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martedì 9 maggio 2017

Lecce fuori onda. Suggestioni di un immigrato.

Lecce Fuori Onda è un instant book di Adolfo Maffei e Gabriele De Giorgi per IdeaDinamica editore.  (€ 7,00)

Il libro è l’incontro fre due giornalisti:
Maffei iscritto all’ordine dal 1971, ha lavorato per ANSA, Il Giorno, nel 1979 fu tra i fondatori del Quotidiano di Puglia, nel 1993 fondò il settimanale Il Corsivo il suo curriculum comprende altre direzioni, libri, e soprattutto l' aver fatto da “guida” a molti giovanissimi giornalisti che ancora sono in carriera.
Gabriele De Giorgi è uno di questi giovanissimi (ora semplicemente giovane), laureato a Pisa in Scienze Politiche, dopo aver conseguito un dottorato in Storia Contemporanea e sociologia della modernità, ha voluto tornare a Lecce dove ha lavorato come giornalista per alcune testate, attualmente per Lecceprima.it, testata on line. 
In Lecce Fuori Onda il dialogo fra i due colleghi (allievo e maestro) tocca aspetti di Lecce e della sua provincia in modo agile, snello, comprensibile, in pochi, essenziali capitoli : Una città di periferia,  L’autoreferenzialità (Della città),  L’università e il turismo, Le emergenze ambientali – TAP e Strada 275,  Sotto il Tacco dell’illegalità,  Lecce e la politica,  Giornali e giornalisti, critica ed autocritica.



 Non mi dilungherò in analisi, non sono un critico, sono solo un lettore. Per chi vorrà, il libro si acquista, lo si legge in un attimo, è reperibile in librerie ed edicole e costa pure poco.
Dirò dei suggestioni che mi arrivavano leggendo e che riguardano la “mia” Lecce, città che mi ha adottato quando arrivai dal nebbioso nord una dozzina di anni fa.
Non la conoscevo affatto perché, come scrissi all’epoca per una piccola testata di Alessandria e come leggo nelle parole di Maffei, a Lecce non ci si passa, devi volerci venire.  Puoi passare da Firenze, da Pisa, da Brindisi, poi ti fermi, Lecce devi sceglierla! Questo aspetto mi ha affascinato da subito, la città è un’isola, e forse questo è uno dei motivi per cui la leccesità è diversa, l’appartenenza al territorio, alle radici, alla cucina, al caffè Quarta che, pur essendo ottimo,  pare essere insostituibile con qualunque altro caffè “continentale”.
Anni fa ero in Sardegna per un lavoro, aspettavo il traghetto per tornare in Piemonte, un conoscente mi si avvicinò, scambiammo poche parole e poi mi chiese “stai andando in Italia?”. 
A volte sento questo strana sensazione anche a Lecce dove tutto pare lontano, perché l’aeroporto è a Brindisi, perché non ci sono trasporti efficienti, perché la pacata calma delle domeniche ha eliminato anche i treni della sudest ed il turista che arriva s’arrangi come può.
Però Lecce è Italia e bene lo sanno gli elettori ed i politici. Perché in questa città (di destra?) si votano sempre le stesse persone trasformando un’amministrazione ed un territorio in un feudo d’altri tempi? Perché (come dicono i bene informati) i voti si comprano e si vendono? Forse, chissà, la risposta sta anche nella politica nazionale, in quale altro paese un politico condannato in via definitiva ed escluso dal Senato è in tutte le TV a fare lo statista dal quale dipendono le sorti dell’Italia e dell’Europa? Questa mancanza di etica si proietta dal livello nazionale a quello locale forse. La sensazione di impunità ed il comprare o vendere un voto è trattato alla stregua di un divieto di sosta, basta mettere le quattro frecce e l’autista si sente immortale.
E tornando ai miei primi tempi qui a Lecce ricordo che camminai per qualche tempo con il naso all’insù, la città, nel centro storico e non solo, è talmente bella, importante, ricca che toglie il fiato. Il conoscere in quei tempi alcuni storici degli eventi e dell’arte mi ha aiutato non poco. Il volo delle rondini all’imbrunire, il caffè in ghiaccio, le persone che ho conosciuto e che mi hanno accolto con il sorriso, tutto sembra abbracciare chi arriva.
Dopo la prima ubriacatura tuttavia occorre abbassare lo sguardo, allora ti accorgi di alcuni problemi che vanno dal paradossale al disarmante. Un traffico autostradale nel centro storico, le marine di Lecce abbandonate a sé stesse, un mare stupendo a fronte di un territorio devastato da incuria, degrado, abusivismo. San Cataldo fra nuovo e rottami. Fecero un lungomare che chiamarono pomposamente water front (come chiamarono metropolitana i filobus), salvo lasciare tutto il resto come stava, desolato. L'impressione è che manchi un disegno complessivo, che si proceda a tentoni senza progettare. L'impressione, a volte, è che gli appalti siano merce preziosa qui ed ora.
Il mare è un valore aggiunto che forse l’amministrazione locale vede come un problema anziché una risorsa.
E ancora leggo del comitato NOTAP che lotta in difesa del territorio. Personalmente non penso si tratti solo di nimby (non nel mio giardino) come dice Maffei, fra i tanti problemi segnalati esiste anche l’assoluta mancanza di un ritorno di benefit per chi sopporta l'opera, per chi vive su quel territorio. Il disastro fatto dall’amminisrazione Vendola con le rinnovabili non ha portato nessun beneficio al territorio ospitante, non posti di lavoro, ricordiamo la triste vicenda TECNOVA che sfuttava lavoratori immigrati fino ad essere indagata per “riduzione in schiavitù”, non una riduzione del costo dell’energia per i residenti. Eppure potrebbe essere buona norma. Conosco luoghi in cui il territorio che ospita una discarica non paga le tasse per la raccolta rifiuti. Nulla di tutto ciò, nonostante ciò ora ci sono esempi virtuosi, l’amministrazione di Melpignano crea una cooperativa fra i cittadini, si offrono i tetti delle case per installare pannelli fotovoltaici e i proprietari ospitanti hanno notevoli benefici economici nella fornitura di energia. Il Salento è anche Melpignano, le amministrazioni illuminate esistono. Il territorio si preserva anche così.  
Ecco il Giano bifronte, Lecce isola stupenda ma infelice per molti suoi aspetti, una massoneria radicata, una malavita ri/organizzata, auto che bruciano nella notte, quasi ogni notte. La città è “isola” anche da altri punti di vista. Quando arrivai rimasi stupito, da dove progengo non esiste un quotidiano, solo un trisettimanale e le pagine locali de La Stampa, qui trovai tre quotidiani in edicola. Lassù c’è un solo editore di nicchia, testi universitari soprattutto, qui le case editrici sono come funghi. Un fermento inimmaginabile altrove di giovani (e meno giovani) artisti, scrittori, pittori, attori, cantanti, che non esiste altrove. Qui arrivano da fuori e comprano case personaggi noti che rimangono abbagliati dalla luce, dalle rondini, dal mare, dal barocco. Ma Lecce non può limitarsi a fare la vecchia signora che si trucca davanti allo specchio per mostrarsi giovane e ancora piacente, né potrà in eterno mostrare una ricchezza sempre più concentrata in poche mani, l’isola dovrebbe aprirsi, respirare, far vivere quel fuoco che brucia dentro. Qui il ponte è indispensabile. 
Le lacrime che ho visto nello spettacolo meraviglioso di Mario Perrotta citato da Gabriele erano vere, autentiche. E possiamo dire che proprio in quei giorni di levate all’alba e nottate davanti al mare ad ascoltare Mario e la sue equipe sono finalmente un riconoscimento a lui, al suo lavoro. Alla buon’ora non si aspetta che l’artista non ci sia più per farne vanto alla città, come già con Carmelo Bene, con Tito Schipa e con altri. E forse anche questo è un piccolo segnale di rinascita.
Fra poco si vota anche a Lecce, peccato che candidati amici siano sparsi e sparpagliati pur avendo programmi speculari, un vero peccato. Al momento vedo un sacco di tristissimi manifesti 6 x 3 che mi guardano. Da lontano però, non sento il calore.  


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