Siamo quindi arrivati alla quarta settimana di costrizione in
casa. Abbiamo sperimentato l’ansia da attesa di un nemico invisibile, quella
procurata da fake news che arrivano da ogni dove. E le ansie da persistente ed
obbligata convivenza che, se pur normale e consueta e scelta, con l'obbligo può diventare in alcuni attimi diversa.
Però ci sono aspetti altri, quelli che ci ricorderemo con
nostalgia quando la vita riprenderà. Parlo dei silenzi della città, delle code
tranquille e composte davanti ai pochi negozi aperti, dell’irreale ed
inimmaginabile città desertificata, senza traffico. Parlo del canto dei passeri
la mattina, dell’abbaiare lontano di un cane, delle voci di due passanti sul
marciapiedi sentite nitidamente dal quinto piano (con tutta evidenza due fuorilegge, non si può camminare appaiati), dell’aria che si respira con più
facilità, privata della dose massiccia di inquinanti a cui eravamo assuefatti.
Parlo di un tempo riconquistato a pensarsi o ripensarsi, e della nostalgia del
mare che non mi è dato raggiungere perché vietato. E paradossalmente, ci si
sente più adesso di prima con persone care molto lontane, sfruttando ogni
strumento informatico e di comunicazione a disposizione. Sembra che tutto, nel
dramma della mortalità per il maledetto virus, si sia ridimensionato, sia
tornato a costringerci a ripensarci “umani” nel senso più alto del termine. Non
strumenti per produrre, code scomposte alla posta e altrove, auto che vanno
ovunque e chissà dove, moto rombanti alle due di notte. Ora i semafori che
cambiano colore per nessuno nel silenzio fanno quasi tenerezza. Anche la falce
di luna è più pulita, limpida.
Sentimenti e sensazioni contrastanti insomma, paura, ansia,
pacatezza abitudini mutate, meno necessità e bisogni indotti da una vita dai
ritmi convulsi, tempi molto più dilatati. L’impressione è che ci si lasci
cullare dai pensieri e, si auspica, da un ripensamento globale del nostro
rapporto con l’ambiente, con lo sguardo alle cose minime, con i rapporti umani.
Certo, tutto sarà difficilissimo quando usciremo da questo
dramma, lo slancio umanitario che fa si che tutti, in qualche modo, pensiamo ed
agiamo per solidarizzare con i troppi in povertà assoluta, i lavoratori precari
rimasti senza un reddito sia pur minimo, gli immigrati che non possono più
vendere accendini ai passanti perché sono spariti i passanti, e perché
verrebbero multati se sorpresi in giro. Sarà difficilissimo riportare la sanità
a livelli di eccellenza dopo decenni di idiote privatizzazioni, la Lombardia è
l’esempio lampante della devastazione del servizio di sanità generalizzata a
favore di pochi (e corruttori) privati. Rivendicano l’autonomia completa e
vanno a pietire dallo stato centrale quando si rendono conto, senza mai
ammetterlo, di avere fatto carne da macello di medici, infermieri e personale
sanitario in genere.
Sarà tutto difficile ma occorrerà veramente fare sforzi
immensi per trattenere il meglio di questa emergenza, e per far si che il
peggio migliori poco a poco.
Una città deserta può fare paura, può terrorizzare, ma una
città vivibile, senza traffico, con persone che camminano senza mascherine e
magari tornano a sorridere, che si abbracciano quando si incontrano, è un
traguardo da raggiungere anche dopo. Come è da ripensare la gestione della
cultura che avvicina le persone, ridare vita nuova e nuovo respiro alla
bellezza intesa nel senso più ampio, dai musei alle chiese, al paesaggio, dai
teatri ai cinema alle biblioteche. Tutto a misura d’uomo, tutto “basso” e non
levitato in un oltre riservato a pochi eletti (sedicenti eletti). Per fare questo passaggio è però indispensabile una politica che faccia la sua parte e che faccia l'impossibile per meritarsi la fiducia degli elettori. Ad ogni livello, dal piccolo Comune allo Stato centrale.