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venerdì 28 luglio 2017

Controra: i pensieri attorcigliati

Evoca una casa con persiane socchiuse, penombra, finestre aperte per consentire ad un refolo d’aria di passare. Evoca ricordi d’infanzia, quando il sonno non voleva arrivare e si stava ad ascoltare i rumori del silenzio del primo pomeriggio. Controra si chiama a Napoli, parola stupenda. De Crescenzo ne fa la rappresentazione migliore fra quelle trovate, scrive in Così parlò Bellavista: Sono le tre di un pomeriggio d’estate. Il sole è impietoso. L’ombra non esiste o forse è solo un’illusione ottica, dal momento che non provo alcun sollievo nemmeno a restare seduto sotto un ombrellone degli chalet a Mergellina. A Napoli si chiama ‘controra’. Il termine sta a indicare che si tratta di un’ora contraria, cioè di un’ora che dovrebbe essere vissuta come un’ora della notte: a letto e nel buio di una stanza. L’orario unico è stato inventato nei paesi senza sole…
Nella controra si attorcigliano ricordi e pensieri, la situazione politica si batte a duello con l’insalata di riso e l’anguria. Le facce dei lettori del TG sono state spente e loro, i pensieri,  rimangono soli, la penombra e il refolo d’aria neppure troppo fresca.
E nella penombra arriva Cyrano e il suo amore folle per Rossana, il poeta dal naso adunco, lo spadaccino innamorato e anarchico. E il vino bevuto una sera davanti alle onde, e lo scintillio del mare alto in barca, con il sole che iniziava la sua discesa e illuminava una scia d’acqua che si muoveva incessante, fiera, possente, leggera.
La controra aiuta i pensieri e i ricordi, un flash, un ricordo: la coppia di anziani che camminava ogni sera verso il sole al tramonto, ogni sera a scrutare se di là arrivava qualcuno, parlando fra loro di una vita ultracinquantennale vissuta nel bene e nel male assieme.  E ancora si pensa ai turisti che camminano nella controra, sudaticci, a volte tatuati in modo osceno, quasi sempre sorridenti anche sotto il sole più impetuoso, Lecce è bella, vale la pena anche camminare nell’afa.
Sono i momenti in cui i pensieri sembrano quelle palle pazze che rimbalzano ovunque senza un apparente senso. Così arriva il ricordo di un bacio rubato e un padre che ci sorprese. Eravamo giovani però, prima della patente, un migliaio d’anni fa. Noi nascosti dietro un provvidenziale angolo in un vicolo cieco, il padre, che mai usciva dopo le 21, quella sera decise di fare quattro passi. L’inizio di un amore naufragato così.
Strana la mente umana, piena di cassettini chiusi che ogni tanto si schiudono per lasciar uscire un ricordo che pareva scordato.
E fra un bacio, la pasta con le cozze e un bicchiere di vino nella memoria arriva prorompente anche Guevara De La Cerna, il rivoluzionario diventato mito perché morto esageratamente giovane. Non aveva intuito che la storia sarebbe andata diversamente di come immaginava, i fuochi si spensero uno ad uno, A vincere fu il braccio armato dell’iniquità.
Intanto il mare là fuori, a pochi chilometri dalle mie persiane chiuse, prosegue a muoversi e raccontare le sue storie. La signora che gettava fiori in mare un pomeriggio d’inverno, ricordando chissà chi, i ragazzi che si rosolano al sole come hamburger,  la signora con il seno prorompente e irruente, il caffè in ghiaccio al chiosco e birre bevute di prima mattina.
Poi arriva un sonno lieve, breve, poi le ore passano, l’ora contro diventa ora tarda e il tempo rinfresca, lo scirocco diventa tramontana. Si aprono le persiane, ci si fa baciare dalla luce. “Caffè?” “Perché no?”



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