non per un sorriso, ma per lo sguardo, gli occhi parlano, il resto è celato. Un nuovo modo di leggere i sorrisi nascosti e le ansie celate.

Il fatto è che sento che molti di noi di quel tempo andato in cui il personale era politico e il politico era il tutto, come il tutto era la sicura speranza (ossimoro) che il mondo sarebbe stato migliore e che così com’è non poteva funzionare, si sono trovati dai grandi sogni che erano necessità a fare “i violinisti sul tetto”, dopo una lunga serie di sogni rivoluzionari, di cambiamento del mondo, ancora si trovano ancorati a quel destino che è:

 

Stare sopra il tetto a sonà il violino,

Dillo a babbo, dillo alle sorelle

Se nessuno sente, sòno per le stelle;

Dillo a babbo, dillo alle sorelle

Sòno per me solo, sòno per le stelle.

 

Eh si, perché pare di essere i soliti rompipalle legati ad un passato remoto quando diciamo che non siamo in grado di comprendere che quei maledetti ventisei miliardi di euro bruciati per spese militari potrebbero essere utilizzati per costruire reparti per combattere il covid o banchi per le scuole, con o senza rotelle poco importa, basta che siano scuole che non cascano al primo alito di vento. Macchè, stiamo su un tetto a suonare il violino e se nessuno sente chi se ne frega “suono per me solo, suono per le stelle”.

No, non siamo in grado di comprendere come mai un governo intero, non certo un solo ministro, forse il più indecente, certo, ma non da solo, possa tenere in mare pochi immigrati rischiando di farli crepare nel cimitero più grande del mondo che è il mare nostrum.

Certo, siamo solo piccoli ed inutili violinisti sul tetto, pieni di nostalgia per quando gli anni erano meno, i capelli erano neri, i pugni erano alzati e pensavamo di fare una rivoluzione che era solo nel desiderio di pochi illusi. Siamo sul tetto e mica possiamo comprendere la politica “alta”, quella che porta al dialogo con pari dignità un ministro e un condannato in via definitiva e con decine di procedimenti in corso.

Per questo leggo Mauro che scrive della necessità (forse per scendere dal tetto?) di

 

Tornare alla poesia civile

se mai ce ne fossimo distaccati.

Se avessimo mai pensato che

la poesia è cosa estranea

alla realtà.

Tornare alla parola politica

allo sprezzo se necessario

al calibro delle parole utili

alla necessità.

Alla carne, al dettato della terra.

Nell’angolo storto del sentire

trovare il giusto ritmo

il respiro per la corsa.

Che sia generosa

nell’accogliere

attenta nel salto

nell’accompagnare il senso

alla certezza della voce.

 

Insomma, Mauro che frusta i violinisti sul tetto, e dice di riprendersi in mano la poesia, e trasformarla da sogno in necessità per cambiare.

Leggo in queste pagine acute riflessioni di Marcello Buttazzo, che critica, guarda e non nasconde stupore per le cose del mondo. Marcello, anche lui poeta capace di suonare il violino sul tetto, ma di scendere a terra quando scrive altro. Sta in mezzo agli accadimenti come Mauro. Ma tutti, forse, abbiamo in comune l’appartenere a quelle persone che veramente non comprendono troppe cose. Neppure la caparbia tenacia, non invidiabile, di chi non ha mai dubbi sul come fare a risolvere ogni cosa. Dal rubinetto che perde alla crisi medioorientale alle beghe di governi locali, alle pandemie.

Quelli che parlano di filosofia con fare deciso e credono di avere una ricetta pronta per tutto. Questi sono violinisti sul tetto peggiori, hanno violini scordati e con corde rotte, e forse neppure sanno leggere lo spartito.

Perché il dubbio è la strada che consente di suonare e fra un’aria e l’altra tentare di guardare sotto, e scoprire, magari, che oltre le stelle sopra, ci stanno due ragazzini che hanno sentito le note e che si fermano ad ascoltare e si siedono in terra, pantaloncini corti, magliette a righe, e , chissà, forse un altro poeta potrà scrivere un giorno che “il mondo salvato dai ragazzini” è una realtà.

Ringrazio Mauro, Roberto e ovviamente l’amico Marcello. Ah, grazie anche a Elsa Morante.