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sabato 28 dicembre 2019

Cartoline dal Salento



Nei primi giorni del 2020 sarà in alcune librerie "Cartoline dal Salento".

Pensieri e parole in libertà, Cartoline dal Salento. Questi i titoli che potrebbero definire i bozzetti di Gianni Ferraris apparsi, un po’ di anni fa, su il Paese Nuovo di Lecce, ed. cartacea, su Fondazione Terra D’Otranto (www.fondazioneterradotranto.it) e sulla pagina on line di Città Futura di Alessandria (www.cittafutura.al.it), un’esperienza che gli ha permesso di mettere radici nel Salento e, al contempo, di mantenere i contatti con Solero (Alessandria), sua città di origine.
(Fernanda Franchini - Con gli occhi del “forestiero”  )

…Ecco perché ho trovato decisivo che Gianni abbia scritto Elio (Spagine Edizioni, 2016). Un libro autobiografico, che ha permesso di dar voce a quell’urgenza di manifestare pubblicamente quell’amore e il ricordo che Gianni portava dentro di sé per la triste e rivoluzionaria vicenda del fratello, ma che ha permesso di raccontare, con occhi di uno “straniero” venuto da un piccolo borgo piemontese, il Salento. Tornando ad oggi, quando Gianni mi ha parlato di voler raccogliere ed organizzare alcune sue riflessioni, contenute in questa raccolta, sono stato felice di leggerle. Sono, di fatto, la naturale conseguenza del suo eterno “osservare” e la conclusione di alcune parti delsuo precedente lavoro. (Diego Dantes – Del cuore e dell’eterno osservare)

Farsi “prestare” gli occhi trovo sia sempre un esercizio utile. Affinare la propria sensibilità puoi farlo solo cambiando il punto di vista accogliendo quello dell’altro - scardinando le convinzioni sedimentate, le con-suetudini, la scontata adesione alle “cose”, al quotidiano, alla Terra, alle particolarità che, sempre di più, diventano impiccio identitario. E, allora, cosa c’è di meglio che la scrittura per aderire allo “sguardo dell’altro”? (Mauro Marino - Farsi prestare gli occhi )

Sono tre spezzoni delle note di lettura che precedono “Cartoline dal Salento” e delle quali, quasi commosso, ringrazio gli autori. Così come non posso che inchinarmi al maestro Giancarlo Montelli per la meravigliosa copertina che sintetizza in gesti che solo un maestro può rappresentare, il Salento plurale. Quello della cultura, del lavoro, della natura, dell’arte. 
E poi ci sono i pezzi messi assieme in un collage non cronologico, ma quasi casuale. Pensieri e parole che venivano fuori guardandomi attorno, spesso meditate, molto spesso istintive, e che comunque hanno un sottofondo comune, il “clima” che le ha provocate. La luce del Salento, i ghirigori del barocco, gli uliveti ahimè ora sofferenti, le lune, molte lune, appoggiate sul mare. Insomma, senza Salento sarebbero state altre parole.

giovedì 26 dicembre 2019

Impressioni di un Natale

Rieccoci, ogni anno arriva il Natale, festa religiosa per molti, festa e basta per altri. E' comunque un periodo in cui tornano ricordi, rimpianti, riavvicinamenti, pranzi e cene, regali cercati o improvvisati, ringraziamenti, persone che non vedi da un anno che incontri e ti dicono "a te e famiglia". In fondo è un fine anno, e speranza in quello che arriva. Però più si avanza con l'età, più ci si rende conto che non cambia una cippa. E si ricomincia. Però gli auguri si fanno col cuore spesso, e con un pò di tristezza per un passato remoto che profumava di mandarini e cucina e che scandiva l'infanzia. 
A Natale si torna anche a d Alessandria, città, confesso, tristanzuola  e buia. Ci si scontra con l'inverosimile vero. Negozi chiusi, poche luminarie, illuminazione pubblica scarsa, percorri una nota via del centro, San Giacono della Vittoria si chiama, e ti rendi conto che i pedoni non riescono a camminare perchè è aperta al traffico automobilistico che a sua volta è intasato e fermo. I pochi avventurosi che osano si accendono una sigaretta perchè è idiota farsi avvelenare dagli scarichi delle auto e non provvedere da sè a inquinarsi. Gente in giro ala vigilia di Natale se ne vede, però l'impressione di una città spenta rimane. Unici momenti di gioia sono i volti dei bimbi. 
E va bene così, appena fuori città, nel primo Monferrato, il panorama è da emozione fortissima, cielo terso, le Alpi in fondo, e sotto la collina nebbiolina, silenzio attorno mentre cammino, sembra un mondo altro, diverso. Un fuori dal mondo. Sono i luoghi in cui si andava per farsi una camminata e parlare, o semplicemente per guardare le stelle. La tranquillità delle colline, dei paesi, dei campanili che guardano da lontano. E buon anno a tutti quanti allora. 

giovedì 10 ottobre 2019

Al Fondo Verri


Ci sono luoghi in cui l’oscurità abbaglia. La parete è nera, la porta è normale, non grande né piccola, però quando entri al Fondo Verri  puoi incontrare un sorriso, un poeta, molti poeti, un cantautore, molti cantautori. Là dentro respiri profumo di carta e di rabbia. La carta di libri che spuntano ovunque, la rabbia del poeta che scolpisce parole, rabbia e dolcezza, tristezza e gioia di vivere.  Quello che affascina e ammalia è dietro quella porta, appartato quasi fosse l’eccesiva timidezza a tenerlo seminascosto.



Eppure l’indirizzo è di quelli roboanti, Santa Maria Del Paradiso si chiama la via. La Donna (Ma/Donna) per eccellenza, la sintesi di ogni bontà, l’intermediaria fra l’umano e il grande timoniere lassù, la madre che sacrificò la sua stessa maternità, forse senza rendersene conto.   Uno di quei nomi che dovrebbero far venire la pelle d’oca al solo pronunciarlo. Per chi ha la fortuna o la ventura di avere una fede, ma anche per chi non crede. Perché Maria è emblema, a prescindere da tutto, è una non divinità quasi laica.
E proprio in questa viuzza, piccola, a pochi metri dalla maestosa porta Rudiae, una delle tre porte di lecce, quella con Oronzo che benedice da lassù il viandante che va, il turista che arriva, che saluta chi parte, e pensare che un giorno lontano le porte erano quattro, poi una scomparve, peccato.
Là dentro, fra libri, poemi e computer, Piero e Mauro lavorano, salutano chi entra, quattro chiacchere, un caffè se capita, in attesa dei poeti e degli scrittori spesso senza nomi altisonanti, perché la scrittura è vita, le parole che si inseguono sui fogli sono essenziali per comprendere l’inverosimile vero di politica, amore, gioia di vivere, fatica di vivere…
E poi… e poi basta così, grazie a Piero e Mauro per tenere caparbiamente vivo un luogo del sapere e del parlare. Soprattutto dell’ascolto.   

Fondo Verri Via Santa Maria Del Paradiso, Lecce

lunedì 7 ottobre 2019

Abbigliamento low coast, a chi conviene?


C’è sempre molta clientela nei negozio di alcuni marchi di abbigliamento, uniscono una buona campagna pubblicitaria a prezzi decisamente concorrenziali. E quando i prezzi sono bassi, molto bassi, ci si deve chiedere il motivo. Ovviamente la qualità è decisamente al ribasso, sia come materia prima e tessuti, sia per gli additivi chimici utilizzati. Il fatto che una enorme percentuale della produzione di questi capi sia fatta in paesi che non hanno controlli sull’ambiente, sulla qualità del lavoro e la sua sicurezza, la dice lunga. Molta produzione è in paesi come India, Etiopia, Bangladesh, Romania e altri paesi dell’est Europa che chiudono due  occhi su tutto pur mi mantenere un eccellente livello (questo si) di corruzione e malavita. In questi luoghi si può tranquillamente inquinare, scaricare nei fiumi, non garantire livelli minimi di tutela del lavoro e dei lavoratori.
Succede quasi sempre, in questi luoghi, che i lavoratori debbano fare dalle 12 alle 16 ore al giorno, 7 giorni su 7, per raggiungere livelli minimi di salario indispensabile per la sussistenza.

La lista dei marchi che non garantiscono salari minimi, secondo un’inchiesta di  greenme.it è questa:
Adidas,
Amazon,
C&A,
Decathlon,
Fruit of the Loom,
Gap,
G-Star RAW,
H&M,
Hugo Boss,
Inditex,
Levi’s,
Nike,
Primark,
Puma,
PVH,
Tchibo,
Under Armour,
Uniqlo (Fast retailing),
Zalando
Sempre secondo la stesa inchiesta:
In Bangladesh i salari minimi sono meno di un quarto del salario che consente la sussistenza. La situazione appare simile in Etiopia e addirittura peggiore in Romania e in numerosi altri paesi dell’Europa orientale, dove gli stipendi sono pari a un sesto del salario di sussistenza.

Ala fine ci si chiede se vale la pena di risparmiare consentendo a queste aziende fuorilegge arricchimenti senza limiti, e soprattutto senza etica. La politica di queste aziende collima con quella delle mafie che agiscono nel commercio: garantirsi il massimo guadagno  passando sulla testa della legalità, scavalcando regole e norme, mettendo la vita umana al livello più basso dell’interesse. Lavoratori che per sopravvivere sono disposti a qualunque sacrifico sono milioni in quei paesi, lo Stato molto spesso non esiste.




mercoledì 18 settembre 2019

Buon compleanno Mauro!!!!


Facebook (ah non ci fosse Facebook) mi fa sapere di prima mattina anche i compleanni degli amici. Però facciamo la tara, gli amici di Facebook sono tutti amici? A volte, spesso, sono solo più o meno dignitose conoscenze casuali, quelle persone che magari non si ha mai avuto l’occasione di guardare negli occhi bevendo un caffè o un bicchiere di vino, ma tant'è, siamo amici sul social. A volte si condividono pensieri, molto più spesso ci si ignora con signorilità.
Oggi però è il 18 settembre, e il compleanno che compare non è uno qualunque, è di Mauro. Chi è Mauro? Difficoltoso e arduo descriverne la leggerezza, la pacatezza, il pensiero sicuro e caparbiamente determinato, difficile dire di quall'aria vagamente sognante.

In questa mia seconda vita in Salento è stato uno degli incontri che più mi hanno segnato, accompagnato. Forse, anzi, sicuramente è uno dei motivi per cui ho potuto scegliere il Salento tralasciandone tutte le contraddizioni, le porcate, le nefandezze e guardandone le parti migliori, quelle dell’arte, della poesia, del’ironia. Perché Mauro ama la poesia e l'ironia esattamente come ama la vita, perché ama il teatro e insegna a persone che hanno qualche disagio come sopravvivere nel mare in tempesta con il teatro e con la parola scritta.
Perché Mauro è una di quelle persone alle quali penso quando non riesco a decifrare l’irreale realtà di questi e di altri giorni, mi arrovello, alla fine, spesso, mi chiedo “chissà che ne penserebbe Mauro”.
E so che la prima cosa sarebbe un sorriso, magari timido, e poi qualche silenzio pieno di cose dette.
E’ vero, non ci vediamo molto, la vecchiaia mi rende pigro, però… già, però Mauro c’è.
Auguri Mauro, buona vita.

venerdì 30 agosto 2019

Estate, autunno, inverno


Agosto se ne va, si porta dietro un’estate afosa e bizzarra, mare, dialisi, non mangiare questo, non mangiare quello, e ancora mare e poi un governo che cade, uno che si forma per ricadere fra qualche mese. Un girotondo istituzionale in pratica. Estate calda come mi piace, quando il sole ti avvolge e il mare ti accoglie come liquido fetale, mentre i ragazzi camminano in città, ridono, scherzano, sono seri. Mentre passa quella con un seno prorompente e loro guardano facendo finta di guardare altrove. E’ passata anche la festa del santo patrono, con le bancarelle, le luminarie, Bennato in concerto il sindaco in proceessione con gl iassessori, i papaveri alti alti che camminano dietro la statua del santo che nel frattempo è sceso dalla sua colonna per fare lifting. E i ristoranti sono pieni, e sono piene di depliant le buche delle lettere, e il postino che un tempo portava lettere d’amore ora è travolto dalla e - mail e porta solo bollette. Un tempo lo aspettavo con ansia e lui mi urlava per strada “Gianni, è arrivata”, con buona pace della privacy. Però avevo 18 anni, chi se ne fregava della privacy. Un tempo, ora lo si vede da lontano e si dice “cazzo, arriva”, e fai finta di guardare altrove come i ragazzi fanno con quella col seno prorompente. Però lei se ne va, il postino è inesorabile, arriva e basta.
Ricordi di campagne assolate in Piemonte quando nel primo pomeriggio si andava in bicicletta verso Tanaro, detto Beach, con Carlone e il suo mangiadischi e tutto l’armamentario da spiaggia come fosse un mare. E mosche e tafani e zanzare, ma chi se ne fregava allora, eravamo ragazzi, si pedalava sotto il sole delle 14 per un paio di Km su strade sterrate, e quando passavano i grandi in auto sollevavano un polverone che rimaneva sospeso nell’aria un tempo infinito perché non c’era un alito di vento. Ma si andava e si spiava quella più carina. Di solito era un folle amore platonico adolescenziale, poi passava in settembre.
Eggià, passa l’estate calda e afosa, ci aspetta un lunghissimo, infinito autunnoinverno magari senza nebbia, ma con molte rotture di scatole. E, diciamolo, al Natale preferisco il ferragosto. Meno panettoni, meno volemose bene, ma sguardi oltre il mare.


venerdì 19 luglio 2019

Ciao Andrea


E sia, Andrea Camilleri se ne è andato. Di lui rimangono migliaia di pagine scritte che da vent'anni mi accompagnano. Fu un suo conterraneo, Corrado, a farmelo scoprire. Corrado viveva ad Alessandria, poi è tornato a Noto che è la sua terra, ed è la terra di Camilleri, un giorno mi disse “leggiti questo Camilleri, è bravino”, comprai “La concessione del telefono”e fu amore immediato. Da allora Montalbano fa parte della mia vita, Vigàta è un paese che conosco, la vitalità democratica di Camilleri e la sua capacità affabulatoria sono entrate nel dire di ogni giorno. E’ strano come un libro, o una serie di libri, arrivino a far parte del tuo vivere quotidiano, ed è strano come quando il libro finisce ti venga a mancare, così succede che a volte rileggi cose già lette. Solo che l’ultimo romanzo con Montalbano non mi riesce di finirlo, perché Camilleri se ne è andato quando ero agli ultimi capitoli ed io fatico a pensare che non ne leggerò più di nuovi, è un lento addio, una mano che non riesco a lasciare andare.
E’ difficile per un non credente immaginare un aldilà, se però esistesse, ora se ne sta con Sciascia, De Crescenzo e con i pensatori liberi che ci hanno insegnato a vivere e sopravvivere.
E probabilmente sta in un luogo dove fumare non fa male, dove le sigarette le regalano, perché senza lui non sapeva stare. Adieu Andrea, rileggerò i tuoi libri con affetto. Adieu e grazie.  

martedì 18 giugno 2019

trame, servizi deviati e Pino Pinelli che cade giù



Cinquanta anni fa mentre ancora erano in corso  i funerali delle vittime della strage di Piazza Fontana un innocente moriva durante un interrogatorio nella Questura di Milano. Il ferroviere quarantunenne Giuseppe Pinelli, anarchico,  bersaglio di una ignobile montatura che cercava di nascondere i veri responsabili dello stragismo fascista, cadeva dal quarto piano della Questura. “Vittima due volte – così lo ha ricordato il presidente Napolitano nel 2009 durante la Giornata per le vittime del terrorismo- , prima di pesantissimi infondati sospetti e poi di un’improvvisa, assurda fine”.

Nessuno ha pagato per questa scia di morti che ha trasformato l’Italia inaugurando una lunga stagione di stragi e di attentati alla democrazia. Ma chi c’era davvero  in quelle ore nella Questura di Milano?
Parte da questo assunto lo straordinario libro di Paolo Brogi “Pinelli, l’innocente che cadde giù” – dalle carte sugli affari riservati nuova luce su depistaggi e montature-. Furono tempi cupi, quelli in cui i movimenti con venature ancora naif, spontanee, lontani dalle parole della politica politicante, persero l’innocenza. Il 12 dicembre 1969 e le bombe alla banca di piazza Fontana furono la cesura netta fra la voglia quasi goliardica  di voler cambiare il mondo e il tuffo in una realtà fatta di morti, bombe, di Pino Pinelli che cascò dal quarto piano della questura di Milano mentre era in corso il suo interrogatorio basato sul nulla, o meglio sulla pista prefabbricata da una dozzina di “fantasmi” che arrivarono alla questura di Milano direttamente da Roma, erano gli uomini degli affari riservati. Questi presero possesso degli uffici e, sapremo più tardi “Russomanno (capo di questa truttura) parte in tutta fretta da Roma e a Milano scende con l’altro alto funzionario Francesco D’Agostino all’hotel Aosta, in piazza della Stazione. I due soggiornano lì a spese dello stato per parecchi giorni. E arrivano avendo in tasca, come riferisce Francesco D’Agostino, “la lista degli anarchici”. D’Agostino dice di essere arrivato il 13, Russomanno ai magistrati oscillerà tra il 13 e il 14, più tardi a un giornalista che lo intervista nel 2001 dirà sorridendo che è arrivato la sera stessa del 12...”
E chissà perché nessuno lesse i giornali dei giorni precedenti, quelli inglesi in particolare, ripresi in Italia solo ed esclusivamente da L’Unità, L’Espresso e Paese Nuovo.
Il 6 dicembre del 1969 il “Guardian” era uscito con un reportage investigativo firmato da Leslie Finer. Lo stesso giorno anche l’ “Observer” domenicale aveva fatto importanti rivelazioni sulle bombe del 25 aprile.
Cosa aveva rivelato il “Guardian” con quell’articolo intitolato “Greek advice for a coup in Italy”?
Intanto l’autore: Leslie Finer, al quale si deve l’introduzione nel nostro vocabolario politico del concetto di “Strategy of tension”, strategia della tensione, varato proprio in quel dicembre, era all’epoca il più autorevole giornalista europeo che si occupasse della Grecia, paese dove trascorreva buona parte del suo tempo. Finer era un giornalista molto introdotto ad Atene.
Ed era così che era entrato in possesso di una fotocopia della lettera di un alto funzionario del Ministero degli esteri greco (della Giunta militare dei colonnelli), il direttore Michail Kottakis, destinata all'ambasciatore greco a Roma, Pompouras. Nella lettera si riferiva di incontri tra esponenti dei movimenti neofascisti italiani (in particolare un non identificato esponente chiamato in codice «P») ed esponenti della Giunta militare. Nella lettera si diceva che i fascisti italiani stavano cercando di realizzare un colpo di Stato per portare la destra al potere anche in Italia. E si riferiva di attentati preparatori come quelli dell’aprile a Milano alla Fiera Campionaria. Nella lettera il funzionario del ministero si raccomandava con l'ambasciatore perché non venissero alla luce possibili collegamenti tra le autorità greche e l'operato degli «amici italiani», consigliando che questi venissero invitati a cercare assistenza tramite rappresentanze greche non ufficiali.
Ancora più forte la rivelazione dell’ “Observer” del 7 dicembre, che “Paese Sera” riprendeva con il titolo di apertura in prima pagina;: “I colonnelli greci tramano con i fascisti e con il “sig. P” per “un colpo alla greca” in Italia”
Poi nel servizio a pagina 13 il sottotitolo di “Paese Sera” era “La più clamorosa rivelazione dei giornali inglesi riguarda l’attentato dinamitardo  alla Fiera di Milano contro lo Stand della Fiat – I documenti pubblicati indicano che la bomba fu fatta esplodere da fascisti greci e italiani”.
“Paese Sera” riferiva dunque dei contatti tra i fascisti italiani e greci, che secondo il “Guardian” si erano concretizzati in un summit tra il “sig. P” e il capo della giunta Papadopoulos affiancato da Lados. Quest’ultimo aveva detto che per un golpe in Italia bisognava puntare sui dirigenti della polizia.
Un lavoro di inchiesta quello di Brogi, che riporta le testimonianze di Claudia e Silvia, le due figliole di Pino Pinelli che all’epoca dei fatti avevano 8 ed 9 anni e che parlano di quei giorni e di tutta la loro vita futura incredibilmente segnata dal dramma di un padre innocente “caduto” da una finestra, di processi, fango e riabilitazione, lapidi affisse, tolte, cambiate.
Un libro che vale la pena leggere per la ricchezza di informazioni tratte da archivi desecretati, testimonianze e resoconti puntuali e precisi, e che, per chi quei tempi ha vissuto, testimoniano il pantano in cui la Democrazia stava per cadere per mano di servizi segreti deviati, l’ombra della massoneria, una guerra fredda che consentiva ad agenti statunitensi di fare arrivare esplosivo a gruppi neofascisti italiani, e un gruppetto di anarchici, colpevoli di pacifismo, venissero additati da tutti i giornali come i più pericolosi estremisti e stragisti. Unanime fu il lancio il giorno successivo all’arresto di Pietro Valpreda, “un ballerino dall’oscuro passato” titolò l’Unità. Però abbiamo avuto la fortuna di essere in una Democrazia solida nonostante tutto, e di aver avuto altri giornalisti, una su tutti Camilla Cederna, poi i ragazzi che fecero un libricino/inchiesta autoprodotto intitolato “La Strage di Stato” in cui si tiravano alcune somme,   che ci aprirono gli occhi da subito.  

Paolo Brogi
Pinelli, l’innocente che cadde giù
Maggio 2019, Castelvecchi editore
pp. 160, euro 17,50
  
Paolo Brogi, giornalista e scrittore. Ha lavorato a Lotta Continua, Reporter, l’Europeo, Paese sera. Tra i suoi ultimi libri “La lunga notte dei Mille”, “Eroi e poveri diavoli della Grande Guerra”, “68, ce n’est qu’un début”.















domenica 2 giugno 2019

primavera, salvini e varia umanità


Stranezze in questa finta primavera. Piove, non piove, maglione, t-shirt, mare, non mare. Insomma, c’è molta confusione meteorologica, però sembra che si rifletta anche nella vita quotidiana.


Qualcuno, un vicecapo del governo, vuole eliminare il codice degli appalti per due anni. La chiama moratoria. Lo vuole fare per dare slancio ad un’economia malata.
Ora, lo sanno anche i sassi che appalti e subappalti sono linfa vitale per le mafie e la corruzione. Il principio è che eliminando i controlli tutto funzioni meglio e si creino posti di lavoro. Attenzione, non si parla di rendere più efficaci, veloci, repentini e incisivi i controlli contro la corruzione, ma di eliminarli tout court. Dei nuovi posti di lavoro, moltissimi saranno in nero, o no?
Avete presente i caschetti indossati dagli addetti alle impalcature nei cantieri? Servono come protezione per gli stessi. E se qualcuno, un ministro per esempio, ci venisse a dire “siccome gli addetti perdono 25 secondi per indossarli, per meglio sfruttare il tempo, eliminiamo l’obbligo”, beh, forse qualcuno si stupirebbe. E se, dato per assodata l’evasione fiscale, si decidesse di eliminare gli scontrini obbligatori e le fatture per far meglio lavorare le cassiere?
Stramberie, in effetti, esattamente come quella di chiudere i negozi che vendono cannabis light.  Anche in questo caso, come per gli appalti, a ringraziare saranno le mafie e i narcotrafficanti. Da sempre siamo contro il proibizionismo, e da sempre siamo per una distribuzione controllata, unico strumento per togliere alle mafie il potere assoluto su distribuzione, smercio e controllo di ogni tipo di droghe. La crociata che stanno facendo alcune parti retrograde di magistratura e politica è decisamente antistorica. E bene ha fatto CODACONS a ribattere la palla in campo dell’avversario (avversario del buon senso) proponendo che se di fermare la vendita legale di droghe si parla, allora lo si faccia con il tabacco, che, nei fatti, produce dipendenza e cancro come e più dell’innocua marijuana. Per non dire del gioco d’azzardo, tema che pareva caro a una parte del governo (quella con le stelle), ma che nei fatti dilaga come e più di prima. Anche in questo caso è noto come molte cosche e individui non proprio specchiati controllino case da gioco. Ed è noto come le dipendenze dell’azzardo, il GAP (Gioco d’Azzardo Patologico) sia una delle malattie più devastanti per l’economia domestica di moltissime famiglie e sociale. Tuttavia moltissima politica, da quella nazionale più retriva a quella locale, anche, ahinoi, quella sedicente innovatrice e riformista,  non veda il problema. O non voglia vederlo.
E’ pur vero che non siamo soli nel mondo dell’assurdo. Leggo che negli USA un’associazione pro live, quella contro l’aborto in difesa strenua della vita umana, si pronuncia ferocemente contro l’abolizione della pena di morte. Così è.
Per tornare a noi, occorre prestare molta attenzione a quel che accade, alle parole pronunciate da chi vuole togliere le scorte a giornalisti minacciati di morte, a chi attacca magistratura, giornalisti e opinionisti se “rei” di non essere al servizio del più forte. Soprattutto se questo più forte produce strumenti per agevolare non tanto la ripresa economica, quanto il malaffare e le mafie. Occorre fare attenzione a chi vorrebbe proporre aberrazioni, magari chiamate “decreto sicurezza” in cui si propone una sanzione di 5000 euro per chi (attenzione alle parole) SALVA in mare un immigrato.
A pensar male uno potrebbe dire che i voti costano fatica e amicizie, e che poi queste amicizie hanno necessità di essere alimentate con misure idonee a favorirle. Però noi vogliamo essere positivi, e vogliamo credere ancora al primato della politica e del voto.

mercoledì 22 maggio 2019

Voterò Mauro Marino


E allora siamo arrivati agli ultimi boatos di campagna elettorale. Bella o meno sia stata, ognuno ne giudichi e dica. Però è tempo di tirare le fila di un lavoro faticoso. Il vedere molte persone belle, rispettabili e capaci candidate alle amministrative e il sapere di avere un limite immenso che è quello delle due preferenze massime (in una sola lista e, in caso di doppia scelta, devono essere di sesso diverso, pena l’annullamento delle preferenze stesse), di conseguenza occorre optare non certo per il meno peggio, ma per il meglio.
Personalmente è almeno un decennio che, escludendo referendum e amministrative, non vado a votare. Non lo facevo più perché mancano il pathos e la passione sufficienti. Scelta giusta o sbagliata? Non so, è una scelta che chiedo di rispettare. In questa tornata ci sono anche le elezioni europee, e per  queste voterò.
Il ministro degli interni non nega che queste elezioni saranno un referendum pro o contro di lui. Bene, auspico faccia la fine dell’altro Matteo. Voterò contro Salvini, egualmente sceglierò la persona che ritengo migliore. E siccome ho un ballottaggio in testa fra due candidati entrambi validi, preferisco non dire. La notizia è che romperò il ciclo delle astensioni.
Per la prima volta voterò invece per le amministrative leccesi. Prima ero residente altrove. E’ un privilegio ed un onere non da poco. Un onere perchè scegliere non è stato agile, fra le belle persone che conosco, sparpagliate in più liste,  optare, ho solo due preferenze a disposizione, e questo significa scartare alcuni amici e compagni che reputo stimabilissimi.
E’ un privilegio perché con il voto entro con prepotenza nel girone degli amministrati in una città che ho scelto e che amo e dalla quale mi aspetto molto.
Quando arrivai a Lecce, 15 anni fa, sapevo a malapena che questa città era sulla carta geografica,  mi guardai attorno qualche tempo e scoprii un mondo fatto di accoglienza, curiosità. “Cosa ci fa un piemontese qui?” era la domanda più ricorrente. E scoprii una vitalità difficilmente riscontrabile altrove. Qui si fa cultura, e chi la pratica lo fa con fatica, ma con una costanza che è addirittura commovente. Qui si accoglie, appresi e andai a vedere quella scritta sulla stele di Calimera: «Zeno esù en etiù 's ti Kalimera», «straniero tu non sei qui a Calimera». Ecco, non mi sono mai sentito straniero in questi luoghi,  e veramente non è poca cosa. Nel mio percorso leccese ho avuto incontri che mi hanno aperto la mente e il cuore. Ovviamente ci sono stati anche scazzi, pochi però. Arrivavo da una città che pubblica un trisettimanale ed ha le pagine locali de La Stampa e mi ritrovavo in una città piccola come Alessandria, ma con quattro quotidiani che poi sono diventati tre (con l’on line tutto è cambiato ovviamente, ma ne eravamo agli esordi). E dove si legge c’è vitalità, quando poi incontri per caso forse, o forse per empatia, una persona che stimola la tua curiosità con la sua gentilezza piena di cose da dire e dare, con la pacatezza dei saggi e quella rabbia curiosa di voler far uscire dall’ombra nuovi artisti, del voler caparbiamente portare poesia dove poesia non c’è, nel voler lavorare senza orari facendo cultura o dirigendo un giornale; quando questa persona non solo ti accoglie, ma a volte mette a disagio perché l’impressione che ti stia sopravvalutando è molta, perché ti senti ascoltato, significa che questa vale la pena di spendere un voto, il primo per me, a Lecce.
Voterò convintamente Mauro Marino perchè so cosa pensa, soprattutto perché so che se ha pensieri segreti non posso che condividerli perché così è sempre stato. Il documento programmatico che dice di cultura a Lecce, che ho letto e che dice  che la città è anche il Salento tutto. E poi affido a Mauro la speranza di vedere fiorire non un teatro, ma molte piazze e piazzette nelle sere estive, la voglia di vedere esplodere non solo il centro storico, ma anche luoghi più periferici con costi modesti, perché si può fare, si può uscire dai luoghi deputati alla “cultura” per crearne di nuova, per veder fiorire iniziative.
Non solo lo voterò, conosciamo i meccanismi terrificanti delle elezioni, molti dei (troppi) candidati non verranno eletti, auspico veramente che una persona come Mauro, anche in caso di non elezione, venga ascoltata per creare e portare avanti programmi culturali e non solo, Lecce conosce Mauro e Mauro conosce Lecce come pochi, se questo non è un valore aggiunto...
A presto!!

venerdì 10 maggio 2019

Quando si muore si muore soli...




“…Quando si muore si muore soli…” (F. De Andrè)
Potrebbe essere questa frase il capitolo finale della vita di Angelo. Magistrato in pensione, le sue passeggiate, la sua barca. Sua nel senso più ampio del termine, se l’era costruita pezzo a pezzo, i suoi viaggi in giro per il mondo quando poteva, poi un maledetto insignificante incidente, la rottura del femore che non sapeva guarire. Poi forse il suo chiedersi come mai una vita così intensa dovesse essere tranciata da un osso rotto. Lui che aveva fatto dell’organizzazione della sua vita e di quella dei suoi amici il motivo per bere la vita non a piccoli sorsi ma direttamente a canna dalla bottiglia. E forse, chissà, non ce l’ha più fatta a vedersi zoppicante, impossibilitato a vivere la sua vita, la sua barca, le sue ricerche di asparagi selvatici, di origano. Quel mare che conosceva bene perché lo aveva studiato e vissuto, chissà, forse l’ha visto nel momento in cui, solo, ha fatto una breve telefonata e poi ha premuto il grilletto. Dolce e comprensivo, a volte spigoloso, sicuramente un essere umano, sicuramente una presenza per molti. Viveva da solo per scelta, ed è brutto quando la telefonata che arriva, ti dice che Angelo si è sparato, e scopri che non ti stupisce, ti rattrista e basta.
In fondo è vero però “quando si muore si muore soli”, è forse il momento in cui sfilano ricordi, rimpianti, rimorsi, sorrisi, carezze, schiaffi, rabbia. Tutto in un clic. Ma non è un computer. E poi il nulla. Per chi crede esiste un al di là. Solo per chi crede però, per gli altri, forse meno fortunati, forse semplicemente più materialisti, un ricordo.  

L’uomo ha inventato Dio soltanto per non uccidersi.

(Albert Camus)

lunedì 29 aprile 2019

Elezioni amminstrative a Lecce, liste civiche e confusione



Elezioni amministrative a Lecce, partiamo dai numeri.
5 sono i candidati alla carica di Sindaco della città. Un vero esercito i candidati al consiglio comunale, in 28 liste ci sono 865 candidati pronti a spartirsi i voti dei 78.000 leccesi aventi diritto, con la variabile delle astensioni, nella scorsa tornata elettorale votarono poco più di 50.000 elettori. (Giusto per fare un esempio, per le regionali in Piemonte le liste sono 17, 12 le liste per le comunali di Reggio Emilia). Come finì nel 2017 a Lecce è cosa nota, si chiamava anatra zoppa, niente premio di maggioranza per il sindaco Salvemini, ricorso per sopravvivere 18 mesi alla questua di voti provenienti da ambienti e da consiglieri comunali amanti di guardaroba molto grandi per conservare tutte le casacche da cambiare alla bisogna. Personaggi che passano con disinvoltura da un partito all’altro fiutando l’aria di chi vince, non disdegnando neppure, anzi, la lega, non più nord ma che ha al suo interno una cospicua parte che vede di pessimo occhio i cittadini che vivono da Firenze in giù.
Ovviamente un matrimonio di convenienza di così bassa “lega” non poteva durare più di tanto, la crisi del diciottesimo mese incombeva e costringeva allo scioglimento dell’intero consiglio comunale.
Nonostante queste manovre a Lecce nei 18 mesi con Salvemini sindaco qualcosa sembrava muoversi, pur con cautela, e pareva di intravvedere una luce in fondo al tunnel di vent’anni di malgoverno targato Poli Bortone/Perrone, prima cinguettanti felici assieme, poi divisi e in rotta di collisione perenne, Però così è andata perché non poteva andare diversamente. Lecce ha conosciuto un’amministrazione che provava ad amministrare. Cosa non chiara a chi amava dire, prima, “A Lecce cumandamu nui”.
Ed ora siamo alla vigilia di elezioni con i numeri che si dicevano.
La geografia delle liste è interessante da leggere. E dà un esempio della situazione politica confusa e distorta attuale.
Otto liste (Lega, Fratelli d’Italia, Andare Oltre, Casapound, Movimento Sociale Italiano, Fiamma Tricolore, Popolo per la famiglia, Giovane Lecce) fanno riferimento all’estrema destra decisamente fascista, alcuni con punte di xenofobia molto pronunciate, altri con nostalgie,  reminiscenze e amori. Molti dei candidati in nero erano nel gruppo che, quando arrivò salvini raggiante, lo accolsero con il braccio teso al grido di “duce duce”. Bei personaggini, insomma, fuori dalla Costituzione  ma candidati a sostegno del candidato di destra Congedo.
Poche liste hanno nomi riconosciuti di partiti rappresentati in più alte istituzioni (Democrazia Cristiana, Partito Democratico, Movimento 5 stelle, Forza Italia, UDC). Esiste poi, onore al merito, la lista che sostiene Mario Fiorella, che raccoglie le schegge di una sinistra perennemente divisa su tutto, ma capace, in questa occasione, di tentare di fare sintesi con un candidato di tutto rispetto. Peccato che non si sia riusciti ad un’operazione più faticosa, più laboriosa, ma probabilmente più riconoscibile da una parte più ampia delle sinistre, incapaci ancora oggi di vedere e comprendere le motivazioni di divisioni intuibili solo da addetti ai lavori. Tutto ciò provoca sconcerto in chi vede amici, compagni, persone che stima, candidati in fazioni opposte, ma questo è altro discorso.
Esiste poi  una galassia di liste civiche dai nomi anche bizzarri, un civismo che parte da lontano ma probabilmente non porterà molto lontano, sembrano liste civetta, con il solo scopo di rastrellare voti, con la percentuale elettori/candidati esistente, praticamente ogni famiglia sosterrà il suo congiunto. 
Ovviamente agli elettori non rimane che informarsi sui programmi, sull’onestà intellettuale dei candidati, sulla visione di città aperta, democratica, antifascista, accogliente non solo con i turisti, ma anche con chi arriva da lontano, e soprattutto con i suoi concittadini, un’amministrazione che porti al centro le periferie, e magari le porti senza auto, con piste ciclabili, con mezzi pubblici efficienti, con panchine e pulizia di strade e giardini. Che avvicini Lecce al suo mare, che abbia come obbiettivo quello di trasformare piazze e piazzette in agorà, luoghi di incontro, vita vera.
Sarà difficile scegliere le preferenze (due al massimo, di sesso diverso e di una stessa lista), perché significa dare mandato a chi si vota di agire non in proprio nome, ma anche a nome del suo elettore. Per questo la platea esageratamente eccessiva di nomi e candidati è avvilente. Il civismo senza ideologie è una scatola vuota perché senza idee. E se questo civismo serve solo per nascondere scopi diversi, diventa una truffa vera e propria ai danni degli elettori. Dire né di destra né di sinistra significa dire una cosa di destra. Dire “non sono razzista, però...” significa dire il proprio razzismo.  Dire civico senza un’idea di città aperta, contro ogni discriminazione, accogliente e con un’amministrazione specchiata senza nessuno che “cumanda” significa dire destra, la più brutta.

martedì 16 aprile 2019

Brucia Notre Dame


Ė andata a fuoco Notre Dame de Paris. Uno scempio per l’umanità intera, non solo per il cattolicesimo. Quando viene distrutta un’opera d’arte che è anche simbolo per il mondo, di bellezza, di grandezza, di come l’uomo possa essere immenso e creare capolavori, solo allora ci si rende conto di quanto stiamo perdendo in arte, ma soprattutto in umanità. Quando il fuoco distrugge è necessario chiedersi dove viviamo. In altri tempi molto cupi, qualcuno pensò di bruciare i libri, forse credendo che senza leggere il popolo sarebbe stato più assoggettabile e gregge, è un gioco che molto è piaciuto ai più crudeli dittatori, da Hitler a Pinochet.  
Ph:https://www.leggo.it/
In questi giorni, di fronte allo scempio di Parigi, ci sono state reazioni a livello globale, anche nei nostri TG RAI, dove qualche (sedicente) giornalista, solo perché al soldo di un ministro che ama la nutella e adora veder lasciati in mare dei profughi, fa un intero telegiornale tentando di convincere il popolo che lui considera gregge (quello che non legge neppure la pubblicità) che la colpa di tutto ciò è del jiadismo. Immediata arriva l’eco di uno dei capi di casa pound, altro schiera di ipoleggenti, assolutamente digiuni di nozioni di storia, per non dire della geografia, a dargli man forte dicendo che al posto della cattedrale che brucia qualcuno vuole una moschea. 
Altri si affannano a ricordare al mondo intero che va a fuoco solo una chiesa, però muoiono migliaia di persone per fame, guerre, stermini, genocidi. Quasi il dolore per la perdita del bello offuscasse quello della perdita di humanitas.
Eppure ogni pezzo di bellezza che perdiamo è un impoverimento, ogni libro bruciato è uno scempio, ogni volta che sappiamo di non poter più vedere, anche da non credenti, Notre Dame com’era, dobbiamo indignarci, esattamente come di fronte agli scempi dell’umanità, ai barconi lasciati in mare,  alle urla razziste sui bus e per le strade italiane. O riprendiamo la capacità dell’indignazione, della difesa dell’umanità e del bello in ogni sua forma, oppure saremo costretti ad una caduta nel profondo più tetro e buio, quello dell’assuefazione al peggio, a governanti sciatti, a guerrafondai, ai veri terroristi, i più criminali, quelli che bruciano libri.

lunedì 8 aprile 2019

Elaborare un lutto. Ricordando Francesca

“Elaborare il lutto”, se ne parla in ogni salsa, penso sia solo l’abituarsi ad un’assenza. Pensare “ora vado e lassù e la  vedo…” e tornare con i piedi in terra e sapere che non si può rivedere, e accorgerti che ti manca quella presenza, anche se stai lontano per mesi, anni, però sai che un pezzo di te era là, sai che ti accoglieva ogni volta che arrivavi e ti chiedeva «hai fame? Ti faccio un caffè?». Sai che era routine, ma che erano   abitudini che non annoiavano mai.
E poi si parlava di ricordi lontani, magari di altri lutti elaborati nel tempo, di un altro abituarsi alle assenze, di cose non dette perché intanto la vita è lunghissima e, forse siamo immortali. Così ti accorgi di aver tralasciato quella banali parole «ti voglio bene», che magari paiono inutili mentre le dici, ma sono importanti proprio perché le stai dicendo, anche se  sono, dovrebbero essere, sottintese.
E’ così che passa il tempo, finchè arriva la telefonata che ti dice che il caffè dovrai prenderlo altrove. Da un anno Francesca se ne è andata, non sono salito fin lassù per il funerale perché altre incombenze indipendenti dalla mia volontà mi hanno bloccato. Ma sarebbe stato inutile, non  mi avrebbe chiesto «come stai?», ed io ho una stramba visione del dopo. Non un aldilà, ma un nulla che nessuna persona finita e in piedi riuscirà mai a spiegare se non con una cieca fede senza riscontri provati. Perché l’essere umano è finito. Il nulla, il mai più, il per sempre, l’infinito, sono concetti astratti, pari solo alla fede, o ci credi o no, non esiste una via intermedia. Ed io sono finito, vedo fin dove vedono i miei occhi.
Non per questo non sento le emozioni, e forse per questo il ricordo si ammanta di un sottile dolore che prende e accompagna sempre. Anche quando si è sereni. Quei momenti con una sorella che, per i casi della vita, mi è stata anche mamma in qualche modo, data la differenza di età di sedici anni. I primi passi, la prima biciclettina, i primi giochi, la mia inopportuna e perenne presenza anche quando voleva stare sola con il suo fidanzatino, i piccoli segreti fra noi. Più avanti le discussioni su un libro o un articolo di giornale, le musiche imparate e i cantautori poi insegnati, il primo giorno di scuola mano nella mano con lei e quell’edificio che mi pareva immenso. E poi i casi della vita, matrimoni, separazioni fatte e separazioni mancate, figli. Turbina tutto disordinatamente.  Si, mi manca ora. In questo autunno quasi inverno con piogge infinite, in un pomeriggio con uno scirocco fiero e forte.

Un’assenza che è sempre una presenza. 

lunedì 4 marzo 2019

proposte di legge e interrogazioni "bizzarre"


Proposte di legge e interrogazioni parlamentari (euro e nazionali) si sprecano e indicano chiaramente la vis produttiva dei nostri   rappresentanti nelle istituzioni. A volte ci sono cose che noi, umili esseri umani, non siamo in grado di comprendere a fondo, però loro lavorano per noi tutti. Ne abbiamo trovate alcune che sono solo la punta di un iceberg di dimensioni inimmaginabili. Quelle citate vanno più o meno dal 2012 ai giorni nostri:

 Il deputato Luigi Gallo (m5stelle) lamenta che la scuola pubblica discrimina incomprensibilmente lo strumento mandolino, non inserito nelle discipline dei licei musicali.

Il senatore Giovanardi, già noto per le crociate contro ogni momento di libertà individuale, chiese di assegnare il rango di “artigiano” e non di ”estetista” agli operatori di nail center. Si dovrebbero chiamare, secondo il senatore omofobo, “onicotecnici”. In effetti era un problema che mi ponevo da tempo immemore, come mai non esistono gli onicotecnici?

Il senatore Centinaio (oggi ministro all’agricoltura) propose a suo tempo di introdurre l’obiezione di coscienza per i dipendenti pubblici che non si riconoscono in festività religiose. In sostanza “chi non accetta le radici cristiane” è tenuto ad andare al lavoro nei giorni di Natale, Pasqua e via dicendo, soprattutto gli insegnanti, ovviamente.

Il deputato Gaetano Nastri (fratelli d’Italia) avrebbe voluto caparbiamente introdurre la raccolta differenziata per le gomme da masticare. Proposta ritirata.

Il deputato Carlo Sibilia (m 5 stelle) parlava di complotto dello sbarco sulla luna che, secondo lui, non è mai avvenuto.

Paolo Bernini (m 5 stelle) disse papale papale a Ballarò:  «Non so se lo sapete ma in America hanno già iniziato a mettere i microchip all’interno del corpo umano per registrare… e quindi è un controllo di tutta la popolazione. Quelle persone che se lo fanno iniettare non sanno a cosa vanno incontro. Con internet, visto che molte coscienze si stanno svegliando, queste verità stanno venendo fuori. Infatti col Movimento 5 Stelle usiamo molto internet e siamo molto coscienti di questa cosa».
Microchip sottopelle per controllare i cittadini? Più tardi Bernini aggiustò il tiro e, ovviamente, accusò la trasmissione tv di mala informazione.

In Aula, invece, sempre lo stesso individuo, sostenne la tesi secondo cui l’attacco dell’11 settembre 2001 al World Trade Center di New York fu causata da «un lavoro interno». Precisò, «come dicono gli americani, an inside job». Aggiunse: «Ormai il mondo se n’è accorto». Altro che terrorismo!

Poi la vicenda scie chimiche in cui si denunciano strambi apparecchi montati sugli aerei per spruzzare elementi chimici non si sa bene per cosa. Allo scopo si propone un referendum per chiedere agli elettori se vogliono o meno le scie chimiche. (sic).

La deputata cinque stelle Tatiana Basilio accusando la Oceanic Atmospheric Adoministration per aver celato la notizia, chiede conto dell’avvistamento di sirene la cui presenza è segnalata da “prove schiaccianti”. Ecco, anche lei è regolarmente stipendiata. E chi non è mai incappato in un paio di sirene nuotando in piscina?

L’europarlamentare leghista legato alla destra estrema fascista e neonazista, Borghezio ha denunciato a Strasburgo che “governi occidentali, Nato, Russia e Usa ci nascondono l’esistenza degli alieni”. Ha affrontato il tema anche su Radio Padania nella trasmissione “Padanismo e vita extraterrestre”. "Gli extraterrestri ci sono fin dalla notte dei tempi" (sic)

Eolo, l’auto ad aria compressa “scomparsa”
Il senatore Piergiorgio Stiffoni, della Lega Nord, interrogò il ministro Bianchi nel 2007 sulla presunta scomparsa dell’auto ad aria compressa.
“Eolo, l’automobile che funzionava ad aria compressa, che fine ha fatto? Perchè è stata fatta sparire dalla circolazione dopo che erano stati installati gli impianti per la produzione?”
Ah se il senatore fosse stato solo in grado di leggere, bastava cercare online

E per chiudere parliamo di una proposta che definire bizzarra è solo un sottile eufemismo, Pietro Ichino (PD) presentò a suo tempo una proposta di legge con “disposizioni per uno sciopero virtuale”. La cosa consiste nella possibilità per il lavoratore di dichiarare sciopero, però, anziché starsene a casa, va come al solito a lavorare senza ottenere alcuna retribuzione per il periodo di sciopero. Geniale veramente, roba che neppure la ministra Lezzi avrebbe mai osato pensare.


venerdì 22 febbraio 2019

Etica, politica, razzismo e Göring


Sono preoccupato, non riesco più a stupirmi!
Un tempo pensavo che al peggio ci fosse un limite, che un ministro o una personalità pubblica, dal consigliere comunale di Roccacannuccia al presidente della repubblica, si dovessero sentire in dovere di rispondere alla Costituzione, ai cittadini, all’etica, al buon senso. Che dovessero governare la cosa pubblica con l’etica “del buon padre di famiglia” come si diceva un tempo. Soprattutto pensavo di come una personalità pubblica fosse tenuta ad operare nel pieno rispetto di ogni sensibilità, come dice la Costituzione all’articolo 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Invece tutto ci sta sfuggendo dalle mani e dalla ratio. Un deputato che mette in dubbio la sfericità della terra. Un altro mette in dubbio lo sbarco sulla luna. Altri (troppi) pensano che i vaccini siano la lunga mano delle multinazionali farmaceutiche sui bambini, con buona pace per la scomparsa di malattie che un tempo decimavano, vedi poliomielite. Per non dire della favola della scie chimiche. Ora siamo arrivati alla proposta di invitare i docenti (cattolici, ovviamente) ad un corso per imparare l’esorcismo. E ancora non mi sono stupito, perché questa classe dirigente ci ha abituati al peggio, a scavalcare e annullare le regole etiche che amministrano la democrazia. Si insulta la Francia non già dall’opposizione arrembante, ma dal governo. Il vicepresidente del consiglio va a trovare e dialoga con la parte più destra dei gilet gialli. Proprio come fosse opposizione va a parlare con chi è opposizione in Francia.

Alcuni esempi che ci hanno insegnato a non stupirci di nulla, perché tutto è possibile:

La deputata Tatiana Basilio, si scagliava contro il Noaa, il National Oceanic and Atmospheric Administration, un’agenzia federale statunitense rea di voler offuscare una realtà secondo lei tanto evidente: le sirene esistono.

il deputato Carlo Sibilia aveva affermato di non credere allo sbarco sulla luna. «Oggi – è il messaggio postato su Twitter dal parlamentare M5S il 20 luglio 2014 – si festeggia anniversario sbarco sulla luna. Dopo 43 anni ancora nessuno se la sente di dire che era una farsa…».

Secondo la senatrice M5S Enza Blundo la grandezza della forza del sisma che ha colpito il Centro Italia nel 2016 sarebbe stata ‘declassata’. Ovviamente dai governanti. La casta. Il potere. «Per non risarcire i danneggiati al 100 per cento».

L’onorevole (onorevole?) Paolo Bernini nel 2013 ha spiegato che l’Obamacare negli Stati Uniti ha imposto anche l’obbligo di «inserire microchip nel corpo umano» allo scopo di tenere sotto controllo la popolazione.

Eppure dovremmo tutti stupirci, meravigliarci, indignarci, perché, oltre le idiozie menzionate, ci sono ben altri tentativi, l’idea di trovare ad ogni costo un nemico da combattere, un “invasore” che attenta alla purezza della nostra razza (dando i razzisti per scontata l’assurda credenza delle razze). Sembra tutto quasi un disegno che arriva da molto lontano, cito un’intervista al nazista Göring:

 “…Ma è ovvio, la gente non vuole la guerra – disse Göring facendo spallucce – Perché mai un povero contadino zoticone vorrebbe rischiare la propria vita in guerra quando il meglio che gli possa succedere è tornare alla sua fattoria sano e salvo? Naturalmente la gente comune non vuole la guerra. Non la vuole in Russia né in Inghilterra né in America, e neanche in Germania, per quel che vale. Si capisce. Ma dopotutto sono i leader del Paese che determinano le politiche, ed è facile trascinare la gente dietro a tali politiche, sia tale Paese una democrazia o una dittatura fascista o un Parlamento o una dittatura comunista”

Gilbert: “C’è una differenza – gli feci notare io – In una democrazia la gente ha diritto di dire la propria sulla questione attraverso i suoi rappresentanti eletti, e negli Stati Uniti solo il Congresso può dichiarare guerre.”

Göring: “Oh, tutto questo è bellissimo, ma, che abbia o meno diritto a dire la propria, la gente può sempre essere trascinata dai propri leader. È facile. Tutto quello che c’è da fare è dire alla gente che sta per essere attaccata, denunciare i pacifisti per mancanza di patriottismo e perché mettono in pericolo il Paese. Funziona allo stesso modo in ogni Paese”.

sabato 9 febbraio 2019

Amministrative a Lecce, Mauro e l'utopia


Leggo un articolo dell’amico Mauro Marino, una delle persone più belle che ho conosciuto in questi 15 anni girovagando per Lecce, nel pezzo, duro, lieve, emozionante, sognante, Mauro parla della mancanza di “gentilezza” nella politica. Tutto pare essersi ridotto ad una guerra per bande, con insulti, accuse. Una guerra di tutti contro tutti. Quasi fosse indispensabile non saper più dialogare, non essere in grado di sedersi ad un tavolo e parlare con serenità, quasi non ci fossero altre strade. Eppure deve esistere il luogo del dialogo, dove si possa tornare a dire con gentilezza, con il rispetto che ognuno deve ad ogni altra persona.  In particolare mi ha colpito, nel discorso di Mauro, il pezzo che ripropongo:

…Tempo fa, su Radio Tre, ho ascoltato una "lezione di musica" sul compositore ungherese Béla Bartòk, uno dei più appassionati - fu senz'altro un pioniere dell'etnomusicologia - nel declinare l'ascolto delle arie popolari della dell'Europa Orientale e del Medio Oriente nella musica "colta".
Il conduttore del programma sottolineava come, in ambito musicale (almeno in quell'epoca) fosse necessario, tra i grandi compositori, prestare orecchio al fare dell'altro. La musica poteva avere evoluzione solo se la ricerca personale poteva nutrirsi del lavoro degli altri. Uno componeva e con la sua opera comunicava all'altro: “senti dove sono arrivato, dove mi son spinto”, l'altro, confortato, nutriva la sua sensibilità, così si procedeva nel progredire comune. In un'altra lezione di musica si è parlato della "Sagra della Primavera" di Igor Stravinskij, il conduttore a sostegno della tesi del “reciproco ascolto” ha osato mandando un brano dell'opera di Stravinskij all'unisono con un altro di un compositore suo contemporaneo: l'ascolto è risultato perfetto, integrato, meraviglioso. Non poteva esserci risentimento in quel procedere creativo. Solo passione e condivisione della ricerca. Reciprocità! Lo sappiamo, la musica è cosa speciale, la coralità è insita nella disciplina, non potrebbe esserci musica senza reciprocità, senza accordo, senza capacità di ascolto e di relazione, nel rispetto dei tempi, nell'obbedienza allo spartito e alle indicazioni del direttore. Così come nel cinema, nel teatro ognuno è chiamato al suo compito, a far bene ciò che è chiamato a fare. Competenze in armonia, di questo avremo bisogno, anche nella politica, reciproco ascolto, capacità di compensazione e di composizione corale. Ma lo so, è utopia.

Mauro si riferiva alla vita politica nazionale, a quei politici che usano i muscoli anziché, ahinoi, il cervello e il dialogo, a me, dicendo di gentilezza e di umile capacità di ascolto  è venuta in mente la situazione politica locale. Le amministrative sono alle porte, probabilmente fra pochissime settimane saranno rese note liste, candidati, fazioni, ci saranno alleanze e si tornerà a chiedere il voto per proseguire un’esperienza di governo cittadino che, pur con chiaroscuri, ha mostrato in un anno e poco più, di saper essere innovativo e di “aprire le finestre e le porte di Palazzo Carafa” dopo decenni di asfissia con una coda di scandali e scandaletti che pare non saper finire.
L’esperienza tuttavia è durata un tempo troppo breve, anche per alleanze decisamente forzose da un punto di vista politico, dove per “politico” si intende il modo di immaginare il futuro della città nel suo complesso, facendo scelte che si ritengono etiche, filosofiche oltre che amministrative. Ogni progetto amministrativo, anche ordinario, deve avere ampio respiro perché deve proiettarsi verso la città del futuro, deve saper prevedere e deve avere un progetto complessivo.
Questo discorso vale per la viabilità, per la cultura, per la gestione dei flussi turistici.
I turisti non sono solo portatori di quattrini, sono prima di tutto persone che devono trovare una città vivibile, nel pieno rispetto degli aspetti culturali, artistici, di accoglienza. Una gestione di questo tipo necessita di una maggioranza coesa, in grado di portare avanti scelte anche coraggiose, anche impopolari nel breve periodo, ma che portino al risultato voluto. Occorre, in sostanza, una buonissima dote di ascolto, rinuncia quando occorre, e determinatezza. Le doti del buon amministratore stanno proprio in queste caratteristiche.
A questo punto è bene chiedersi quanto alcune diatribe molto interne a pochi militanti, invisibili però agli elettori possano contribuire a creare alleanze diverse, ibride, forzose.
Nella scorsa tornata elettorale è stato difficile scegliere di non poter votare o sostenere amici, compagni che meritano stima e rispetto,  lo scoramento di molti elettori era palpabile e diffuso.
In questa tornata elettorale sarebbe bello ritrovare un obbiettivo unificante, vedere collaborare per un progetto comune e condiviso candidati che hanno intelligenze da mettere a disposizione per il bene collettivo. In sostanza, sarebbe bello vedere  abbandonare preconcetti e pregiudizi, fare opera di umiltà rinunciando a diatribe delle quali l’elettore non comprende il senso, perché non sa o non vuole sapere, perché chiede che ci siano persone affidabili a rappresentarlo, e se stanno assieme si sentirebbe più garantito.
Provarci è possibile, anzi, è indispensabile. Chissà se riusciamo a dimostrare al mio amico Mauro che non tutto è utopia.

domenica 27 gennaio 2019

Elezioni Lecce


Lecce va verso elezioni anticipate, occorre provare a capire per votare.
Carlo Salvemini ph: facebook

….A chi mi accompagnerà in questa nuova sfida, ricordo che il linguaggio è sostanza della politica. Come ci insegna un bel libro di Gianrico Carofiglio, anche quando nel confronto politico si finisce inevitabilmente “con i piedi nel fango” non dobbiamo mai smettere di “guardare l’orizzonte”, tradendo il senso del nostro impegno. Che non è riuscire a sconfiggere il nostro avversario, ma riuscire a farci riconoscere dai cittadini come meritevoli di fiducia degni e capaci di svolgere il difficile compito di amministrare una città come Lecce. Un patrimonio immenso di bellezza, possibilità, vitalità, speranze. Un patrimonio che appartiene non a chi lo governa pro tempore, ma a tutti i cittadini... (da un post su Facebook di Carlo Salvemini, candidato sindaco di Lecce).

Da nuovo elettore a Lecce sento la necessità di votare per chi rappresenta non un pensiero unico, ma una pluralità di opzioni. Fermi restando i principi fondanti ed imprescindibili ai quali ispirarsi: la Costituzione, l’antifascismo, l’accoglienza, il no ad ogni forma di razzismo, il civismo nel senso più lato del termine, oltre che, ovviamente e scontatamente, l’onestà intellettuale e politica, tutto ciò non fa parte del pensiero unico ma, come dicevo, dei principi imprescindibili, senza i quali anche il solo gesto di votare diventa faticoso e, spesso, si sceglie di non fare, proprio per evitare di votare “il meno peggio” quando non si riesce a intravvedere il meglio.
Purtroppo l’Italia sta vivendo un periodo terribile dal punto di vista dell’accoglienza. La scelta del governo centrale di lasciare in mare una nave con delle Persone a bordo, di chiudere i porti, di non soccorrere e non accogliere immigrati in nome di una lotta contro l’Europa che, pur avendo responsabilità indecenti per paesi civili, non giustifica le scelte del governo italiano di lasciare al gelo uomini, bimbi e donne. Questa è cronaca quotidiana purtroppo. Dall’altra parte vediamo rinascere gruppi di dichiarata fede fascista quando non nazista contro ogni principio etico e politico e soprattutto contro la Costituzione della Repubblica. Tutti questi fatti accadono in Italia e non possono, né devono, essere “altro” di qualunque governo, anche di quelli cittadini, perchè l’onda lunga delle scelte governative si abbatte con violenza anche nei più piccoli centri. Proprio per questo ogni cittadino dovrebbe sentire il dovere di schierarsi, di scegliere. In questo senso vanno le prese di posizione di molti sindaci, da quello di Palermo, a quello di Napoli e su su fino all’estremo nord, di contestare e rifiutare la politica di non accoglienza del governo centrale.
Per questo, e forse mai come oggi, occorre comprendere per votare. Non basta il buon governo e la buona amministrazione, purtroppo, sono punti di partenza imprescindibili ma insufficienti, occorre capire le scelte anche politiche di chi andremo a votare, il loro pensiero in fatto di accoglienza, rifiuto di ogni forma di totalitarismo, disponibilità a dire, come i sindaci di altre città e paesi, dei chiari “no” a politiche che si ritengano non accettabili. Salvemini nel suo post di presentazione, si presenta in ticket con l’attuale vicesindaco, quindi dovremo votare il pacchetto intero, questa è una scelta chiara di continuità, tuttavia, viste le premesse di cui parlavo, mai come ora è necessaria, da ogni parte in campo, chiarezza.   Le scelte devono avere una direzione globale e non particolare. Non si può parlare di traffico sena avere la visuale e il progetto della città futura che si immagina, magari senza auto in centro, e non si può parlare di accoglienza e di democrazia senza avere ben chiari i limiti imposti dalla Costituzione che riguardano tutti i cittadini italiani. Egualmente occorre tenere alto il ricordo di quanto i salentini si prodigarono negli anni ’90, all’arrivo di migliaia di albanesi, di come accolsero, di come protessero l’immigrato.  
Facciamo tesoro delle parole di Carlo Salvemini:
…Per questo noi continueremo a camminare sulla nostra strada, con il nostro stile. Consapevoli che infarcire di rancore, rabbia, risentimento, arroganza il dibattito pubblico porta alla sconfitta di tutti, e che a vincere, anche nelle contrapposizioni più aspre, sono l’intelligenza, la validità degli argomenti, la capacità di parlare con chiarezza del futuro...
Intelligenza, validità degli argomenti e capacità di parlare con chiarezza del futuro sono anche questo, schierarsi non per una generica pietas, ma per scelta etica, politica, umana.


mercoledì 23 gennaio 2019

La canzone del bambino nel vento


Canzone del bambino nel vento. Le parole di Guccini per ricordare l’olocausto di allora e forse quello di cui siamo testimoni. “…Ed ora sono nel vento…” Corpi che entravano nei forni, fumo che usciva dal camino. Tutti fermi, un attimo, a fine mese arriva il giorno della memoria e dell’impegno. Tutti fermi, un attimo solo, un pensiero. L’olocausto non deve ripetersi mai. Mai più bambini nel vento per favore. Siamo nei tempi in cui certi fatti non possono e non debbono accadere più, mai più bambini nel vento per favore. Però, già, però neppure in fondo al mare. Stesso olocausto, stessi bambini. La figura del piccolo affogato con la pagella cucita all’interno dei suoi pantaloncini è viva, vivida, inquietante. Proprio come quella dei bambini nel vento di molti anni fa, che a fine mese ricorderemo e qualcuno dirà, mentendo: “mai più”. La pagella, lui aveva bei voti e i suoi genitori volevano che il mondo sapesse, forse. Voleva che fosse accolto con la dignità che spetta ad ogni essere umano. Il tutto proprio mentre due ministri della Repubblica presiedevano all’arrivo di un ex terrorista arrestato in paesi lontani e lo mostravano al popolo come trofeo, proprio come fosse logico ed ovvio che lo Stato facesse non giustizia, ma vendetta. Proprio come il cacciatore ostenta la sua preda, proprio come un dittatore ostenta la sconfitta dei suoi “nemici” prima di farli volare nel vento. Proprio come chi non ha rispetto alcuno per le Persone (maiuscolo), al punto di voler vedere un arrestato “marcire in carcere”. Linguaggio degno di un idiota qualunque, non certo di un ministro. A meno che i due non coincidano. Per questo è difficile che il bimbo con la pagella sia ricordato da questi individui biechi, lividi di rabbia, che chiudono i porti per lasciarlo nel vento. Esattamente come accadde molti anni fa, tanti da vivere, troppo pochi per scordare. 
E ancora oggi navi solcano i mari con sciagurati a bordo, persone che nessuno vuole, perché i porti sono chiusi. L’Europa è solo un sogno, solo quello, siamo di fronte a squallidi personaggi che cercano voti e consenso, ad ogni costo, anche scordando le regole di accoglienza minime, anche a costo di utilizzare metodi disumani. E siamo di fronte a troppe persone che ancora votano questi personaggi, gialli o verdi che siano..


lunedì 7 gennaio 2019

Immigrati, dimissioni di Salvemini e varia umanità


E va bene, ben arrivati nel 2019. E’ iniziato con i botti quest’anno, due navi lasciate in mare con poveri cristi a bordo da governi indecenti e fuori da ogni logica umana, democratica e civile. Per quanto ci riguarda il nostro è guidato da un tizio che si fa selfie mangiano nutella e da un suo portaborse in quota a un noto ex comico. Il lavoro più frenetico del secondo è quello di appoggiare in toto le scelte del primo, anche lasciando crepare persone in mare se è il caso. Salvo poi dire che la colpa è del PD. (Non che il PD non abbia colpe, anzi).
E parliamone allora dei due sciagurati che hanno imposto una legge che chiamano “sicurezza”, quella che lascia per strada migliaia di immigrati.
La scelta di alcuni sindaci come Orlando di fare ordinanze per non rispettare la norma che pretende di lasciare migliaia di richiedenti asilo senza documenti, quindi senza residenza, di chiudere le porte degli sprar per aprire quelle di centri di accoglienza per centinaia di persone, quindi ingestibili de facto,  ha molto fatto discutere sul ruolo di un primo cittadino, può un Sindaco non far rispettare le leggi dello stato? In realtà non dovrebbe, tuttavia, vista l’emergenza e considerata l’indisponibilità del governo a discuterne, queste scelte altro non fanno che agevolare l’iter dell’organismo decisionale per eccellenza, la Corte Costituzionale, che dovrà decidere alla buon’ora che questa legge è fuori da ogni logica della Costituzione e contro le persone.  Quindi sia benvenuta la protesta vivace di Orlando. Benvenute le decise prese di posizione di moltissimi suoi colleghi, di presidenti di provincie e regioni che hanno demandato l’urgenza di intervenire alla Corte Costituzionale.
Altra protesta assolutamente condivisibile, al di là e oltre le scelte del governo guidato dal mangiatore di nutella, quella del sindaco di Napoli De Magistris di dichiarare aperto il porto della sua città alle navi con gli sciagurati a bordo che da oltre 15 giorni vivono al freddo e con pochissimo cibo mentre o governicchi maltese e italiano litigano su chi deve accoglierli. Qui si sta violando non la disposizione del nutellaro e del suo giullare, ma si rivendica forte il rispetto delle vite umane. Da questo punto di vista l’illegalità del sindaco di Napoli è doverosa. Prima restiamo umani, poi parliamo di scelte politiche e di Europa latitante.
E per parlare di minimi sistemi, poche ore fa si è dimesso Carlo Salvemini, il sindaco di Lecce. Molte parole si spenderanno ora,  molta sinistra dirà che è stato un sindaco poco sinistro, molta destra dirà (fatta la tara di ex assessori ora ai domiciliari) che loro avrebbero governato meglio, poco importa se hanno lasciato una delle città più belle d’Italia allo sfascio economico ed amministrativo dopo 25 anni di governo che si può riassumere con la frase pronunciata da un noto esponente delle destre leccesi negli anni del loro “splendore” quando ebbe a dire “A Lecce coumandamu nui”. Il concetto di amministrare democraticamente era quello del comando, in quattro parole un trattato di filosofia amministrativa del centrodestra leccese (erede della Poli Bortone).
Di Salvemini, personalmente, non ho condiviso alcune scelte di alleanze, tuttavia, visti gli esiti del ballottaggio, ha avuto ragione lui. Per il resto, in questa brevissimo periodo alla guida della giunta, ha dovuto sottostare a numeri ostili, è stato sorretto da personaggi che non vedevano l’ora di mandare tutti a casa, però ha reso Lecce una città decisamente migliore di come l’aveva trovata. Per il pochissimo tempo avuto a disposizione ovviamente. Non possiamo che ringraziare lui e i suoi collaboratori ed auspicare in una ricandidatura in maggio, Lecce non deve tornare nella mani di chi l‘ha asciata con il filobus incombente, con gli scandali di Via Brenta, della case popolari e non solo. A lecce nessuno deve poter dire “cumandamu nui”. Non chiudere le finestre riaperte dopo 25 anni è un dovere ed un bene per la città tutta.
E il sogno (utopia?) sarebbe quello di poter vedere una sinistra veramente unita, lascando andare i cascami delle tristi recriminazioni, forse è tempo di risedersi attorno a un tavolo con umiltà e idee nuove, ci sono le idee, ci sono le persone. Si può fare.